Lavoce.info

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Dalla tutela della concorrenza al diritto all’informazione

Con quali criteri si devono valutare i pro e contro di una fusione tra imprese della comunicazione? La tutela della concorrenza non è sufficiente perché la collettività non vuole solo garantire i consumatori come tali, ma anche proteggere il loro diritto come cittadini di ricevere un’offerta informativa pluralistica e completa. Una preoccupazione difficile da prendere in considerazione con gli strumenti attuali di analisi concorrenziale. Ai quali va dunque aggiunto un criterio oggettivo di protezione della capacità dell’elettorato di essere informato.

 

No, non è la Bbc

Quale futuro si delinea per la Rai? Rispetto al passato, le funzioni di servizio pubblico che richiedono la presenza di un canale pubblico si sono ridotte, grazie all’offerta multicanale e alla convergenza tra diversi mezzi di trasmissione. Ma con una forte concentrazione nell’informazione televisiva e un ruolo declinante dei giornali, un canale pubblico di informazione gestito secondo criteri di pluralismo può rappresentare un fattore importante. Perché questo avvenga diventa però cruciale una riforma del sistema di nomina e governance.

 

Gli Italiani e l’evasione fiscale

Meno evasione e servizi pubblici migliori sono le priorità degli italiani. Lo dice un’indagine del Censis su un campione rappresentativo della popolazione. L’evasione, percepita in aumento negli ultimi tre anni, è considerata un problema grave dall’89,7 per cento degli intervistati. Il gettito recuperato con il contrasto all’evasione dovrebbe però essere utilizzato per ridurre le imposte e non tradursi in un aumento della pressione fiscale, giudicata già alta. E servirebbe un impegno credibile a migliorare la capacità della spesa pubblica di rispondere ai bisogni dei cittadini.

 

Le fondazioni bancarie: una risposta a mucchetti

Lettera al Corriere della Sera

Caro direttore,

Massimo Mucchetti nel suo articolo di sabato 23 ottobre ci arruola al “partito di Geronzi”. La ragione? Un nostro intervento su lavoce.info sarebbe ripreso dal Foglio a sostegno di tesi dell’attuale Presidente di Generali. In questo intervento, coerentemente con quanto pensiamo e scriviamo liberamente da tanto tempo, sosteniamo che: 1) le fondazioni bancarie farebbero bene a diversificare il loro portafoglio per meglio svolgere le loro funzioni sociali; 2) avendo vertici di nomina politica, non dovrebbero nominare a loro volta i consiglieri delle banche, evitando ancor di più di sceglierli tra le proprie fila. Quanto alla nostra vicinanza a Geronzi, invitiamo a leggere su questo sito cosa abbiamo scritto sul curriculum dell’ex banchiere. Non ci risulta che Mucchetti abbia mai dato queste informazioni ai suoi lettori.

I dati economici nella crisi

L’informazione economica è vitale in una democrazia. Tanto più in tempi di una lunga strisciante campagna elettorale, quando l’informazione si trasforma spesso in propaganda e viene utilizzata per orientare l’opinione pubblica. Per questo ribadiamo il nostro impegno nell’aiutare i cittadini a interpretare i dati e la situazione economica. Ma anche noi risentiamo della crisi. E chiediamo perciò ai nostri lettori un contributo che ci permetta di svolgere meglio il nostro lavoro.

Un Nobel alla ricerca di lavoro

Il premio Nobel in economia del 2010 è stato assegnato a Peter Diamond, Dale Mortensen e Christopher Pissarides per il loro contributo nella comprensione del processo di ricerca tra domanda e offerta. Che nel mercato del lavoro permette di spiegare la curva di Beveridge come un fenomeno di equilibrio. E i loro studi hanno fatto capire che è meglio studiare il mercato del lavoro guardando ai suoi flussi, fino a comprendere gli effetti del precariato. Perché la loro teoria è densa di implicazioni pratiche e di suggestioni per la politica economica.

La risposta ai commenti

Ringraziamo tutti i lettori per i loro commenti.
L’’idea che ha ci ha spinto a scrivere l’’articolo era quella di spostare il dibattito dal potere d’acquisto dei salari alla causa principale dei bassi salari e del loro potere d’acquisto: la produttività del lavoro. Lo spunto ci è stato fornito dallo studio pubblicato da Ires-Cgil lo scorso 27 settembre. Non era, e non è, nostra intenzione quella di attaccare la Cgil per partito preso (come ipotizzato da qualche lettore), ma piuttosto volevamo mostrare che, utilizzando i dati Istat cioè quegli stessi dati utilizzati dall’’Ires prima della loro correzione per i lavoratori irregolari, viene fuori un risultato diverso da quello dell’’Ires, cioè che il salario dei lavoratori italiani era aumentato (e non diminuito) in termini reali tra il 2000 e il 2009.
L’’Ires, nei suoi complessi calcoli, tiene in considerazione la componente irregolare di lavoro nel calcolare i salari. Noi non lo facciamo. In questo modo possiamo coerentemente parlare dei dati sulla produttività (che allo stesso modo escludono la componente irregolare) e soprattutto perché l’’Istat non fornisce più la serie aggiornata dei dati corretti per la componente irregolare. Nei suoi calcoli, inoltre, l’’Ires calcola il drenaggio fiscale (noi non lo abbiamo fatto). Può valer la pena di ricordare che il drenaggio fiscale non misura l’’aumento delle imposte in generale, ma solo quell’’aumento delle tasse che deriva dall’’inflazione in un sistema di tassazione progressiva. L’’inflazione infatti “gonfia” i nostri redditi in euro (non abbastanza secondo alcuni dei nostri lettori, ma lo fa), il che ci fa scattare automaticamente su uno scaglione di reddito più alto senza che siamo diventati davvero più ricchi. L’’aumento delle entrate fiscali derivante da queste effetto “palloncino” è il drenaggio fiscale.
La produttività del lavoro in aggregato si calcola, in modo inevitabilmente un po’’ impreciso, dividendo un indicatore di prodotto in termini monetari (come il valore aggiunto, cioè la somma dei redditi da lavoro e di quelli da capitale d’’impresa) per un indicatore di impiego del lavoro, che può essere il numero delle ore lavorate, il numero degli addetti o il numero delle ULA. L’’utilizzo delle ULA (Unità di Lavorativa equivalente a tempo pieno) permette di prendere in considerazione una misura di lavoro standard depurandola per le componenti di lavoro atipico standardizzando il numero di ore lavorate. Si tratta quindi di un “addetto medio” che prende in considerazione la creazione di posti di lavoro precari negli ultimi anni uniformando lavoratori a tempo indeterminato a tempo pieno, part-time e atipici.
Molti lettori hanno criticato l’’utilizzo dell’’indice dei prezzi al consumo Istat per calcolare il salario reale. Qualche anno fa uno di noi (FD, in un commento su questo sito intitolato “Io sto con le casalinghe”) dichiarava di condividere la percezione dei lavoratori dipendenti medi e delle loro famiglie che, in corrispondenza dell’’avvento dell’’euro, si erano sentiti più poveri. Ora siamo un po’’ più cauti. E’ probabile e legittimo che molte delle famiglie – quando vanno al ristorante e a fare la spesa al supermercato – abbiano in questi anni percepito un aumento dei prezzi maggiore di quello rilevato dall’’Istat. Ma è anche vero che i consumi su cui viene fatto questo ragionamento riguardano gli acquisti che l’’Istat chiama “ad alta frequenza”. Ci sono però anche tanti beni che compriamo meno spesso (ad esempio, i prodotti dell’’elettronica di consumo) i cui prezzi sono diminuiti notevolmente in questi anni e che l’’Istat contabilizza correttamente nell’’indice dei prezzi del consumo. Quando pensiamo all’’inflazione dovremmo guardare all’’intero paniere di beni, non solo a quelli che siamo più abituati a comprare. Il paniere Istat coglie questo fenomeno: rileva il prezzo di molte migliaia di beni, rivede frequentemente la composizione del paniere – anzi dei vari panieri – che usa per misurare le variazioni del costo della vita. E’ vero: fa fatica, come tutti gli uffici statistici di tutto il mondo, a stare dietro ai mutamenti di qualità dei beni e all’’introduzione di nuovi beni e servizi; in più misura il costo delle abitazioni in termini di affitti e non di prezzi delle case. Ma tutto considerato il suo indice è una buona rappresentazione della spesa media degli Italiani.
Condividiamo le preoccupazioni di chi, replicando i nostri calcoli, vede la propria pensione in termini reali pressoché costante e di chi denuncia l’’importanza del fiscal drag e l’’incidenza delle imposte locali. Nel nostro articolo non ci siamo dedicati a questi argomenti nello specifico, ma spesso su queste pagine si discute dei modi per ovviare a queste storture.

La parola ai numeri: lavoro

 

Informazione economica: la crisi nella crisi

In allegato la presentazione tenutasi, il 15 settembre 2010, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

Il costo dell’instabilità politica

La fase di conflittualità e di incertezza politica registrata negli ultimi mesi potrebbe avere effetti assai gravi sui delicati equilibri della finanza pubblica. Abbiamo analizzato la relazione tra una misura di conflittualità e la variazione del tasso a lungo termine sui titoli del nostro debito pubblico a dieci anni. Ad esempio, alle polemiche dell’affaire Montecarlo di agosto si associata un aumento del tasso a lungo termine di circa 5 punti base. Che, se dovesse perdurare indefinitamente, potrebbe equivalere a oltre 830 milioni di euro di maggiori oneri di interessi.

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