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ATLANTIDE: UNA PARABOLA SUL FEDERALISMO*

Diversi stati europei ripensano la loro organizzazione federale. Mentre in Italia si discute dell’istituzione di un senato federale, in Germania si cerca di distinguere in modo più netto tra le competenze del governo centrale e quelle dei länder. In Gran Bretagna si riformula il sistema di finanziamento delle amministrazioni locali. Per valutare questi interventi è però necessario avere un modello comune di federalismo. E se come punto di partenza si considerano gli individui, si scopre che molti problemi istituzionali finiscono per scomparire.

CHI VUOLE CAMBIARE LA CLASSE DIRIGENTE?

Secondo i sondaggi ben il 58 per cento degli italiani è insoddisfatto dei rappresentanti politici. E tutti a parole in questi primi scampoli di campagna elettorale dicono di voler cambiare. Tre criteri per capire se lo faranno sul serio: sono favorevoli a un sistema maggioritario a due turni, a tenere primarie a livello locale nella selezione dei candidati e a estendere il diritto di voto ai sedicenni sia alla Camera che al Senato?

QUATTRO SCELTE CORAGGIOSE PER UNA SVOLTA

Poniamo a disposizione dei lettori il testo del progetto predisposto dal Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare dell’Università di Milano per incarico della Presidenza della Regione Lazio, “Quattro scelte coraggiose per una svolta”, che è stato presentato ufficialmente in una conferenza stampa a Roma lunedì 4 febbraio, presso la Sede della Regione.

ANCORA AL VOTO CON LE QUOTE GRIGIE

Le attuali norme elettorali prevedono i vincoli costituzionali di 25 e 40 anni per poter essere eletti rispettivamente alla Camera e al Senato, e di 25 anni per poter votare al Senato. Grazie alle dinamiche demografiche e all’inerzia nel riadattare e rivedere le regole del gioco della partecipazione democratica, i giovani italiani sono tra quelli con minor peso politico nel mondo occidentale. Tutto ciò ha evidentemente ricadute penalizzanti sia in termini di politiche destinate alle giovani generazioni che di loro presenza nelle posizioni di prestigio e potere.

CONFLITTO DI INTERESSI

PROVVEDIMENTI

Il Governo ha elaborato un progetto di legge sul conflitto di interessi a modificadella normativa approvata nella legislatura precedente. Il testo del disegno di legge appare sicuramente più incisivo rispetto alla precedente legge. Nella regolazione del conflitto di interessi sono possibili due strade: il controllo ex-post degli atti del governo e i vincoli di incompatibilità ex-ante tra cariche di governo e posizione economica. La legge precedente aveva seguito sostanzialmente il primo approccio definendo un quadro di controlli inefficace e coinvolgendo nell’attività di verifica una autorità, l’Autorità Antitrust, per sua natura estranea alle problematiche trattate.
Il disegno di legge presentato segue invece il secondo approccio. Si applica ai componenti di governo, ai commissari straordinari e anche agli amministratori locali. In linea generale prevede un regime di incompatibilità con le cariche di governo (ma non di ineleggibilità al Parlamento), il dovere di astensione e separazione degli interessi attraverso la vendita o l’istituzione di un trust (gruppo di imprese soggette ad unità di direzione). E’ prevista inoltre l’istituzione di un’apposita Autorità a cui i soggetti sottoposti a controllo dovranno inviare dettagliate informazioni sul proprio patrimonio e la propria posizione nelle attività economiche. I soggetti sottoposti a questa disciplina e con un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro dovrà affidare il proprio patrimonio in gestione a un blind trust senza la possibilità di conoscere come questo venga investito.
Il disegno di legge appare incisivo e all’altezza della gravità del problema come si manifesta in Italia.

QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI

Purtroppo il Disegno di legge, inicisivo e all’altezza della gravità del problema così come si manifesta in Italia, ha seguito un destino comune al disegno di riforma degli assetti televisivi, rimanendo ostaggio della debolezza della maggioranza e della delicatezza delle materie per i rapporti tra di due schieramenti politici.

LE OCCASIONI MANCATE

Resta quindi anch’esso un’occasione mancata e conferma come il conflitto di interessi rimanga un punto assai delicato della politica italiana.

AAA PRESIDENTE CERCASI

Nel Regno Unito il processo per la designazione del chairman dell’Fsa inizia con un annuncio sul giornale. La legislazione italiana non contempla un simile procedimento di evidenza pubblica, ma neanche lo vieta. Adottarlo darebbe maggiore trasparenza alle nomine pubbliche, pur facendo salvi i poteri degli organi di governo, così come nel caso inglese. Per i vertici in scadenza di imprese e enti pubblici si potrebbe quindi pubblicare sulla stampa e nei diversi siti ufficiali le posizioni che dovranno essere presto rinnovate e i profili professionali richiesti.

IL TRAMONTO DELL’ISPANO-TEDESCO

Al di là dei potenziali effetti e delle sue implicazioni sistemiche, difficilmente il Vassallum sarà adottato. Molti partiti non accettano che l’assegnazione dei seggi sia appesa a un meccanismo non manipolabile e non prevedibile come il voto personale nei collegi uninominali. Per approvare una legge elettorale simile, i due maggiori partiti dovrebbero mettere sotto tensione i rapporti con gli alleati e turbare parte del loro elettorato. Il ciclo infinito dei tentativi di riforma è destinato a continuare. E tra un anno dovrà essere convocato il referendum.

FEDERALISMO FISCALE

PROVVEDIMENTI

Tra le cose positive, vanno segnalate la nuova formulazione dei patti di stabilità interna per gli enti territoriali, introdotta con la Legge finanziaria per il 2007 e ribadita con quella per il 2008. In modo più coerente con i patti di stabilità europea, ci si è spostati da vincoli sulla spesa – invero, notoriamente inutili nel lungo periodo — a vincoli sui saldi, ridando fiato alla autonomia tributaria locale. Qualche svarione, per esempio l’indisponibilità degli avanzi di gestione, della prima Legge finanziaria è stato corretto con la seconda, che ha anche previsto l’accreditamento diretto dei tributi cosiddetti propri agli enti locali, un passo importante per superare i loro cronici problemi di cassa, causa non ultima della formazione dei debiti soprattutto a livello regionale.
Sulla stessa linea, il governo Prodi ha tentato anche di coniugare meglio autonomia e responsabilità, affrontando prima con il patto per la salute, inserito nella Finanziaria per il 2007 e poi con il decreto approvato in ottobre, i problemi di vincoli di bilancio soffice latenti nei rapporti tra Stato e Regioni sulla spesa sanitaria, rendendo progressivamente più dure e più credibili le sanzioni per gli enti inadempienti,

QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI

Delle manovre finanziare gli effetti si sono già viste. Altre – quali il passaggio del catasto ai comuni – richiederà più tempo

OCCASIONI MANCATE

L’esecutivo ha anche tentato di riprendere il filo di un’interpretazione coerente o almeno ragionevole della riforma del titolo V della Costituzione, la cui mancata attuazione, a sei anni dalla sua approvazione, pesa come un macigno sui rapporti tra i governi, rendendo legislativamente dubbia ogni azione intrapresa.
Dopo la colpevole negligenza della precedente legislatura, sono stati presentati ben due disegni di legge delega, uno sull’attuazione dell’articolo 119 e un altro sulle funzioni fondamentali dei governi locali, in attuazione dell’articolo 117, entrambi restati però nel cassetto: approvati dal Consiglio dei ministri, ma mai passati all’esame delle competenti Commissioni. Si trattava in entrambi i casi di progetti incompleti, in parte tra di loro contradditori, ma che contenevano le premesse per una formulazione più coerente tra funzioni assegnate, risorse e perequazione tra territori, così come di rapporti più maturi tra i diversi livelli di governo.
Della proposta di riforma dei servizi pubblici locali, meglio non parlare nemmeno, annacquata fino al parossismo dal conflitto fra le diverse anime della maggioranza e poi comunque arenatesi in Parlamento.
A parte questi tentativi, generosi seppure inconcludenti, il governo Prodi non è stato esente dagli usuali difetti che da sempre contraddistinguono i rapporti tra i governi nel paese. Come al solito, un governo centrale in difficoltà a controllare la propria spesa, dalle pensioni al pubblico impiego, ha cercato di scaricare soprattutto sugli enti territoriali l’onere dell’aggiustamento finanziario. E come al solito, in barba alla Costituzione e perfino alla propria stessa azione in altri campi, il governo non si è fatto scrupolo di intervenire anche sulle risorse tributarie attribuite ai governi locali quando questo fosse funzionale alle proprie esigenze politiche immediate. Così l’intervento sul cuneo fiscale introdotto con la Finanziaria 2007 è stato finanziato in parte con l’Irap, il principale tributo regionale, senza che fossero chiare le compensazioni previste per le Regioni. Allo stesso modo, l’intervento sull’Ici deciso con la Finanziaria per il 2008, è sembrato corrispondere, fin dalle modalità tecniche scelte, molto più a esigenze politiche immediate di visibilità del governo centrale che a sensate esigenze distributive o finanziarie. 

IL PENDOLO DELLE PROPOSTE ELETTORALI

Voto proporzionale, premio di maggioranza, soglia minima, indicazione a priori del leader, candidature in un solo collegio, una preferenza assegnata all’elettore: enunciavo tale tesi su queste colonne quando dominava incontrastata l’idea del maggioritario. Ora il pendolo degli umori collettivi si è spostato dalla mia parte, ma mi sento ancora isolato sul piano del metodo. All’opposto degli attuali esercizi di alchimia elettorale – ciascun partito è alla ricerca del mix di modelli stranieri che prometta il miglior risultato alle prossime elezioni – proponevo infatti di decidere come se si trattasse di una duratura regola costituzionale. Una regola, quindi, da scegliere come strumento per realizzare finalità alte e stabili, che vanno chiaramente esplicitate e concernono l’architettura istituzionale del paese, ossia i rapporti tra elettori, eletti ed esecutivo, nonché la governabilità del sistema

Un proporzionale “limitato”

La finalità più importante è di realizzare al meglio il principio della sovranità popolare nel nuovo contesto federalista in cui il Parlamento delibera solo su questioni fondamentali – giustizia, difesa, bioetica, e così via – che toccano il cittadino in quanto tale, dovunque abiti e comunque la pensino i vicini. È giusto allora il proporzionale in cui tutti i voti contano, mentre l’uninominale accoglie un voto solo se si trova dalla parte del 51 per cento dei voti del collegio e lo annulla se si trova dalla parte del 49 per cento.
La finalità di rendere il paese governabile obbliga tuttavia a porre due limitazioni al proporzionale. La prima consiste nella soglia minima dei voti per accedere al Parlamento, il famoso 5 per cento tedesco, per evitare la frammentazione. La seconda è il premio di maggioranza. Ma sono limitazioni trasparenti e razionali, ben diverse dalle ferite al proporzionale inferte in modo nascosto da altre regole. Un conto è infatti essere eliminati perché troppo pochi a livello nazionale, salvo deroghe da approfondire per le minoranze locali. Altro conto è essere eliminati solo perché si è in minoranza in un collegio, come avviene con il maggioritario, che proprio per questo può generare il paradosso, più volte verificatosi nella storia, di dare l’egemonia a livello nazionale alla minoranza degli elettori solo perché distribuita in modo tale da vincere nella maggioranza dei collegi. E un conto è prevedere il premio di maggioranza se e nella misura in cui si renda necessario, altro conto è favorire i partiti maggiori attraverso circoscrizioni elettorali di piccola dimensione, come nel caso spagnolo, e il diffuso metodo d’Hont: si esacerbano così i partiti minori sacrificati, che considerano subdoli questi criteri occulti, che comunque non garantiscono sempre la formazione di una maggioranza netta in Parlamento.

Il peso degli elettori

L’ultimo fine proposto consiste nel calibrare il peso degli elettori rispetto a quello degli apparati di partito e degli stessi eletti. Si tratta di scegliere tra infinite soluzioni legittime. A un estremo sta la lista bloccata dai partiti, accompagnata dalla possibilità di candidarsi in più collegi, il che significa dare peso zero alle preferenze degli elettori nei confronti dei singoli candidati e aggiungere la beffa delle molte candidature civetta dei leader di partito. All’altro estremo sta il regime presidenziale, in cui i cittadini eleggono direttamente il capo dello Stato che è anche, o sceglie, il capo del governo. La soluzione qui presentata – premio di maggioranza alla coalizione vincente, il cui leader diventa il capo del governo, e possibilità di esprimere una preferenza – esalta il potere dell’elettore rispetto alla situazione attuale, mentre si configura come intermedia tra le proposte avanzate nel dibattito di questi anni. Una soluzione più spinta, ad esempio, è quella che contempla la norma antiribaltone cara a Berlusconi prima che approdasse all’attuale “porcellum”: in aggiunta all’investitura popolare di fatto del capo di governo a inizio legislatura, obbliga a tornare alle urne quando muti la maggioranza al Parlamento rispetto a quella consacrata dalle elezioni, mentre qui il mutamento è ammesso, anche se dovrebbe restare un fatto eccezionale. Una soluzione meno drastica, invece, è quella che non contempla il voto di maggioranza né impone di dichiarare agli elettori la coalizione di appartenenza, lasciando spazio a tutte le possibili intese post-elettorali (caso tedesco).
Su questo terreno ogni proposta è da considerarsi legittima, purché sia chiara, sia cioè correttamente presentata come la conseguenza della scelta di un definito mix di poteri degli elettori, dei partiti e degli eletti. Ma di tale chiarezza non si vede traccia nel concitato confronto delle ultime settimane. O meglio, è chiaro che i partiti sono oggi alla ricerca non già della giusta regola permanente ma del migliore risultato alle prossima tornata elettorale: un’impostazione che risente delle alleanze esistenti e di quelle potenziali. E poiché tutte appaiono labili, ne risulta come conseguenza logica lo spettacolo sconcertante di repentini e profondi mutamenti degli umori e delle proposte.

LE CONSEGUENZE DEL VASSALLUM

Cosa accadrebbe se la riforma Vassallo fosse applicata? Stimare gli effetti di una formula elettorale che non esiste è complicato, perché le strategie di partiti ed elettori dipendono dal sistema che regola le elezioni. E qui molto dipende dal disegno delle circoscrizioni. Tuttavia, le stime dicono che a parità di voti la soglia di sbarramento si riduce al crescere della dimensione della circoscrizione. Non necessariamente a vantaggio dei partiti minori. Il sistema sembra poi avere una forte spinta interna verso la bipartitizzazione del quadro politico.

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