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Come promuovere l’Italia. E il commercio

Torna il vecchio ministero del Commercio estero. Ma il problema principale non è tanto stabilire in quale dicastero debbano confluire le burocrazie competenti, quanto piuttosto individuare un assetto complessivo delle politiche per l’internazionalizzazione più ordinato ed efficiente di quello attuale. Una possibile riforma corre lungo quattro linee: ridare allo Stato centrale la competenza esclusiva della promozione internazionale, costituire una cabina di regia, trasformare l’Ice in una agenzia governativa, proseguire nella creazione di “sportelli unici” all’estero.

Le coalizioni e la cooperazione allo sviluppo

Le politiche di cooperazione allo sviluppo sono uno strumento importante per promuovere una globalizzazione etica. Nonostante il forte sostegno della società civile, l’Italia ha fin qui seguito un approccio che privilegia la risposta a emergenze umanitarie o politiche, piuttosto che interventi di lungo periodo. Nei programmi elettorali delle due coalizioni non ci sono impegni precisi. Anzi sembra prevalere una certa miopia. La Cdl non affronta neanche il tema. E l’Unione non cita fonti di finanziamento alternative né l’eventualità di creare un ministero.

Come cambia la geografia degli investimenti internazionali

E’ naturale lo smarrimento di fronte al cambiamento nella geografia degli investimenti. L’attivismo delle società dei paesi emergenti è notevole, con motivazioni e tipologie d’impresa coinvolte assai eterogenee. L’irrompere di nuove multinazionali è una delle tante facce della globalizzazione. E’ lecito metterne in evidenza i rischi, ma sarebbe catastrofico non apprezzarne le opportunità. Soprattutto in un paese come l’Italia, che sconta tuttora il peso di una partecipazione insoddisfacente ai flussi globali di investimenti diretti.

L’Italia e il rischio Argentina*

Se la crescita è bassa in tutta l’area euro, esistono però notevoli differenze tra un paese e l’altro. Alcuni hanno intrapreso la strada delle riforme e ottengono risultati confortanti. Invece, senza le necessarie riforme, il circolo vizioso della stagdeflazione imporrà all’Italia l’uscita dall’Unione monetaria, con il ritorno alla lira e il ripudio del debito denominato in euro. Così come ha fatto il paese Sudamericano di fronte a una crisi non dissimile dalla nostra. Ovviamente gravi le ripercussioni, fino a un probabile collasso della stessa Unione monetaria.

Eppur bisogna lavorare di più

I paesi con un numero elevato di ore lavorate pro-capite registrano una crescita economica maggiore. Lo dimostrano gli Stati Uniti e, in Europa, la Gran Bretagna e i nuovi Stati membri dell’Unione. La discussione sulla revisione della Working Time Directive dovrebbe essere l’occasione per ridurre i disincentivi che tengono basso il livello di ore medie lavorate. Soprattutto, dovrà rimanere in vigore la clausola opt-out, che consente di allungare il limite dell’orario di lavoro settimanale oltre le 48 ore. Ed è ritenuta vitale per assicurare la competitività.
Pubblichiamo, in seconda pagina, la replica dell’autrice ai commenti dei lettori.

Chi si è preso i guadagni di produttività

Il boom dell’economia americana non ha finora prodotto benefici per tutti. Anzi. Le analisi più recenti mostrano che ad aumentare il loro reddito reale in proporzione pari o maggiore alla crescita della produttività aggregata sono stati in pochi. E’ la conferma di un cruciale dilemma della New Economy: per accelerare, la crescita ha bisogno di rapido progresso tecnico e di un ambiente competitivo, ma i suoi frutti si distribuiscono in modo diseguale. E il riassorbimento delle disuguaglianze non è scontato in un’economia poco sindacalizzata e con un limitato intervento redistributivo dello Stato.

L’Omc e la scommessa di Hong Kong

La posta in gioco alla Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio non è tanto la conclusione del Doha Round, che in ogni caso richiederà ancora parecchi mesi, quanto la credibilità dell’organizzazione che ha già dovuto affrontare diversi momenti di crisi. Ma gli scenari di un commercio senza uno strumento di governance internazionale sono preoccupanti. I maggiori paesi industrializzati potrebbero sviluppare le proprie politiche commerciali a livello bilaterale facendo pesare maggiormente il loro peso politico ed economico.

Bolla o non bolla?

Negli ultimi cinque anni il boom dell’immobiliare ha caratterizzato quasi tutti i paesi industrializzati, Italia compresa. La dinamica dei prezzi riflette un cambiamento strutturale o si tratta di una “bolla”? La composizione della ricchezza delle famiglie potrebbe essersi modificata per le preoccupazioni sulla tenuta dei sistemi pensionistici e la scarsa fiducia nelle borse. D’altra parte, le bolle sono associate a una forte crescita degli investimenti in costruzioni, cui segue una caduta nella fase di contrazione dei prezzi. E non si è mai costruito tanto come adesso.

Effetto caro-petrolio

Il greggio è rincarato di oltre il 60 per cento nel 2005. Ma le conseguenze per crescita e inflazione non sono le stesse registrate in altre crisi petrolifere. Soprattutto perché quello attuale è uno shock da domanda e non da offerta. Resta però una sostanziale vulnerabilità dei paesi occidentali. Prezzi crescenti del petrolio agiscono come una potente tassa sui consumatori che comprimono così la spesa per altri beni. La stagnazione dell’economia, poi, non consente di attutire l’impatto attraverso un incremento dei redditi. Con riflessi anche sui risparmi.

Uno scandalo inglese

In Italia sono stati venduti più di settecentomila i piani individuali pensionistici attuati mediante polizze di assicurazione. Sono onerosi, con una struttura dei costi molto articolata e non sempre trasparente. Il pericolo è che l’assicurato li sottoscriva ignorando l’incidenza di tali costi sulla prestazione finale. In Gran Bretagna è già successo. E per aver venduto prodotti simili senza una corretta informazione, le compagnie di assicurazione sono ora condannate a pagare più di undici miliardi di sterline di indennizzi ai risparmiatori coinvolti.

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