A livello internazionale, tutti gli operatori e governi si stanno occupando degli investimenti in reti di nuova generazione. E in moltissimi paesi (verrebbe da dire tutti) vi è una qualche forma di intervento pubblico: si va da investimenti diretti del pubblico, a sovvenzioni agli operatori, a vacanze regolatorie. Quindi non si tratta di un tema o problema solo italiano. E non riguarda solo Telecom Italia, ma anche tutti gli altri grandi operatori (vedi Deutsche Telekom e la stessa Telefonica).
Vorrei anche sottolineare che il tema principale dell’articolo è la separazione orizzontale tra i diversi tipi di operatori, questione non necessariamente collegata all’eventuale intervento pubblico.
Certamente, la mole degli investimenti richiede anche un intervento pubblico. Ne va non tanto della sopravvivenza degli operatori, ma anche e soprattutto della competitività del territorio. Un paese moderno non può non avere una rete evoluta.
Peraltro, non ho il minimo dubbio che un eventuale intervento pubblico debba essere confinato in modo da agire solo come strumento di crescita della competizione delle imprese private.
Proprio per questo motivo, e tenendo conto delle ricorrenti tentazioni italiche, nell’articolo proponevo che ci sia una separazione netta (quindi società separate) tra i tre (+1) diversi livelli del mercato. Il livello 0 è quello delle infrastrutture civili dove già è largamente presente l’intervento pubblico (cavedi, gallerie, fognature, …). Al livello 1 si dovrebbero collocare le società che gestiscono l’offerta wholesale (in particolare, una società che prenda in carico le infrastrutture di rete di Telecom Italia). Queste società saranno poche, in quanto gestiscono monopoli naturali su porzioni differenti del territorio. A questo livello, appare sempre più evidente, visti i livelli di investimento richiesti, che non vi è possibilità di reale competizione a livello infrastrutturale (cioè diversi operatori che sviluppano in parallelo proprie reti fisiche per la stessa porzione del territorio). Nel caso di monopoli naturali (come per la rete elettrica), il rischio è che tali reti restino chiuse e utilizzabili (nei fatti) solo da un singolo operatore; o anche, che non vengano fatte crescere come sarebbe auspicabile in quanto richiedono ingenti investimenti in tecnologie e infrastrutture. Per queste società (e solo per queste) si può pensare alla soluzione che prospettavo nell’articolo: separazione strutturale con quotazione e partecipazione anche del pubblico.
Le aziende ai livelli 2 (trasporto IP al cliente finale) e 3 (servizi applicativi quali VoIP o IPTV) sono assolutamente private e in piena  competizione ai rispettivi livelli del mercato.
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In questi anni l’evoluzione delle tecnologie e del mercato è stata notevole e Telecom Italia si trova ora in una situazione non semplice. Auspicabile una separazione strutturale della rete, con quotazione della nuova società e partecipazione o sostegno finanziario anche di soggetti pubblici. E’ l’unica soluzione per garantire lo sviluppo di un mercato aperto e competitivo e il reperimento delle risorse finanziarie private e pubbliche in grado di sostenere gli investimenti infrastrutturali necessari allo sviluppo della rete. Serve però un forte impegno su regolazione e controllo.
Un’indagine su più di duecento grandi aziende manifatturiere e di servizi italiane mostra che per circa il 70 per cento, gli investimenti in Ict hanno permesso una riduzione dei costi amministrativi. Decisamente inferiori, invece, le percentuali di imprese che hanno ottenuto ritorni nello sviluppo prodotto o nella gestione delle relazioni con i clienti. Spesso per l’incapacità di apportare i necessari cambiamenti organizzativi, con la modifica dei processi decisionali e maggiore attenzione al capitale umano. Difficile dunque un effetto sulla produttività .
Grazie per gli interessanti commenti. Aggiungo solo tre veloci osservazioni, rinviando ancora al mio articolo accademico per una discussione più ampia. 1. A mio parere, i brevetti sul software hanno un effetto incerto sul livello complessivo di protezione, perché il software può comunque essere protetto da diritti d’autore e mantenendo segreto il codice sorgente. Credo che l’effetto principale dei brevetti sul software sia quello di modificare la divisione dei profitti tra diverse generazioni di innovatori, con effetti appunto incerti sul livello complessivo di innovazione. In più c’è il problema, segnalato da Carlo Data, della qualità di tali brevetti, come di quelli sui c.d. "business methods". (Qui la buona notizia è che il brevetto di Amazon sulla tecnologia "one-click" molto probabilmente alla fine sarà annullato dai tribunali americani: il sistema sembra disporre di anticorpi, anche se forse non nella misura adeguata.) 2. Gianluca Salvatori e Marcello mettono in discussione l’attendibilità dell’evidenza empirica che uso nel mio lavoro. Ammetto: le stime dell’elasticità sono inevitabilmente incerte e da prendere con beneficio d’inventario. Ma sono le migliori attualmente disponibili, e se sulla base di queste stime non possiamo concludere con certezza che gli innovatori siano sotto-remunerati, certo è ancora più difficile sostenere il contrario, cioè che siano sovra-remunerati. Oltre non vado, né credo che oggi si possa andare. 3. Gianluca Salvatori e Marcello sono invece in disaccordo sul costo dei brevetti: Marcello pensa che debba essere ridotto, Gianluca Salvatori invece sottolinea i comportamenti opportunistici delle imprese che brevettano, suggerendo implicitamente che un aumento dei costi potrebbe scoraggiarli. Questo problema meriterebbe un’analisi specifica, ma tendo a concordare con Gianluca Salvatori.
I brevetti si trovano sotto un fuoco incrociato di critiche, in larga misura fondate su preconcetti ideologici: a destra disturba l’idea di un monopolio creato dallo Stato, a sinistra il concetto stesso di proprietà intellettuale. La teoria economica e l’evidenza empirica disponibile suggeriscono che, allo stato attuale, la protezione garantita non remunera gli innovatori eccessivamente, ma che semmai li remunera troppo poco. Il legislatore dovrebbe però cercare di limitare l’eccessiva facilità con cui gli uffici preposti li concedono.
Molti economisti ritengono che il potere di mercato raggiunto da Microsoft sia eccessivo e che per tutelare i consumatori sarebbe opportuno limitarlo, almeno in parte. Ma la decisione del Tribunale di primo grado della Corte europea va ben oltre, e mette nelle mani della Commissione europea e delle autorità antitrust nazionali uno strumento di regolamentazione troppo invasivo. Sulla base della nuova giurisprudenza, ogni impresa in posizione dominante potrebbe essere costretta a mettere le proprie innovazioni a disposizione dei concorrenti.
Nella Finanziaria 2007, il governo Prodi ha introdotto un incentivo fiscale sotto forma di credito d’imposta per le imprese che investono in ricerca e sviluppo. Il bonus, però, finora non si è visto: lungaggini burocratiche ne hanno impedito l’utilizzo. Come ridurre le difficoltà di attuazione per il futuro? Ad esempio, con la pre-notifica a Bruxelles di un provvedimento specifico e dettagliato. Anche perché una politica di incentivi solo annunciati e non resi operativi produce risultati peggiori di una politica di zero incentivi.
Quello che colpisce di più del dibattito pubblico sulla ricerca e sull’università in Italia, e in Europa, è il continuo confronto con un modello americano di ricerca che non esiste. Vi sono tre miti, relativi alla ricerca negli Stati Uniti, che finiscono per ostacolare lo sviluppo di un sano dibattito sulla costruzione di un modello italiano (o europeo) di ricerca. Sfatarli può essere di grande aiuto. Vediamoli uno per uno
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato un regolamento che costituisce lo scheletro dell’asta per assegnare le licenze WiMax, la nuova tecnologia di accesso radio a banda larga. Due sembrano essere gli obiettivi: efficienza allocativa e apertura del mercato a nuovi operatori. Ma è di cruciale importanza che il numero delle licenze sia stato definito dopo aver ponderato realisticamente il numero di potenziali partecipanti. Importare meccanicamente un modello di successo da un altro mercato rischia di minare gli obiettivi prefissati.
Il programma
Il programma del centrosinistra parlava in modo ampio delle misure necessarie a far ripartire la crescita. E ancora di recente il presidente del Consiglio ha messo lÂ’accelerazione della crescita al centro dellÂ’agenda del secondo anno.
Le misure approvate dal governo includono sia misure orizzontali (incentivi alla ricerca per tutte le imprese) che selettive (incentivi e regimi di aiuto ad alcuni settori, uniti a controversi pronunciamenti selettivi come quelli nel caso Telecom e Autostrade Abertis di cui si discute altrove).
Spese in ricerca e sviluppo: il credito di imposta
Le principali misure volte a favorire l’innovazione e la ricerca nella Finanziaria 2007 sono l’introduzione del credito d’imposta in favore delle spese in ricerca e sviluppo (art. 19) e per i contributi delle imprese all’attività di centri di ricerca e università . Si possono definire misure orizzontali perché riguardano tutte le imprese che investono in R&S.
Commenti
1) È una buona idea dare maggiore stabilità alle varie forme di incentivazione allÂ’attività innovativa delle imprese – unÂ’esigenza fortemente sentita dagli imprenditori. Si deve però ricordare che, come indica lÂ’evidenza empirica disponibile per gli altri paesi, lÂ’efficacia degli strumenti di incentivazione e di detassazione per rilanciare lÂ’attività innovativa è incerta. Se la domanda di innovazione è poco elastica rispetto al costo dellÂ’innovazione (perché contano altri elementi diversi dal costo di innovare, come il grado di concorrenzialità dei mercati o il livello di istruzione dei lavoratori), allora è meglio non aspettarsi un forte effetto addizionale di rilancio dellÂ’innovazione nemmeno dalla predisposizione di incentivi permanenti, almeno fino a che le riforme strutturali non producano effetti. E siccome le riforme strutturali hanno faticato ad attuarsi in questo primo anno, è presumibile aspettarsi un effetto limitato di questi incentivi allÂ’attività innovativa
2) La R&S non è l’unico strumento di innovazione. Le piccole imprese distrettuali del Made in Italy innovano senza bisogno di attività formale di R&S. Misure di questo tipo sono dunque presumibilmente poco efficaci a raggiungere questo tipo di imprese. Si può però argomentare che le Regioni o gli enti locali posseggono strumenti migliori del governo centrale per favorire l’attività innovativa delle piccole imprese.
Settori strategici
La Finanziaria 2007 vede anche il ritorno della politica industriale, cioè lÂ’individuazione di alcuni settori strategici (e “aree sottoutilizzate”) cui sono stati destinati specifici regimi di aiuto (settori ad alta tecnologia, la difesa e i settori interessati dai progetti di innovazione industriale per lÂ’efficienza energetica) oltre alla creazione e al finanziamento di unÂ’Agenzia nazionale per la diffusione delle tecnologie per lÂ’innovazione, dedicata allÂ’”individuazione, valorizzazione e diffusione di nuove conoscenze,tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale e internazionale”, con sede a Milano e soggetta alla diretta vigilanza della presidenza del Consiglio.
Commento
I settori ad alta tecnologia sono quelli nei quali la produttività dovrebbe crescere più rapidamente. Proprio in questi settori, invece, i dati erano stati particolarmente negativi dopo il 2001. Ma già nel 2006, le cose sono andate molto meglio almeno in alcuni di questi settori, dunque prima che i regimi di aiuto della Finanziaria entrassero in vigore. C’era bisogno di destinare soldi pubblici a questo scopo? Inoltre, è dubbio che un’Agenzia, anche se localizzata nella capitale economica d’Italia, possa fare da meccanismo catalizzatore delle attività innovative.