All’inizio del 2015 la Germania ha introdotto un salario minimo. Non mancano i problemi, legati al livello della paga e agli effetti sull’occupazione. Per noi italiani è comunque un esempio utile da studiare se si vuole adottare un minimo salariale senza aggravare le situazioni già difficili.
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La strategia di flessibilità adottata in Europa negli ultimi vent’anni ha originato una forte segmentazione dei mercati del lavoro. I dati mostrano che l’accesso a forme di occupazione stabile è diventato problematico. E non si vede l’aumento di posti di lavoro che avrebbe dovuto comportare.
Eurostat dice nove mesi, ma l’Ocse calcola che a un laureato italiano servano quasi quattro anni per trovare un lavoro stabile. E in più, prima, ha impiegato molto più tempo per arrivare alla laurea rispetto ai coetanei europei. Così si accumulano differenze di capitale umano difficilmente colmabili.
Il salario minimo è diventato un tema caldo in giro per il mondo. Quale potrebbe essere un livello adatto per l’Italia? Per fissarlo è necessario che sia in proporzione alla produttività ed ai salari prevalenti nelle varie realtà territoriali.
Era stato previsto nel Jobs Act, ma è stato escluso dai decreti attuativi. Eppure un salario minimo può essere uno strumento efficace nel contrastare l’aumento della povertà nel nostro paese. Fondamentale però che tenga conto del tessuto industriale e sia proporzionato alla produttività nazionale.
Nasce l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, arriva l’assegno di ricollocazione e mutano alcune caratteristiche del rapporto pubblico-privato nella fornitura dei servizi. Cosa determinerà il successo dei nuovi strumenti e quale sarà il costo per lo Stato.
Il decreto legislativo di riordino della normativa sui servizi per il lavoro e le politiche attive propone un nuovo modello di organizzazione del mercato del lavoro, costruito sulla centralità delle strutture pubbliche. Ma i suoi strumenti restano ancorati all’ambito delle politiche passive.
Approvate dal governo le nuove regole del Jobs act sulla conciliazione famiglia-lavoro. La principale novità è l’allungamento del periodo di tempo entro cui si può beneficiare del congedo parentale. Bene l’aumento della flessibilità nella gestione del tempo, ma si tratta solo di un primo passo.
Il dato di aprile sull’occupazione è superiore alla attese. E si aggiunge ad altri segnali che fanno ben sperare. Ma qualche cautela andrebbe mantenuta. Perché se il lavoro cresce più velocemente del Pil, la produttività media si abbassa. L’aumento inatteso del tempo determinato.
L’idea di un’assicurazione europea contro la disoccupazione ha successo: può riaffermare l’ideale di un’Europa solidale e finanzierebbe i sussidi per la perdita del lavoro, senza pesare sulle finanze pubbliche. La proposta troverà spazio nel rapporto dei “quattro presidenti”?