Il disegno di legge sulle intercettazioni mina senz’altro il diritto di cronaca. Ma il vero effetto dirompente del provvedimento è rendere meno efficace lo strumento investigativo più utile nelle inchieste giudiziarie. Non vorremmo quindi che nella discussione di questi giorni la giusta reazione dei media spostasse l’attenzione della discussione dal problema cruciale: le intercettazioni sono uno strumento di indagine e reperimento delle prove essenziale per la magistratura. E’ prima di tutto su queste limitazioni che va condotta una battaglia civile.
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Lo spazio, come il tempo, è tiranno e quindi capita che i titoli dei giornali e dei tg offrano drastiche semplificazioni della realtà. Sarebbe meglio che la semplificazione aiutasse i lettori a capire che la crescita è ricominciata ma che la fine del tunnel è ancora lontana, anziché alternare titoli catastrofici e messaggi rassicuranti a seconda dei giorni. Ecco un esempio sui dati di produzione industriale. Dei problemi dell’informazione si discuterà al prossimo Festival dell’Economia di Trento.
Il nuovo regolamento europeo sulle agenzie di rating ha molti aspetti positivi e potrebbe essere un passo importante per riconquistare la fiducia degli investitori e dei regolatori. Due punti però meritano una più attenta riflessione: il livello di trasparenza e il grado di concorrenza nel settore. A partire da un meccanismo che allarghi la concorrenza, senza però aumentare le possibilità di shopping da parte degli emittenti. Soprattutto, si dovrebbero utilizzare anche altri indicatori, capaci di misurare il rischio di liquidità e quello di mercato di un titolo.
Grazie degli utili e interessanti commenti, positivi e negativi.
I due aneddoti che ho raccontato (su Brian e Giovanna) vanno presi per quelli che sono: aneddoti, appunto. Mancano della generalità e della scientificità delle analisi statistiche. E non sono un trattato sociologico sui vizi degli italiani e sulle virtù degli americani. Ma i due aneddoti hanno certamente un obiettivo: quello di provare a scalfire unopinione diffusa, quasi presa per scontata nel dibattito pubblico sul post-crisi, la favola che parla della formica e della cicala che tanto piace agli economisti vicini al governo come Fortis e curiosamente a quelli no-global come Stiglitz. Dopo tutto, anche le favole sono come gli aneddoti. Non sono generali e a volte colgono meglio di mille numeri gli aspetti profondi delle cose. A volte. Ad una favola si può opporre un aneddoto, non unanalisi statistica.
Ricordo però brevemente i fatti, cioè il punto di partenza della storia, per capire da dove vengono fuori gli aneddoti. I dati del terzo e quarto trimestre 2009 ci dicono che gli Stati Uniti stanno davvero uscendo per primi dalla crisi rispetto alla vecchia Europa, compreso lItalia. Non solo: anche le previsioni di crescita per il 2010 e il 2011 dicono sostanzialmente le stesse cose: lAmerica è avanti. E anche se guardiamo gli ultimi quindici anni viene fuori che il Pil degli americani, al netto della crisi, è cresciuto ben più di quello degli europei e degli italiani che tra i grandi paesi europei sono quelli che sono cresciuti di meno. Quindi, anche gli ottimisti e chi vede una specie di elisir di lunga vita nellarte di arrangiarsi degli italiani potrebbe almeno considerare di porsi qualche domanda.
Qualcuno scrive che Brian è solo uno stupido Big Jim uno che spende un sacco di soldi per trovarsi al punto di prima. Veramente no:ha razionalmente scelto di spostarsi nel Sud Europa fiducioso che la nuvola di cenere si sarebbe sciolta con qualche giorno di anticipo in Italia (che è lontana dallIslanda). Inoltre, quando ha deciso, non si poteva escludere che il vulcano avrebbe mandato in aria altra cenere. A me è sembrato previdente, non stupido. Si può anche ricordare che in Italia ha continuato a lavorare e ad incontrare clienti. La sua azienda ha infatti approfittato della prolungata permanenza di Brian in Italia per risparmiare i soldi dellaereo di un suo collega che avrebbe dovuto venire in Italia.
Qualcun altro scrive che di Brian ce ne sono anche in Italia. E vero e per fortuna. Sono i Brian italiani che facevano crescere leconomia italiana del 5-6% negli anni cinquanta e sessanta. E ce ne sono parecchi anche oggi (e certo non producono solo fiammiferi). Ma se i fatti di ieri, oggi e domani sulleconomia italiana, europea ed americana sono quelli ho indicato, evidentemente i Brian italiani oggi non riescono a invertire leffetto negativo della sfiducia che da molti anni prevale nella società italiana. La sfiducia alimenta la corsa al sommerso di cui addirittura i nostri governanti si fanno vanto come se fosse una normale attività produttiva alternativa a quella legale che genera posti di lavoro ed entrate fiscali. La sfiducia ostacola la voglia di investire, di scommettere sul domani, di mettere in pratica quelle che in un libro con Carlo De Benedetti e Federico Rampini abbiamo chiamato le centomila punture di spillo, cioè le tante iniziative poco convenienti individualmente nellItalia di oggi ma che messe insieme fanno muovere uneconomia. Laneddoto di Giovanna e i genitori italiani non è semplicemente sul pessimismo, ma su come la sfiducia produca un risultato negativo che va al di là degli esiti individuali.
Qualcun altro scrive: per fortuna che ci sono le formiche, confrontando Grecia e Stati Uniti con Germania e Cina. Faccio fatica a mettere nella stessa scatola Grecia e Stati Uniti. (Faccio anche fatica a vedere i PIIGS, ma sarà un mio problema). I greci hanno consumato quello che non producevano per molti anni senza avere una valuta di riserva come il dollaro a loro disposizione e senza avere una solida struttura industriale. Gli Stati Uniti si saranno ubriacati con la finanza creativa, ma rimangono la terra delle opportunità per tutti gli emigranti del mondo. Ci sarà una ragione. O gli emigranti vogliono andare tutti a lavorare a Wall Street? I cinesi risparmiano in modo precauzionale perché non hanno lassistenza sanitaria e non accumulano debito pubblico perché crescono rapidamente, il che li rende forti nelleconomia mondiale super-indebitata. Ma anche loro hanno un problema: pur essendo il settore manifatturiero del mondo riescono a crescere solo esportando (e quindi devono trovare qualcuno che compri i loro prodotti). E crescono creando posti di lavoro a 300 euro al mese, il che mantiene i loro consumi al 35-40% del loro Pil. Il consumo di beni e servizi non fa la felicità, ma aiuta chi ha sempre avuto poco ad essere meno infelice di ieri.
Arriva la prevista separazione tra Fiat Auto e Fiat Industrial, che dovrebbe raccogliere tutte le attività diverse dalle automobili. Eccezion fatta per i giornali. Perché questa scelta? Può nascere il sospetto che le partecipazioni nei media siano considerate strategiche per la capacità di influenzare l’opinione pubblica. L’auspicio è invece che la nuova Fiat faccia una scelta coraggiosa e si dedichi in maniera esclusiva alle solide auto. Lasciando svolazzare altrove i quotidiani.
La XVI legislatura ha compiuto due anni e tra pochi giorni sarà trascorso lo stesso periodo di tempo per il governo Berlusconi, insediatosi l’8 maggio 2008. Il bilancio della legislatura coincide in larga parte con quello del governo sia perché fino a questo momento il perimetro della maggioranza è rimasto identico, sia perché in Parlamento la compagine governativa domina con i numeri l’attività legislativa. Riprendendo una formula analoga a quella di un anno fa cerchiamo di mettere in luce con dieci schede, ciascuna dedicata a uno dei principali temi della politica nazionale, che cosa è stato fatto o non è stato fatto in questo primo biennio. La raccolta è stata in parte curata da Pietro Ichino e pubblicata anche sul suo sito.
Ci fa piacere notare che Marco Fortis sul Sole24ore del 25 aprile riconosca finalmente che il nostro paese è in crisi e potenzialmente in declino. Lo fa però accusandoci di mostrare poco rispetto nei confronti degli imprenditori. Nel nostro intervento sollevavamo un punto di metodo (che non riguarda le imprese, ma chi produce nuovi indici e commenta i dati) sostenendo che confrontare i valori è più utile di un conteggio dei settori. Il fatto che il made in Italy si affermi in tanti comparti ci fa (ovviamente!) solo piacere. Abbiamo sottolineato (anzi, lo ha scritto Confindustria che speriamo non sia accusata di scarso rispetto per gli imprenditori) che la competitività del nostro paese è in declino. Su questo, di nuovo, i dati di Confindustria ci sembrano più utili della conta dei settori.
Abbiamo poi fatto notare che i dati (sui quali Fortis torna) dal 2005 al 2008 sono relativamente confortanti solo se uno:
– ignora che l’import resta comunque superiore all’export (dal 2004 a oggi, il saldo commerciale del paese è sempre stato negativo)
– ignora che a fronte della crescita dell’export l’import aumenta ancora di più
– ignora il fatto che invece dal 2000 al 2003 il saldo commerciale del paese era positivo. (si veda la tabella allegata).
Se vogliamo consolarci, possiamo sempre trovare delle ragioni per farlo. L’eterogeneità tra le nostre imprese è grande, e per fortuna continua a presentare indubbie punte di eccellenza, che peraltro creano filiere produttive più all’estero che in Italia.
Se invece vogliamo guardare ai numeri leggiamoli a partire dai dati aggregati. Questi ci indicano le condizioni in cui opera la media delle nostre imprese e la dinamica della produttività, che è, al tempo stesso, la chiave per la crescita e la competitività.
E’ tornata di moda la favola della formica e della cicala. Gli italiani sarebbero le virtuose formiche e gli americani sarebbero le cicale che hanno cantato per un’estate sola. Ecco un aneddoto che spiega perché la favola potrebbe essere falsa. Spende e si indebita chi è ottimista sul futuro, risparmia chi ha paura. Il risparmio ci ha forse preservato da guai peggiori nella crisi. Ma è l’incrollabile ottimismo che farà ripartire la locomotiva americana.
Proprio la crisi ci ha dimostrato come la scarsa conoscenza di nozioni economiche e finanziarie di base sia diffusa in larghi strati della popolazione, sia negli Stati Uniti sia in Europa. E ciò porta a prendere decisioni sbagliate sui mutui come sulle pensioni. Le conseguenze sono disastrose non solo a livelli microeconomico, ma anche macroeconomico. Per questo gli Usa hanno lanciato alcuni programmi per l’alfabetizzazione finanziaria nelle scuole. Ma non basta: corsi di questo tipo si dovrebbero tenere anche nelle aziende.
In tempo di crisi, capita spesso che i numeri sull’andamento dell’economia non piacciano ai governi. In Italia si cerca di oscurare i dati più importanti con una marea di indicatori parziali, non poche volte irrilevanti o costruiti in modo tale da essere del tutto fuorvianti. E si rifiuta il sistema con cui l’Istat mette insieme tutte le informazioni in indicatori aggregati. Noi continuiamo a difendere le fonti statistiche ufficiali e a pensare che i dati sui redditi medi offrano un’idea più precisa del benessere degli italiani di quelli sulle esportazioni.