La possibilità per le regioni a statuto speciale di ottenere più autonomia attraverso una legge ordinaria è tra i punti della legge Calderoli bocciati dalla Consulta. Ma si crea così una differenza di status con quelle ad autonomia differenziata.
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La sentenza della Corte costituzionale tocca pilastri portanti della legge Calderoli. Si concentra sulle funzioni e non sulle materie e disegna un regionalismo cooperativo. Può essere la base per una nuova stagione di discussione sul federalismo fiscale.
Attraverso un particolare meccanismo legislativo, l’Assemblea regionale siciliana si appropria di un potere riservato all’esecutivo: la scelta degli enti a cui destinare contributi senza indicarne i criteri. Potrebbe rivelarsi una pratica incostituzionale.
Il clima per le donne che agiscono in politica è ostile. La probabilità che una sindaca subisca violenze o intimidazioni è tripla rispetto a quella di un sindaco. Le scelte politiche c’entrano poco. Si tratta invece di una diffusa discriminazione di genere.
La decisione della Consulta impone una revisione radicale dell’architettura della legge sulla autonomia differenziata. I rilievi toccano punti cruciali: dall’impossibilità di devolvere intere materie, alla questione dei Lep, al ruolo del Parlamento.
I rilievi della Corte costituzionale sulla legge per l’autonomia differenziata segnalano i vizi di una interpretazione del regionalismo che mette al centro rivendicazioni prive di solidi ancoraggi. Bisogna tornare al modello di sussidiarietà.
Quattro regioni hanno chiesto maggiore autonomia su materie non-Lep, quelle che secondo la legge non dovrebbero ledere l’eguaglianza dei diritti civili e sociali. Pur nella totale mancanza di trasparenza del processo, alcuni esempi mostrano il contrario.
Introdotta per arginare le difficoltà nel trovare candidati alla carica, la norma sul terzo mandato del sindaco nei piccoli comuni ha conseguenze inaspettate: limita l’ascesa delle donne in politica. Proprio quando si candidano sempre di più.
Il premio Nobel per l’Economia 2024 è stato assegnato a Acemoglu, Johnson e Robinson per gli studi empirici sugli effetti di istituzioni giuridiche e politiche sulla prosperità economica e per quelli teorici su come le istituzioni possono evolvere nel tempo.