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Co.co.co in transizione

Con la circolare interpretativa del ministero del Lavoro si attenuano alcune rigidità introdotte dalla nuova normativa sul mercato del lavoro. Porta qualche limitato chiarimento alla definizione di “progetto” e di “programma”. Tra punti ancora oscuri e ambiguità, l’effetto ultimo sarà favorire un adeguamento al nuovo regime più morbido di quanto si potesse prevedere. Ma la prassi che si va costruendo adesso dovrà comunque affrontare la verifica della giurisprudenza.

Tra salari, conflitti e progetti

Il nostro Presidente del Consiglio sostiene in TV che nell’ultimo anno gli stipendi sono cresciuti più dell’inflazione. A noi non risulta. Riproponiamo per i nostri lettori un’analisi di Tito Boeri e Pietro Garibaldi sulla dinamica dei salari nell’ultimo decennio.

Se non scioperi, ti premio

Per limitare gli scioperi nei servizi pubblici è meglio ipotizzare un sistema di incentivi, invece di sanzioni di difficile applicazione. Alla garanzia di continuità del servizio potrebbe corrispondere il pagamento di un premio di non-conflittualità, finanziato con un lieve aumento delle tariffe. Le somme raccolte sarebbero gestite da un ente autonomo, chiamato anche a restituirle agli utenti in caso di agitazioni. Si eviterebbe così anche qualsiasi modifica dei diritti e doveri di lavoratori e aziende.

Scioperi e regole

Con i nuovi scioperi dei trasporti si ripresentano gli stessi disagi, le stesse polemiche, gli stessi retroscena di sempre. Ma i sindacati confederali appaiono questa volta propensi a considerare una proposta sviluppata e dibattituta su questo sito, quella dello sciopero virtuale.  Fermo restando la necessità di applicare sanzioni a chi non rispetta le norme sull’esercizio del diritto di sciopero.  Riproponiamo gli interventi di Andrea Boitani, Pietro Ichino, Eugenio Somaini, Roberto Perotti e un esempio di accordo aziendale sullo sciopero virtuale.

Sciopero virtuale, una scelta di civiltà

Un accordo preventivo tra sindacati e imprese del settore potrebbe garantire la continuità del servizio durante gli scioperi: i lavoratori rinuncerebbero ai loro stipendi, ma l’azienda si impegnerebbe a versare il doppio o il triplo di questi in un fondo cogestito per opere di pubblica utilità. Così l’astensione dal lavoro costerebbe davvero cara all’azienda dei trasporti e il danno inferto non ricadrebbe sugli utenti. Una parte del fondo potrebbe essere poi utilizzata dalle due parti per informare la cittadinanza sulle ragioni del contendere.

Statistiche e privacy

Riproponiamo la scheda comparativa tra la Current Population Survey e le indagini sulle Forze Lavoro e i precedenti interventi nel dibattito su privacy e ricerca di Andrea Ichino, Nicola Rossi e i commenti di Mario Vavassori , Leonello Tronti e Saverio Gazzelloni.

Riforma delle pensioni e mercato del lavoro.

In risposta ad una lettera di Luca Paolazzi, Pietro Garibaldi torna a discutere l’impatto della riforma previdenziale sulla domanda di lavoro.
La decisione di andare in pensione rientra nella sfera delle scelte individuali. Ma un nuovo sistema previdenziale che alza l’età del pensionamento influenza il mercato del lavoro. Con due sole possibili alternative: un abbassamento delle retribuzioni lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Oppure, se i salari sono rigidi, una diminuzione della domanda di lavoro. La terza alternativa, un aumento della produttività dei lavoratori più anziani, appare poco plausibile.

Padri e figli, non c’è scontro sul lavoro

Più lavoro per gli anziani uguale meno lavoro per i giovani? Un vecchio luogo comune della vulgata economico-sindacale torna a far capolino nel dibattito sulla proposta di riforma della previdenza avanzata dal Governo Berlusconi. Cosa afferma questo luogo comune? Che il prolungamento della vita lavorativa delle persone più anziane impedisce l’accesso all’occupazione ai più giovani, perché non libera posti di lavoro. In altre parole i padri tolgono lavoro ai figli. Da questa convinzione discende la ricetta delle pensioni di anzianità come strumento di creazione di occupazione giovanile.
Ciò sarebbe vero se il numero di posti di lavoro fosse fisso e immutabile nel tempo. Quasi fosse una stanza tanto stipata di persone che per farne entrare un’altra occorrerebbe che qualcuna uscisse. (Il che può accadere per alcune categorie professionali altamente protette). Questa visione ha il fascino discreto della semplicità e a ciò deve la sua popolarità.
Quanto tale visione sia però errata lo dimostra il confronto internazionale: l’occupazione tra gli anziani è maggiore negli stessi Paesi in cui c’è minore disoccupazione giovanile (vedere grafico). Ciò perché in realtà non vi è nessuna legge di natura che predetermina un numero costante di posti di lavoro. In un sistema economico esistono invece condizioni di domanda e offerta. Condizioni che cambiano, aumentando o diminuendo l’occupabilità delle persone. E l’aspetto dinamico è quello più difficile da inglobare nelle analisi. Ma è l’aspetto più rilevante, perché non solo varia la dimensione dell’occupazione ma anche e soprattutto la sua composizione tra settori produttivi, tra imprese e, all’interno di una stessa impresa, tra figure professionali. Perciò è ben difficile, e comunque rappresenta un caso particolare, che al pensionamento di una persona corrisponda l’assunzione di un’altra.
Proprio a questo caso particolare, che può essere anche importante per una singola impresa, pare si riferisca una critica, elaborata da Pietro Garibaldi su lavoce.info e ripresa da Tito Boeri su Il Sole 24 Ore, al nuovo progetto di riforma previdenziale. Sostenendo che “l’aumento della vita lavorativa determina un aumento del costo del lavoro” (per unità di prodotto, aggiungiamo) e dunque riduce la domanda di lavoro, a scapito dei giovani, essendo gli anziani “bloccati” nel lavoro dal progetto di riforma previdenziale o da qualunque intervento determini l’allungamento della vita lavorativa.
Questa critica sollecita due osservazioni. Prima osservazione. Delle due l’una: se si ritiene che le misure proposte di incentivazione al rinvio del ritiro dal lavoro siano efficaci allora porteranno a un risparmio nella spesa previdenziale, e ciò implica una riduzione del costo del lavoro via abbassamento delle aliquote fiscal-contributive (o un loro mancato aumento). Se invece si ritiene che non saranno efficaci (e vi è più di una ragione per pensarlo) allora non ci sarà “ingabbiamento” di persone anziane nell’occupazione. In ogni caso quel che rileva è il costo del lavoro e ogni riforma che, abbassando la spesa, riduca la pressione fiscal-contributiva accresce l’occupabilità delle persone di ogni generazione.
Seconda osservazione. Se anche i meccanismi di spiazzamento descritti da Boeri-Garibaldi funzionassero, e non c’è da dubitare che in alcuni casi funzionino (ma l’evidenza aneddotica evidenzia anche casi contrari: la produttività di alcune figure professionali è più alta negli ultimi anni di vita lavorativa e le imprese si lamentano di perdere per pensionamento d’anzianità lavoratori preziosi), credo che per contrastarlo occorrerebbe usare strumenti diversi dal sistema previdenziale (che incide sulla sfera della libertà personale nel suddividere la vita in tempo di lavoro e in tempo libero). Per esempio, facendo ricorso a una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, alla formazione e riqualificazione, al sostegno integrativo delle retribuzioni.
Non mi pare invece molto formativo, nella già scarsa cultura economica italiana, risvegliare antichi luoghi comuni in un paese che negli ultimi anni ha imparato finalmente che si possono aumentare assieme l’occupazione degli anziani e l’occupazione dei giovani.

L’incerto futuro dei co.co.co.

Questa discussione telematica fra Paolo Sestito, coordinatore del Gruppo di monitoraggio politiche del lavoro presso il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, e Pietro Ichino, è avvenuta il 17 ottobre 2003 sul nostro portale. Nel dibattito, che qui riportiamo, vengono affrontati i principali cambiamenti che la Legge Biagi, in vigore dal 24 ottobre, porterà ai cosiddetti co.co.co.

Riforma delle pensioni e domanda di lavoro

Un dibattito tutto concentrato sugli interventi sull’offerta di lavoro ignora le possibili conseguenze sul lato della domanda. Che probabilmente tenderebbe a diminuire perché l’aumento della vita lavorativa determina una crescita del costo del lavoro. Oltre agli incentivi per chi rimanda la pensione, è necessario pensare a premi per le imprese, magari sotto forma di sgravi fiscali. Ben sapendo che il sistema imprenditoriale assorbe già molte risorse pubbliche.

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