L’Istituto italiano di tecnologia potrà avere un ruolo positivo se saprà trovare finanziamenti importanti anche al di fuori del settore pubblico. E se saprà interagire con il sistema delle imprese e i centri di eccellenza già esistenti in Italia. Determinanti anche la scelta della sede e la struttura organizzativa. Se queste condizioni saranno soddisfatte, potrà raggiungere l’obiettivo di sviluppare ricerca di altissimo livello e di generare nel medio periodo ricadute tecnologiche interessanti per l’industria.
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Se nascerà come un nuovo centro di ricerca, l’Istituto italiano di tecnologia non avrà risorse sufficienti per competere a livello internazionale, sottrarrà alcuni degli scienziati più dinamici ai centri già esistenti e avrà poche ricadute sul sistema della ricerca in Italia. Il decreto che lo istituisce è però estremamente vago e lascia spazio per altre proposte. I fondi stanziati potrebbero essere utilizzati per premiare i nostri poli di eccellenza e stimolare la concorrenza nella comunità scientifica.
Negli Stati Uniti torna l’associazione tra investimenti in tecnologie dell’informazione e crescita della produttività . In Italia, nonostante gli annunci sul sostegno alla digitalizzazione dell’economia, dalla tecno-Tremonti scompaiono gli incentivi alle imprese per l’installazione di nuove attrezzature informatiche. Aumenta così il divario che separa il nostro da altri paesi europei, più consapevoli che queste tecnologie sono strumenti di riorganizzazione industriale indispensabili per non perdere competitività .
Un eccesso di regolazione impedisce in Italia l’accesso a dati essenziali per svolgere attività di ricerca. A esserne penalizzato è anche il dibattito sulle principali questioni economiche e sociali. Gli ostacoli maggiori arrivano dalle norme che salvaguardano la riservatezza delle persone, partendo dal presupposto sbagliato che il ricercatore abbia interesse a violarle. Ora, una nuova proposta di legge intende garantire una maggiore libertà d’azione.
Lavorare con modelli econometrici serve a formulare previsioni e a valutare le conseguenze di scelte alternative di politica economica. E il premio Nobel per l’economia a Robert Engle e Clive Granger, econometrici e tra i fondatori della scuola di San Diego, è una conferma della sua importanza. Eppure in Italia questa disciplina non trova spazio e dati adeguati mentre le statistiche ufficiali vengono costantemente sfiduciate. Così non si riescono a motivare i giovani ricercatori, mentre creare laboratori di economia applicata appare difficilissimo.
La Legge Gasparri realizza una transizione a metà perché affida il controllo del processo di trasformazione da analogico a digitale ai due duopolisti, Rai e Mediaset, e consente loro di acquisire una posizione dominante nella fase di avvio. Non garantisce la convergenza al piano digitale elaborato dall’Authority, non moltiplica i programmi a disposizione degli utenti, marginalizza i broadcaster analogici nazionali e locali e lascia invariato lo squilibrio nella distribuzione delle frequenze.
Pietro Ichino
recensisce il saggio di Luciano Gallino, La scomparsa dellÂ’Italia industriale (Torino, Einaudi, 2003) che documenta in modo vivido e toccante il progressivo smantellamento di importanti settori dellÂ’industria italiana.
Servono centri di eccellenza con più ricercatori e più giovani, finanziati attraverso un sistema di distribuzione dei fondi pubblici sul modello inglese. E il riconoscimento della distinzione tra “research” e “teaching universities”. Evitando le relazioni troppo strette con l’industria che impediscono l’esplorazione di opportunità radicalmente nuove. Se l’accademia fa bene il suo mestiere, sono le imprese stesse che si preoccupano di costruire con i ricercatori legami proficui per entrambi.
La pubblica amministrazione ha difficoltà a utilizzare le tecnologie con efficienza e efficacia. Lo dimostra la limitata diffusione di software open source. Per non aggravare i ritardi già accumulati servono scelte precise e un sistema di incentivi e disincentivi per realizzarle. E si potrebbe così rivitalizzare l’industria italiana del software.
Ancora un trimestre di crescita negativa per il nostro prodotto interno lordo: l’inizio del 2003 può adesso essere definito come una fase di recessione. Soprattutto l’Italia continua a crescere meno della pur stagnante Europa. Riproponiamo ai lettori gli interventi di Rodolfo Helg, Paolo Manasse e Marco Pagano e Fausto Panunzi, in cui si discutono le ragioni del declino economico del nostro Paese.