Lavoce.info

Categoria: Stato e istituzioni Pagina 81 di 86

Un proporzionale corretto stabilizza il bipolarismo

Per uscire dall’impasse politica italiana serve una legge elettorale proporzionale corretta.
Una difficoltà psicologica, l’approssimazione referendaria, offusca il quadro: si dice che il sistema maggioritario uninominale sia la panacea. È una sorta di innamoramento, anche in menti razionali, che nega la realtà: l’uninominale maggioritario è stato parzialmente (1), e con tutta l’alea del risultato, foriero del bipolarismo. (2) Ma non ci si deve accontentare di uno strumento monco, quando un risultato organico e stabile si avrebbe con il proporzionale, con sbarramento al 5 per cento e premio di maggioranza (3), unico voto su una unica scheda congiunta per entrambe le Camere.

Indirizzare il sistema politico

L’innamoramento dell’uninominale è l’apoteosi della fiducia cieca nell’idraulica costituzionale, che vuole importare istituti giuridici stranieri nel “contesto” italiano, ignorandone le necessità. Servono invece chiari obiettivi verso cui indirizzare il sistema politico, apprestando congrui istituti giuridici. Indirizzare non è giacobino: gli istituti giuridici, se serve, forzano la realtà politica, al fine di produrre dei risultati. Il premio di maggioranza crea una maggioranza politica (4) quando la società non l’esprime da sé con le elezioni (5); lo sbarramento al 5 per cento scarta le formazioni politiche, fintanto che siano marginali.
Stante poi la caratteristica perfetta del nostro bicameralismo, il cui mantenimento è augurabile rispetto all’inefficiente bicameralismo differenziato (6), si impone la necessaria identità delle maggioranze nelle Camere. Tale necessità preesiste alla distorsione del premio (7), ma si amplifica con esso. (8) Inoltre i premi di maggioranza regionali al Senato aggiungono un’ulteriore distorsione che il premio nazionale non ha: è possibile che alla maggioranza dei voti nazionali non corrisponda la maggioranza dei seggi (questo è l’effetto negativo tipico del collegio uninominale).
Se la correzione va apportata a favore della parte che non raggiunga da sé l’autosufficienza in una od in entrambe le Camere, non è detto che la stessa, e non l’altra, sia quella che abbia la maggioranza relativa dei voti nell’altra Camera. (9)
Si ripropone così, in versione ridotta, l’altalena dei risultati prodotti dall’uninominale. Questa altalena, dovuta non tanto alla piccola differenza del bacino elettorale tra la due Camere (10), quanto al malcostume di votare diversamente a seconda della Camera, si supererebbe con la riduzione ad una delle schede. L’unico voto sull’unica scheda (11) si collegherebbe univocamente ad un solo schieramento che presenti liste o gruppi di liste per ognuna delle Camere. In questa maniera si risolverebbe anche l’imbarazzo costituzionale di quale Camera prevalga nel caso di opposte maggioranze. (12)
Il maggioritario non garantisce la rappresentatività né la governabilità. Il suo difetto sta nei collegi uninominali: da essi esce un vincitore e dei perdenti (13) non vi è traccia. (14) Le 3 elezioni politiche (15) con questo sistema confermano che l’uninominale è inaffidabile, per i suoi risultati attesi (16), anche ai fini della governabilità. (17) Ed anche con un’unica scheda e unico voto, residuerebbero due ipotesi di ingovernabilità sicura: pareggio tra i due schieramenti in entrambe le Camere ovvero maggioranza relativa di uno schieramento in entrambe le Camere.
Poi non solo è discutibile che il collegio avvicini gli eligendi agli elettori (18), ma lo è ancor più il dogma che la massima prossimità sia un bene. (19)
I due turni non risolvono i problemi del turno unico; nulla si garantisce di diverso rispetto alla aleatorietà ed alla altalena del risultato nazionale. Con la scusa di semplificare il quadro partitico, di fatto si aggiungono, alle trattative tra i partiti ed i partitini prima del primo turno, quelle tra un turno e l’altro. Perché non anticipare la funzione di selezione del voto utile, che il doppio turno fa passare per un ripetuto pronunciamento dell’elettorato, prevedendo nell’unico turno decenti soglie di sbarramento? In questo modo, certo con più rischi immediati per il centrosinistra, si semplificherebbe, già dopo il primo funzionamento della legge, il quadro partitico sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. (20)
Altrimenti, quelli che non passassero il turno, contratterebbero il loro appoggio (21) ai contendenti del secondo turno (22) per la vittoria nel collegio.
Il fatto stesso che c’è un secondo turno incentiva i partitini a presentarsi separati al primo. Non si può dire che con la scelta di quale polo appoggiare al secondo turno, ufficializzata davanti all’elettore e da questo sanzionata, le microformazioni sarebbero più timorose di cambiare casacca in corso di legislatura. Né si può dire che si scongiurerebbe una dislocazione al centro di alcune forze politiche. Semmai lo sbarramento secco al 5 per cento non darebbe cittadinanza parlamentare alle forze centriste (23) ma marginali.
I voti dati alle liste coalizzate che non superassero lo sbarramento, non dovrebbero essere conteggiati nel monte-voti coalizionale, al fine di attribuire il premio di maggioranza. (24) Rendendo inservibili per la coalizione i voti delle liste sotto-soglia, si spunterebbe l’altra arma di ricatto in mano ai partitini in sede di formazione delle liste e delle coalizioni. Questa è assai più che una sanzione per evitare la disgregazione delle coalizioni, è una misura di bonifica del quadro politico, la cui frammentazione è la causa dell’instabilità delle coalizioni.
Il problema è che il binomio proposto (premio, sbarramento), che eliminerebbe già dopo una legislatura le microformazioni sotto il 5 per cento, va approvato in un Parlamento in cui queste sono sovrarappresentate; ragion per cui serve l’accordo tra i partiti veri dei due schieramenti. (25)
Vi è poi l’ipocrisia circa liste bloccate: i candidati verrebbero eletti non già dagli elettori ma piuttosto dai partiti. Ma il peso delle strutture di partito è immutato sia rispetto al sistema uninominale (26), sia ad un proporzionale con circoscrizioni plurinominali di estensione ridotta (27), e con liste più corte.
Checché se ne dica si vota e ci si riconosce per diverse ideologie, ideali, tendenze; si vota quindi per un partito o coalizione di partiti, e si vota in un sistema bipolare. Altro è il vulnus originario alla sovranità popolare: la mancata attuazione dell’articolo 49 Costituzione, nella parte in cui è previsto un controllo della democrazia all’interno dei partiti, che vuol dire avvicendamento delle élite al governo degli stessi.

Un referendum senza soluzioni

In merito al proposto referendum, si attribuisce un effetto taumaturgico alla lista unica. Il suo unico effetto positivo sarebbe quello (28) di eliminare i meccanismi di vanificazione e differenziazione delle soglie di sbarramento. (29) Ma è certo che uno sbarramento alla Camera più basso di un punto (30) non giova nell’iperframmentazione italiana. Se non ci fosse neppure tale sbarramento, la normativa di risulta si potrebbe facilmente aggirare: fatto il listone unitario, trovato l’inganno. Più che di bipolarismo, si dovrebbe parlare di bilistismo: il listone è ben differente dalla coalizione omogenea, come l’esperienza del 1921 dovrebbe aver insegnato.
Si ripete poi la stessa favola del doppio turno (31): l’esito referendario assicurerebbe una minore possibilità di disgregazioni dei listoni. Ma se questi fossero composti, senza la soglia di sbarramento del 4 per cento, i partitini resterebbero nello stesso numero e selvaggi.
Il referendum non risolve:
1) lo sbarramento regionale al Senato; (32)
2) il premio di maggioranza regionale al Senato;
3) la possibilità di maggioranze diverse nelle due Camere.
Con un secondo referendum proposto si eliminerebbero le candidature multiple. In verità, tali candidature non sviluppano alcuna sudditanza da parte dei cooptandi verso i plurieletti, perché sono i vertici del partito a scegliere.
La risposta decisiva, anche per ciò, deve venire dalla democrazia interna ai partiti.


(1)
Rispetto al proporzionale puro pre ’93.
(2) Giacché non semplifica il quadro politico.
(3) Tutti e due unici e nazionali.
(4) Efficiente al sistema.
(5) Ecco perché il premio deve essere solo eventuale e variabile, nella misura in cui serva a raggiungere una maggioranza di seggi prefissata.
(6) Meglio sarebbe il monocameralismo.
(7) Le legislature della Repubblica proporzionale e della Repubblica maggioritaria testimoniano che discrepanze nel voto degli elettori tra le due Camere, e quindi nel risultato in seggi, sono state sempre presenti.
(8) Soprattutto perché spezzettato al Senato.
(9) Ipotesi di scuola che si è puntualmente verificata nel 2006.
(10) A Costituzione invariata, si dovrebbero stampare due tipi di scheda: quella per gli elettori sotto i 25 anni e quella per gli elettori che votano sia per la Camera sia per il Senato. Ovvero si potrebbe abbassare a 18 anni l’elettorato attivo per il Senato: ma questa modifica costituzionale ancora non basterebbe.
(11) Congiunta per Camera e Senato.
(12) Naturali od indotte dal premio.
(13) La/e minoranza/e.
(14) Se non eventualmente grazie al recupero proporzionale, che comunque è estraneo al congegno maggioritario.
(15) Precedenti quelle del 2006.
(16) Facendo una proiezione nazionale della miriade di collegi, vi è la possibilità e quindi la probabilità dei seguenti risultati:
1) maggioranza assoluta (o relativa) di uno schieramento in entrambe le Camere;
2) maggioranza assoluta (o relativa) di uno schieramento in una Camera, e dell’altro nell’altra Camera;
3) pareggio tra i due schieramenti in entrambe le Camere;
4) vittoria e pareggio di uno schieramento o l’altro, in una e l’altra Camera.
(17) Vedi, nella nota precedente, gli esempi 2, 3, 4, e anche l’esempio 1 (per l’ipotesi della sola maggioranza relativa).
(18) Perché, senza primarie e controllo della vita interna ai partiti, il candidato è un dato di fatto per l’elettore, che voterà solo per appartenenza, ideologia, ideali.
(19) Giacché, assumendo che essa sia un bene in sé, si potrebbe arrivare in futuro a rappresentanti direttamente eletti nelle riunioni condominiali (per le città) e nelle parrocchie (per chi non vive in condominio). Come è possibile solo immaginare questa rionalizzazione della rappresentanza politica in un’Europa federale?
(20) Il coraggio che serve nell’immediato ai partiti veri, deve essere sostenuto dalla loro consapevolezza che essi acquisterebbero, nel giro di una legislatura, la grande maggioranza dei voti che ora vanno ai partitini.
(21) Cioè la feudale concessione del loro elettorato.
(22) Che non avrebbero il coraggio di rifiutare.
(23) Forze politiche centriste non già perché portatrici di proposte politiche moderate, bensì perché, essendo assai minoritarie, devono tenersi al centro dell’attenzione.
(24) Nel caso in cui nessuna delle due coalizioni ottenga la congrua maggioranza di seggi.
(25) DS, Margherita, RC, FI, AN ed UDC.
(26) Anche il candidato del collegio uninominale era un dato di fatto.
(27) Circa l’estensione delle circoscrizioni, non vi è alcuna connessione tra essa ed eventuali forme di coinvolgimento democratico nella scelta dei candidati. E poi non vi è alcun valore giuridico aggiunto nel stampare sulle schede i nomi dei candidati, piuttosto che conoscerli dai manifesti, da internet e dagli altri mezzi di informazione.
(28) Espungendo dalla legge ogni riferimento alle coalizioni.
(29) Nazionale alla Camera e regionale al Senato.
(30) Unico e nazionale del 4%, invece che del 5%.
(31) In misura minore per la presenza comunque dello sbarramento al 4% alla Camera.
(32) All’8%. Esso non permetterebbe di sanare il quadro politico, giacché in alcune realtà i partitini (sotto il 5% a livello nazionale) hanno le roccaforti delle loro clientele, con picchi di consenso oltre l’8%.

Tutto il deficit sanitario Regione per Regione

Il deficit è una costante del Sistema sanitario nazionale. Anche per la politica di sotto-finanziamento perseguita da tutti i governi. Ma dal 2001 il debito è responsabilità delle Regioni. Che si comportano in modo assai diverso. Nel 2005, undici hanno agito sul controllo della spesa, ma dieci sembrano incapaci di contrastarne la dinamica. Dieci non hanno usato la leva fiscale e i ticket, scelti invece da sei Regioni. Mentre cinque attingono a risorse autonome del proprio bilancio. Ancora una volta, però, il rigore non è premiato.

Legge elettorale: davvero così importante?

Ma davvero, con tutti i problemi che ha l’Italia, la riforma della legge elettorale è una questione così rilevante? Se ci sono tanti partiti, non sarà semplicemente perché è la frammentazione della società italiana a richiederlo? E comunque, che c’entra la legge elettorale con la qualità della politica e in particolare della politica economica? Qualche dato per discuterne. E anche per orientarsi nel dibattito in corso.

Rebus italico

Le dimissioni del governo Prodi hanno riportato in primo piano il problema della governabilità del paese. E riproposto la vera questione: il bicamerilasismo perfetto. Tuttavia, se a parole tutti vogliono trasformare il Senato in una camera regionale con compiti limitati, non sembrano esserci né le condizioni politiche né i tempi per una riforma costituzionale di questa portata. Mentre si profila una revisione della legge elettorale incapace di incidere sui difetti fondamentali del sistema. Anche perché nessuno sembra volere un ritorno al maggioritario.

Meglio il proporzionale

Benvenuta la virata verso il proporzionale nei progetti di riforma elettorale. Nel nuovo contesto federalista, infatti, questo sistema realizza meglio il principio della sovranità popolare. E per raggiungere gli altri obiettivi che una buona legge elettorale si prefigge, bastano alcune regole: premio di maggioranza, soglia minima, indicazione a priori del leader, candidature in un solo collegio, una preferenza assegnata all’elettore. Tutto ciò riguarda la Camera. Solo dopo averlo realizzato si potrà pensare al Senato federale e alle norme per eleggerlo.

Due binari per la riforma della Pa

Nel memorandum governo-sindacati sulla riforma della Pa si intende migliorare la qualità dei servizi pubblici e misurare, verificare e incentivare la qualità dei servizi. Tuttavia, riuscirà a tradurre le buone intenzioni in comportamenti virtuosi? La proposta di Authority afferma la cultura della valutazione. Ma dovrebbe spostare il raggio d’azione dai singoli lavoratori alle singole unità amministrative, perché agli utenti interessa misurare la qualità ed efficienza dei servizi. Occorre dare ai dirigenti gli strumenti per esercitare con responsabilità il loro ruolo, in una dialettica equa ed equilibrata fra Pa e sindacati.

Quando la redistribuzione passa per l’addizionale

La Finanziaria 2007 consente agli enti locali di incrementare le addizionali Irpef e Irap. Che interessano anche i redditi più bassi. Chi le adotta, dunque, minerebbe l’azione redistributiva decisa dal governo. Non è così. Perché l’Irpef come strumento redistributivo ha molti limiti. E perché non è solo con il prelievo che si attua la redistribuzione. Buona parte della spesa comunale ha finalità dichiaratamente sociali. Bisogna quindi considerare come i comuni utilizzano le risorse aggiuntive e le possibili alternative per reperirle.

Verso Caserta

La stella polare del “documento Rutelli” , dello scorso novembre, era costituita dall’ampliamento degli spazi di concorrenza nei servizi, nazionali e locali, e dalla riforma degli strumenti di regolazione, a cominciare dal potenziamento e dal riordino delle Autorità indipendenti. Dal vertice di Caserta ci si aspetta che il governo dica finalmente quante e quali di quelle proposte verranno trasformate in provvedimenti legislativi e in atti di indirizzo politico, indichi con chiarezza la “squadra” che dovrà lavorarci e gli incentivi che verranno messi in campo per favorire le liberalizzazioni.

Se il federalismo si rafforza in Lombardia

La giunta lombarda ha avviato l’iter per l’ottenimento di maggiori competenze rispetto a quanto riconosciuto alle Regioni a statuto ordinario. Una possibilità prevista dall’articolo 116 della Costituzione. Che pone però molte questioni. Da quali motivazioni siano ammissibili per il riconoscimento del federalismo differenziato al suo finanziamento. Dalle modalità di monitoraggio dell’efficienza delle Regioni rafforzate nelle materie per cui sono fissati livelli essenziali al problema del debito pubblico e ai processi di decisione politica.

Il Patto in Comune

La Finanziaria chiede molto agli enti locali in termini di miglioramento dei saldi. Ma non è vero che le risorse addizionali offerte non sono sufficienti a garantire i servizi, almeno per l’aggregato. E’ vero però che per i comuni in disavanzo la correzione richiesta è robusta, superiore in media al doppio di quella complessiva per il settore pubblico. Questi problemi sono esacerbati dalla scelta della spesa corrente come criterio per la distribuzione dei sacrifici. E le sanzioni vanno modificate; così rischiano di essere controproducenti. In seconda pagina, una scheda di approfondimento.

Pagina 81 di 86

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén