La proposta di direttiva europea sul salario minimo adeguato riconosce il ruolo cruciale della contrattazione collettiva. Sotto questo profilo l’Italia è in regola. Ma restano aperte alcune questioni rilevanti, che richiedono un riordino della normativa.
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La legge di bilancio contiene misure positive per il sostegno all’incontro fra domanda e offerta di lavoro, riprendendo strumenti previsti dal Jobs act. Ma la macchina si mette in moto troppo tardi e troppo lentamente rispetto a un’emergenza drammatica.
La cassa integrazione permette di dare sostegno economico ai dipendenti adibiti ad attività sospese o ridotte a causa di una crisi temporanea, come il lockdown. Per applicarla ai dipendenti pubblici, si può estendere l’istituto della “disponibilità”.
Lo smartworking può essere un’opportunità per migliorare la produttività nella pubblica amministrazione. Ma sono necessari investimenti mirati nella formazione della forza lavoro, nella revisione del sistema di valutazione e nell’accesso a Internet veloce.
In tempo di pandemia, anche i servizi per l’impiego si ritrovano a fare i conti con lo smart working. Ma l’Italia continua a pagare un gap organizzativo, di risorse e di personale con gli altri paesi europei. A partire dallo scoglio del digital divide.
La decisione di JustEat di inquadrare i propri ciclofattorini come dipendenti implica la sperimentazione di un nuovo modello di organizzazione del rapporto di lavoro. Ma servirà comunque una deroga rispetto alla disciplina generale del lavoro subordinato.
La Commissione europea ha promosso una proposta di direttiva per un salario minimo adeguato nei paesi dell’Unione. Ma sono numerosi i punti critici del suo impianto. E tanti i dubbi sulla sua efficacia. Anche perché si parte da situazioni molto diverse.
Le stime sul salario minimo sono molto variabili perché tutto dipende dalla definizione che se ne darà. Servono nuovi studi e ragionamenti prima di procedere con qualsiasi iniziativa. E la proposta di direttiva della Commissione offre un’indicazione.
Il “Fondo nuove competenze” dovrebbe consentire ai lavoratori di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro. Il problema è che la scadenza per l’inizio dei corsi, finanziati con 700 milioni, è il 31 dicembre. E il percorso per attivarli molto tortuoso.
Anziché congelare le eccedenze di forza-lavoro in attesa che ciascuna azienda possa riassorbire la propria, andrebbe sostenuta la transizione dalle aziende in crisi a quelle che cercano manodopera e non la trovano. Che sono più di quante si pensi.