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Categoria: Lavoro Pagina 68 di 113

L’INDENNITÀ NELL’INCERTEZZA

La possibilità del reintegro nel posto di lavoro non è la questione fondamentale nella discussione sulla riforma del lavoro. È più importante disegnare l’indennità di licenziamento in modo da ridurre il contenzioso. La riforma Fornero non risolve il problema. Meglio sarebbe ricorrere a un meccanismo simile a quello tedesco, che prevede un indennizzo automatico per il lavoratore. Servirebbe a responsabilizzare aziende e dipendenti. Senza impedire il ricorso al giudice se il lavoratore ritiene ingiusto il licenziamento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti i lettori e cerco di rispondere ai quesiti sull’analisi proposta nell’articolo.

1) Luca Falciasecca, HK e Arnaldo Mauri notano come l’intermediazione informale ci sia in tutto il mondo e che spesso svolga una funzione positiva – una sorta di passa parola – circa le qualità (il  talento) di un soggetto. Sono assolutamente d’accordo, infatti nella tabelle e nel grafico, ho indicato a parte  questo dato relativo all’“informale professionale”. L’etichetta applicata non è delle più felici “Attraverso ambiente” [lavorativo], pertanto invito alla lettura dell’articolo completo dove questi passaggi sono chiariti in maniera (spero) esaustiva. Quello che rimane, al netto di coloro che trovano lavoro informalmente in virtù della loro (buona) reputazione, è proprio la quota di posti di lavoro gestiti fuori dal mercato: o attribuiti per trasmissione parentale (il posto nello studio, nell’impresa, nel negozio di famiglia) o perché dati su segnalazione o raccomandazione.
2) Simone Caroli e Luigi Oliveri si chiedono se la riforma in corso modificherà le cose, e suggeriscono anche in che direzione si potrebbe agire, rimarcando soluzioni anche da noi proposte e sostenute. Faccio notare nel documento licenziato dal CdM, e quindi ancora provvisorio, alcuni passaggi: “Per i centri per l’impiego, è necessario individuare Livelli Essenziali di Servizio omogenei … [erogati] direttamente o da agenzie private … Vanno definite premialità e sanzioni per incentivare l’efficienza dei servizi per il lavoro e per spingere a comportamenti virtuosi sia i soggetti che erogano i servizi, sia le persone/lavoratori che beneficiano dei servizi e dei sussidi. Occorre prevedere … una dorsale informativa unica e l’utilizzo dei flussi congiunti … caratterizzato da codifiche uniformi … condizione essenziale … per realizzare la convergenza tra politiche passive e attive [ovvero l’ASpI]…”
3) Cristina Gardani e Savino invece mettono l’accento sul costo opportunità che la pratica diffusa della raccomandazione crea in termini di riduzione delle posizioni libere sul mercato (quelle per cui concorrere) per chi è sprovvisto di una rete personale. In particolare se le persone migliori non sono nei posti migliori la produttività ne risente e, visto il livello medio della crescita economica del nostro paese negli ultimi anni, parrebbe che il fenomeno sia diventato eccessivo, anzi patologico. Come per molti altri aspetti della vita economica, l’inefficienza, non è più sostenibile. Quando le cose vanno male, si deve risparmiare su tutto e anche il raccomandato diventa un lusso non tollerabile. Inoltre la raccomandazione potrebbe creare cattiva produzione ovvero servizi erogati sotto gli standard tradizionali (banalizzando: il padre bravo avvocato difendeva meglio del figlio cattivo avvocato. Ciò vale per il dentista come per il fornitore di componenti, per l’idraulico come per il ristorante, ecc.) e quindi per l’utente la raccomandazione diventa un danno economico (e a volte fisico) e non solo una recriminazione personale.
4) Marco Ascari e Roberta d’Arcangelo parlano di politici. Anche altri notano come nel privato alcuni  comportamenti siano semplicemente deprecabili mentre nel pubblico diventano penalmente rilevanti. Ovviamente sono d’accordo con questa lettura, ma attenti ad una generalizzazione: combattere chi ha inserito (o si è fatto inserire) nella PA impropriamente è un bello sport che va praticato intensamente, invece dire che chi è nella PA è, necessariamente, un raccomandato è una offesa gratuita. Eccellenze e persone per bene e preparate nella Sanità, nell’Istruzione, nelle Aziende Pubbliche, nella Amministrazione Centrale e Periferica non sono una eccezione e spesso suppliscono a fallimenti della politica e del mercato, generano progresso e profitti. Generalizzare vuol dire umiliare chi lavora in condizioni difficili e fare il gioco di chi non lavora. Scendere nel dettaglio e fare i nomi è la strategia più indicata, a mio avviso, per non scadere nel populismo.
5) Invito Roberta d’Arcangelo a leggere il  testo completo in cui il raffronto tra l’intermediazione lato offerta e lato domanda viene fatto per sotto-popolazioni omogenee (per esempio i giovani nel privato) e i risultati convergono in maniera sorprendente.

SOLO LA CIG NON CONOSCE DECLINO

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ARTICOLO 18 NELLA PA: UNA DOMANDA A DUE MINISTRI

Non solo ai dipendenti pubblici si applica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma è già stato introdotto il licenziamento per ragioni economiche, così come il licenziamento individuale. La modifica dell’articolo 18 proposta dal governo non farebbe altro che coordinare meglio le norme e dettare una convergenza tra disciplina del lavoro privato verso quella del lavoro pubblico, che per una volta è stata più rigorosa. A meno che nel testo definitivo non sia prevista una specifica deroga per il pubblico impiego. Ed è appunto questa la domanda che rivolgiamo al ministro.

LA RIFORMA DEL PRINCIPE DI SALINA

La riforma del lavoro ha due pregi e molti difetti. I pregi consistono nell’aver messo fine al potere di veto delle parti sociali e nell’ampiezza dei temi affrontati. Sull’articolo 18, le nuove norme danno più potere ai giudici e aumentano l’incertezza. Non si allarga la platea dei potenziali beneficiari degli ammortizzatori sociali. Gli interventi sul dualismo possono peggiorare la condizione dei lavoratori e aggravano i costi delle imprese senza offrire una vera nuova modalità contrattuale in ingresso. Con il rischio che tutto questo riduca fortemente la domanda di lavoro.

OCCUPAZIONE: LA RIPRESA SFIORATA E SFUMATA

Dopo un buon primo semestre, i posti di lavoro dipendente in Italia sono tornati a diminuire anche nel 2011. Il bilancio negativo ha colpito soprattutto la manodopera maschile, ma non i lavoratori stranieri. Le perdite riguardano in particolare l’industria manifatturiera e le costruzioni. E per tipologia di contratto sono concentrate in quelli a termine e di apprendistato. Crescono le trasformazioni di contratti a tempo determinato in indeterminato, mentre i licenziamenti si mantengono su un livello superiore del 50 per cento rispetto a quello medio degli anni pre-crisi.

CREANO DANNI LE RACCOMANDAZIONI

Come trovano lavoro gli italiani? Cresce il ruolo delle agenzie private per il lavoro, in particolare per i giovani e resta costante quello dei Centri per l’impiego. Fermo il canale dei concorsi pubblici. L’intermediazione informale ha invece raggiunto livelli molto alti. E con aspettative economiche negative, si corre il rischio di chiudersi ancora di più a riccio, in una sorta di protezionismo familiare, che potrebbe contrarre ulteriormente i volumi economici e le occasioni lavorative, innescando una spirale negativa.

RESTA UNA ROULETTE

Ringraziamo Nicola Persico per aver portato nuova linfa al confronto di opinioni tra economisti e magistrati originato dai nostri articoli, confronto che, per inciso, forse non avrebbe avuto luogo senza gli articoli stessi.

UN ESEMPIO CHIRURGICO

Può essere utile, per chiarire il nostro pensiero alla luce dei commenti di Nicola Persico, considerare il caso di una malattia che, allo stato attuale delle conoscenze mediche, possa essere curata solo con un intervento chirurgico eseguibile in diverse varianti tutte molto incerte. I pazienti arrivano al pronto soccorso e casualmente trovano in servizio uno dei tanti chirurghi di un ospedale. I chirurghi sono tutti bravissimi, ma hanno legittime opinioni diverse su quale sia la variante migliore di intervento a seconda delle peculiarità specifiche del malato. I cittadini, quindi, senza alcuna “colpa” dei medici, si trovano esposti a una lotteria, riguardo ai risultati dell’operazione, che in parte deriva dall’incertezza stessa della tecnica chirurgica e in parte deriva anche dai legittimi orientamenti del medici. È perfettamente possibile che la variante A preferita dal medico X generi mediamente esiti più infausti, ma, in caso di successo, dia risultati migliori. Viceversa, con la variante B preferita dal medico Y.
In questo contesto, ipotizziamo che venga scoperta una terapia farmacologica che riduce notevolmente la variabilità degli esiti terapeutici, anche senza assicurare guarigione certa. La terapia farmacologica riduce solamente l’incertezza a cui sono esposti i cittadini che devono ricorrere al pronto soccorso. Per quale motivo l’ospedale non dovrebbe prendere in considerazione la terapia alternativa, che implicherebbe di non affidare più ai chirurghi il trattamento dei casi corrispondenti?

CONCILIAZIONE E TRASPARENZA

I nostri articoli non erano finalizzati a stabilire quanto della variabilità dei tempi e degli esiti osservati nei tribunali considerati sia dovuta a “errore” del giudice. Questa è la domanda studiata nel saggio americano citato da Nicola Persico, ma non è quella che a noi interessa. (1) Anche se la variabilità fosse interamente dovuta a validissimi motivi (cause pregresse nel caso dei tempi, legittimi orientamenti nei casi degli esiti), il nostro punto rimarrebbe valido: l’attuale assegnazione casuale dei processi ai giudici, per ottemperare all’articolo 25 della Costituzione, genera una lotteria per i cittadini anche senza colpe per i magistrati. La lotteria è inevitabile per molti processi in cui l’accertamento giudiziale è insostituibile, ma almeno per quelli dovuti a giustificato motivo oggettivo esiste una “terapia” alternativa che assicura al cittadino meno incertezza.
E questo a maggior ragione nei casi di licenziamento per motivo economico e organizzativo, nei quali i giudici non devono interpretare “uno stesso fatto” come ritiene Persico. Devono invece esprimere una valutazione sul futuro, ossia sulla probabilità che il posto di lavoro in futuro generi una perdita e su quanto grande la perdita sia. E, alla luce di queste valutazioni, devono decidere se la perdita attesa (data dalla probabilità di perdita moltiplicata per la sua entità) sia sufficientemente alta da potersi considerare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Per inciso, val la pena di ricordare anche che, nell’attuale disciplina, il lavoratore (sfortunato) per il quale il licenziamento venga considerato legittimo per motivo economico-organizzativo (e quindi senza nessuna sua colpa) si ritrova con un pugno di mosche in mano. Con il metodo del risarcimento, potrebbe in ogni caso godere di una somma di denaro che lo aiuterebbe a transitare ad altra occupazione. Anche solo per questo motivo, non sembra preferibile la “terapia alternativa”?
Riguardo ai casi conciliati, il nostro articolo dice chiaramente che: “sotto l’ipotesi che la frazione di sentenze favorevoli al lavoratore emesse da un giudice sia proporzionale al grado in cui le conciliazioni indotte dallo stesso giudice siano favorevoli al lavoratore, possiamo concludere che, anche tenendo conto dell’elevato numero di conciliazioni, la lotteria derivante dall’assegnazione casuale dei processi ai magistrati di un tribunale implica probabilità di vittoria molto differenti a seconda della sorte”. Ci sembra un ragionamento basato su un’ipotesi plausibile, da verificare ovviamente se fossero disponibili dati precisi sugli esiti delle transazioni conciliative. Anche in questo caso servono dati e trasparenza per una ricerca che sarebbe utilissima.
Infine colpisce, sempre a proposito di trasparenza totale, come sia interpretata negli Stati Uniti: lo studio americano riporta addirittura la performance dei differenti giudici con il loro nome.

(1) Fischman, Joshua B., “Inconsistency, Indeterminacy, and Error in Adjudication” (February 27, 2012). Virginia Public Law and Legal Theory Research Paper No. 2011-36. Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=1884651

LA RISPOSTA A LUIGI OLIVERI

Ringrazio Luigi Oliveri per il suo articolo “Meglio potenziare i servizi pubblici all’impiego”, in quanto permette di approfondire un tema da me esposto. Prima di soffermarmi sulle proposte alternative dell’autore, ritengo necessario fare alcune precisazioni riguardo la mia proposta.

IL GIUDICE E LE SUE STATISTICHE

Studiare l’eterogeneità nelle decisioni giudiziarie è importante oltreché legittimo. Ma i dati statistici sui quali si fonda il ragionamento devono essere completi e interpretati con attenzione. Soprattutto quando si tratta di questioni delicate come l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una certa differenza nelle decisioni dei magistrati su uno stesso argomento è inevitabile, e anche opportuna, perché riflette diverse interpretazioni della legge. E la giurisprudenza deve essere plastica ed evolversi nel tempo, per adattarsi ai mutamenti nella società.

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