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QUANDO GLI INCENTIVI BATTONO I FAVORITISMI

Quali sono gli effetti del favoritismo e della corruzione sull’andamento economico? Uno studio mostra che le connessioni sociali hanno conseguenze complessivamente negative sul funzionamento dell’impresa quando i manager sono pagati con un importo fisso, mentre ciò non accade quando si aggiunge un premio di risultato. Una questione di incentivi. Per questo la presenza generalizzata del fenomeno induce individui e imprese a investire tempo e denaro nella ricerca di connessioni, agganci, piuttosto che a migliorare il proprio grado di efficienza.

TUTELIAMO IL REDDITO, NON IL POSTO FISSO

I vincoli ai licenziamenti previsti dalle normativa italiana hanno lo scopo di assicurare il lavoratore contro le possibili fluttuazioni del mercato del lavoro e trasferirne il peso sull’impresa che può neutralizzarle con maggiore facilità. Ma ai vantaggi di una maggiore stabilità dell’impiego corrispondono i costi di una più lunga durata della disoccupazione e di minori salari. Senza contare i diversi modi per aggirare la legislazione, un problema che la crisi ha reso ancora più evidente. Meglio allora ripensare l’intero modello.

COSÌ CAMBIA IL CONTENZIOSO DEL LAVORO

Il Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge 1167-B. Per favorire la composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro, introduce all’articolo 31 una pluralità di rimedi, facoltativi e volontari, alternativi al ricorso al giudice del lavoro e rafforza le competenze delle commissioni di certificazione. Ma le nuove disposizioni riguardano anche numerosi altri aspetti. Ecco una scheda ragionata per capire meglio le nuove regole e gli interventi a conclusione della discussione in Senato del rappresentante della maggioranza, il senatore Giuliano e del rappresentante dell’opposizione, il senatore Ichino.

COSA POSSONO DAVVERO FARE GLI ASILI PER LE DONNE

Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi, a seconda della fascia d’età (si veda il grafico sotto). Lo afferma una ricerca condotta dal Dipartimento di Programmazione del Comune di Bologna sui redditi Irpef dei cittadini di questa città, presentata recentemente all’Istituto Gramsci.
Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera.

Bologna è forse la città italiana che ha la maggiore densità di asili nido e che offre i migliori servizi sociali alle famiglie (210 milioni di euro spesi dal Comune, ossia ben il 40 per cento delle sue spese correnti secondo la stessa ricerca). Tutta l’Emilia Romagna, in realtà, primeggia in questa classifica, come ci hanno recentemente ricordato Daniela Del Boca e Alessandro Rosina e nel loro libro "Famiglie Sole"(Il Mulino, 2009). Proprio grazie a questi servizi, sostengono Del Boca e Rosina, i tassi di fecondità e di partecipazione al lavoro delle donne sono relativamente alti e crescenti in Emilia Romagna mentre sono bassi e decrescono in Campania, dove i servizi sociali alle famiglie scarseggiano e sono di bassa qualità.
È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti. Ma alla luce dei dati sulle differenze di reddito tra donne e uomini a Bologna, è almeno altrettanto evidente che gli asili possono al massimo essere una palliativo per i sintomi della malattia, non la terapia che ne risolve le cause.

MA LE DONNE LAVORANO DI PIÙ

E questo perché la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie. Questa è la tesi che insieme ad Alberto Alesina ho proposto nel libro "L’Italia fatta in casa" (Mondadori, 2009). Finché le donne italiane lavoreranno in totale 80 minuti in più degli uomini (sommando il lavoro casalingo a quello retribuito) e soprattutto finché saranno loro ad essere sempre "on duty" per la famiglia anche nei momenti in cui lavorano fuori casa, esse non potranno esprimere nel lavoro retribuito la stess energia e la stessa produttività degli uomini. Possiamo costruire tutti gli asili che vogliamo, ma non vedremo grandi risultati se sarà sempre la madre a "staccare" comunque alle 16.00, qualsiasi cosa succeda in ufficio, per riportare a casa i figli. Oppure se sarà sempre lei a farsi carico di trovare una soluzione quando l’asilo rifiuta i figli perché ammalati. E gli esempi potrebbero continuare, considerando molti altri compiti familiari, dalla lavatrice rotta che allaga la casa ai nonni anziani da accudire.
Forse costruire asili a spese del contribuente può essere una buona idea per altri motivi, ma sembra difficile sostenere che questo intervento possa risolvere in modo significativo il problema degli squilibri di genere e i dati di Bologna supportano questa tesi. Se veramente gli italiani ritengono che gli squilibri di genere siano un problema, allora bisogna intervenire sul modo in cui i compiti familiari sono divisi tra uomini e donne. Ad esempio riducendo le tasse sul lavoro femminile come da noi proposto.Ma anche se i motivi per auspicare la costruzione di asili nido pubblici fossero altri (diversi dalla equiparazione delle differenze di genere), bisognerebbe comunque valutare se essi giustifichino l’onere imposto ai contribuenti, in particolare quelli che figli non ne hanno. Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne? Io ad esempio ne ho quattro e non vedo motivi per cui la società debba farsi carico di questo.
Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione? La densità in Italia è di 195 persone per chilometro quadrato contro 32 della media europea. Forse gli italiani ricominceranno a fare figli, senza incentivi pubblici, quando l’onda dei 50enni prodotta dal "baby-boom" sarà passata.
Si sente anche dire a volte, soprattutto in ambienti di sinistra, che faccia bene ai bambini stare in asilo nido fin da subito dopo il parto. Può darsi, ma non mi risulta che di questo ci siano prove statistiche convincenti, ossia prove che soddisfino gli stessi requisiti di validità statistica che riteniamo necessari ad esempio per stabilire la validità di una terapia medica. Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato.
Allora, non è forse meglio tassare di meno le donne e quindi le famiglie (magari sussidiando con vouchers quelle povere) in modo che madri e padri siano effettivamente effettivamente liberi di scegliere come e dove educare i loro figli e quanto tempo a loro dedicare?

RISPOSTA AD ANDREA ICHINO: UN’ITALIA PIÙ POVERA SENZA ASILI NIDO

Nel suo intervento Andrea Ichino, in commento ad un nostro recente articolo, mette in dubbio l’utilità degli asili nido. Cogliamo l’occasione per chiarire meglio la nostra posizione a favore dei servizi per l’infanzia come importante strumento di conciliazione nella fase delicata in cui è più difficile lavorare e occuparsi dei piccoli (secondo i dati Istat, oltre una donna occupata su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio (1)).

AI:“Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi (…). Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera”.

DB e AR: Concordiamo. Non abbiamo certo scritto che, di per sé, l’offerta di nidi sia in grado di realizzare l’uguaglianza delle opportunità di lavoro e di salario tra uomini e donne.  Nessuno, a quanto ci risulta, ha mai azzardato un’ipotesi di questo tipo. Abbiamo semplicemente sottolineato come gli asili nido possano spesso rivelarsi un concreto aiuto per le donne con figli piccoli che desiderano continuare a lavorare. Molte famiglie non hanno nonni e altri parenti vicini e non hanno un reddito sufficiente per il ricorso sistematico ad una baby sitter.

AI:“È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti”.

DB e AR: Se il riferimento è al caso particolare degli Stati Uniti, va precisato che in tale contesto il mercato del lavoro è meno discriminatorio verso le donne, offre più opportunità occupazionali in genere e più part-time, ma ci sono poi anche servizi per l’infanzia non pubblici di vario costo e tipo (nidi familiari, nidi sul posto di lavoro, ecc.). Se però guardiamo ai casi a noi più vicini (quelli europei) si nota come i paesi con più alta fecondità (Francia e i paesi scandinavi) siano anche quelli dove rilevante è l’investimento in strumenti di supporto pubblico (non solo privato) alle famiglie con figli.
Ma al di là di casi specifici, quello che in generale si è osserva è che i paesi che più e meglio hanno investito in misure di conciliazione presentano, tendenzialmente, anche più elevati livelli sia di fecondità che di partecipazione femminile al mercato del lavoro (ci sono molte analisi in proposito, si veda per una rassegna il rapporto Ocse di D’Addio  e Mira d’Ercole (2). Ma questo risulta sempre più vero anche all’interno del territorio italiano, tanto che la fecondità è aumentata di più, anche la netto dell’immigrazione, dove maggiori sono sia l’occupazione femminile che le varie possibilità di conciliazione.
Tra gli strumenti di conciliazione particolare importanza hanno i servizi di cura per l’infanzia, tanto che nella Strategia di Lisbona dell’Unione Europea non viene fissato solo il livello di occupazione femminile da raggiungere (60%), ma anche quello di un’adeguata copertura di asili nido (33% su bambini in età 0-3). Lo stesso governatore di Bankitalia ha affermato che “le stime disponibili mostrano come l’incremento della disponibilità di posti negli asili nido avrebbe un effetto positivo sia sulla decisione delle donne di lavorare, sia sulla loro scelta di avere figli”. Sull’importanza di un ruolo del pubblico e sulle carenze italiane segnaliamo, inoltre, un recente contributo di Chiara Saraceno.

AI: “la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie”.

DB e AR: E’ vero che la scelta di un figlio produce conseguenze che ricadono soprattutto sulla madre. Come abbiamo scritto nel nostro libro, è importante invece che lo stato (con offerta di strumenti di cura), le aziende (con possibilità di ricorrere a part-time e consentendo orari più flessibili), i padri (contribuendo di più ai compiti familiari e di cura) facciano ciascuno la loro parte.

AI: “Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne?”

DB e AR: Curiosa questa obiezione, visto che l’Italia è attualmente uno dei paesi che penalizzano di più chi ha scelto di avere figli. Questo vale sia sul piano fiscale che su quello dei servizi. In particolare, la quota di spesa sociale che va per la voce “famiglia” è, come ben noto, una delle più basse (spendiamo meno della metà rispetto alla media europea).
Ma forse spendiamo anche troppo per chi, come Ichino, pensa che il figlio sia un bene privato e che i costi debbano ricadere su chi ha fatto tale scelta. Si potrebbe obiettare in vari modi (il discorso ha inoltre valenza più generale visto che investe tutto il ruolo pubblico e il preteso diritto di ciascuno di scegliere cosa contribuire a finanziare e cosa no). Ci limitiamo ad osservare che questa argomentazione non tiene conto del fatto che le misure di conciliazione consentono alle donne con figli di poter partecipare in modo più continuativo al mercato del lavoro e quindi ad avere non solo maggior benessere familiare ma anche  contribuire alla crescita economica del paese e alla sostenibilità del sistema di welfare. Penalizzare chi desidera avere figli non aiutandolo con strumenti adeguati a partecipare al mercato del lavoro ci sembra non solo iniquo ma anche socialmente controproducente. Rischia inoltre di aumentare la povertà delle coppie con figli che rimarrebbero monoreddito. Perché dovremmo assisterle con un voucher quando potrebbero difendersi dalla povertà con un proprio lavoro? Meglio incentivare comportamenti responsabili che l’assistenzialismo.

AI: “Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione?”

DB e AR: Sul fatto che gli asili nido possano favorire la fecondità abbiamo già detto. Aggiungiamo a tal proposito anche evidenze empiriche che provengono da un’analisi recente sul caso spagnolo (molto più simile all’Italia rispetto agli Stati Uniti): dove si ottiene “a significant and positive effect of regional day care availability on both first and higher order births” (3).
Gli asili nido sono uno strumento utile per le donne che lavorano a non rinunciare ad avere un figlio se lo desiderano in assenza di nonni a disposizione per poter accudire i bambini quando sono al lavoro. Meno strumenti di conciliazione le coppie hanno a disposizione, più facilmente si fermeranno al figlio unico se non vogliono rinunciare al lavoro. Oppure possono essere incentivate a rinunciare ad opportunità di carriera per rimanere a vivere vicino ai nonni e non perdere il loro aiuto.
Ma c’è di più. Secondo Andrea Ichino non pare importante ciò che a noi sembra cruciale cioè mettere tutti nelle condizioni di scelta di avere figli (anche a chi non ha redditi elevati e chi non ha nonni vicini), visto che la popolazione cresce già abbastanza con il contributo degli immigrati.
Questa argomentazione ignora che la conseguenza maggiore della persistente denatalità italiana non è tanto il declino o meno della popolazione quanto gli squilibri che si creano nella sua struttura.
L’accentuato invecchiamento della popolazione italiana richiederebbe un riequilibrio attraverso una minore denatalità e una maggiore occupazione femminile. L’intenso invecchiamento della popolazione è proprio uno dei fenomeni che gli altri paesi meno ci invidiano. Anzi, sono particolarmente interessati a vedere come ce la caveremo nei prossimi decenni per capire quali errori evitare.
Come anche le ultime previsioni Istat confermano, l’apporto dell’immigrazione su questo aspetto è rilevante ma limitato. Sulla nota informativa di presentazione, si legge: “L’aspetto in assoluto più certo di tutte le previsioni è il progressivo e inarrestabile incremento della popolazione anziana (…), tanto in termini assoluti quanto relativi” (4).

AI:“Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato”

DB e AR: Questo è un tema che consideriamo molto importante e su cui stiamo lavorando. Soprattutto in un paese di figli unici e di genitori iperprotettivi, l’asilo con opportuni standard di qualità, può essere un utile strumento per una socializzazione più equilibrata dei figli. Un asilo inteso solo come parcheggio per il figlio è deleterio. Il bene del bambino lo si ottiene non solo se tale strumento aiuta la famiglia a proteggere il proprio benessere grazie alla possibilità della madre di non rinunciare al lavoro, ma anche, soprattutto, se fornisce benefici in termini di formazione e crescita. Per questo, come spesso sottolineiamo, è cruciale investire nella qualità dell’offerta, non solo sulla copertura.
Un’ultima precisazione. L’offerta di servizi per l’infanzia e’ strumento per ampliare le scelte delle famiglie, uno strumento disponibile assieme ad altri, che la coppia decide o meno di scegliere. Il problema è che attualmente in Italia, più di altri paesi, tale scelta è spesso negata per la carenza di un’offerta adeguata.
Come mostrano, poi, alcuni studi della Banca d’Italia, nelle regioni dove più ci sono asili nido più lunga è anche la lista di attesa, il che suggerisce che l’offerta di nidi di adeguata qualità può contribuire ad attenuare alcune resistenze culturali verso la delega della cura dei figli piccoli

(1) Linda Laura Sabbadini (2004, a cura di), Come cambia la vita delle donne, Demetra, Atti e interventi n. 6, Roma.
(2) Anna Cristina D’Addio e Marco Mira d’Ercole (2005), "Trends and Determinants of Fertility Rates in Oecd Countries: The Role of Policies", Oecd Social, Employment and Migration Working Papers.
(3) Pau Baizan (2009),  “Regional child care availability and fertility decisions in Spain”, Demographic Research, 21(27).
(4) Istat,Previsioni demografiche. 1° gennaio 2007-1° gennaio 2051. Nota informativa (19 giugno 2008).

INTERVENIRE PRIMA CHE PASSI LA NOTTATA

Disoccupazione all’8,6 per cento e Pil 2009 a -5 per cento: l’economia italiana soffre ancora i colpi di coda di una crisi ormai finita. Ma c’è lo spazio e la necessità per gli incentivi temporanei con efficacia limitata a sei mesi ai settori in difficoltà. Si tratta di permettere alle imprese di avviare processi di ristrutturazione in modo socialmente non distruttivo. Di interventi di questo tipo si parla da tempo, ma il governo continua inspiegabilmente a rinviarne l’adozione.

FIGLI E LAVORO: DUE REGIONI, DUE STORIE DIVERSE

La natalità in Italia continua a essere bassa. Ma anche in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. La fecondità cresce in Emilia Romagna e scende ancora in Campania. Ovvero cala nella regione nella quale l’occupazione femminile è più bassa e sale nell’unica regione italiana che in proposito ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per gli stimolanti commenti e riflessioni. Alcuni hanno invocato la necessità di fare di più contro l’evasione fiscale e gli sprechi, altri hanno proposto di diminuire il cuneo fiscale sui redditi da lavoro oppure aumentare la tassazione dei capitali o dei dividendi degli azionisti e i bonus dei manager. Rispondiamo brevemente su alcuni punti.
Il nostro obiettivo non era quello di una discussione generale sul sistema fiscale, è ovvio che la lotta contro l’evasione fiscale e gli sprechi rimane lo strumento base di un sistema equo ed efficiente. Ci siamo limitati a commentare la proposta del Ministro Brunetta che proponeva di finanziare la misura anti “bamboccioni” attraverso un prelievo intergenerazionale. L’idea è buona e non si tratta di una misura assistenziale: non si può vivere a lungo con i 1700 euro di dotazione di cittadinanza da noi ipotizzati e neppure con i 10.000 che potrebbero risultare dall’investimento in un Child Trust Fund. Inoltre, sta al singolo individuo valorizzare e investire la somma. Che non dovrebbe limitarsi solo a finanziare gli studi. Ad esempio la possibilità di pagarsi un affitto per qualche mese in una nuova città mentre si cerca lavoro potrebbe aiutare diversi giovani a lasciare la casa dei genitori. E’ una dote proprio per valorizzare le “doti” del singolo e per questo non può risolversi con semplici detrazioni fiscali alla famiglia.
Abbiamo argomentato, inoltre, che se si vuol fare redistribuzione intergenerazionale come Brunetta ha sostenuto, la tassa di successione è più equa che un prelievo sulle già misere pensioni di anzianità. Non si tratta di portar via i frutti del lavoro dei genitori, ma semplicemente di renderne più equa la distribuzione. E’ più “giusto” pagare il 30-40% sui frutti del proprio lavoro e nulla (o il 4% oltre un milione di euro) sull’eredità lasciata dai propri genitori?
E’ stato sottolineato, giustamente, che non si danno soldi senza incentivi. Ma qui, per definizione, si tratta comunque di soldi che vengono dati senza incentivi: vale per l’eredità così come per la dote di cittadinanza, che solo sarebbe distribuita diversamente. In una delle frequenti letture assai poco rigorose abbiamo appreso che la figlia tredicenne della cantante Madonna riceverebbe come paghetta 11.000 dollari a settimana. Non sappiamo a quali incentivi la fanciulla sia sottoposta dalla mamma, per cui lasciamo cadere la cosa, ci sembrava comunque un dato simpatico da riportare.
I veri problemi non sono tanto gli incentivi in capo al ricevente quanto piuttosto i disincentivi al risparmio e la possibilità di elusione da parte di chi lascia. Sulla seconda abbiamo purtroppo poco da aggiungere, e sappiamo che non è un problema da poco. Sulla questione degli incentivi al risparmio, però, possiamo aggiungere questo: 
1) le teorie economiche non ci danno previsioni chiare sugli effetti dell’imposta di successione sul risparmio; per quel che ne sappiamo, in teoria, una tassa sull’eredità potrebbe anche incentivare il risparmio;
2) eventuali inefficienze dell’imposta di successione vanno comparate con modalità alternative: a parità di gettito la tassa di successione non è più distorsiva di una tassa sul reddito da lavoro o sulle attività finanziarie, probabilmente lo è di meno;  
3) l’evidenza empirica è altrettanto problematica, per chiari problemi di identificazione: al momento, le stime più attendibili ci dicono che un effetto dell’aliquota marginale sul risparmio probabilmente c’è ma non é molto grande. Resta il fatto che l’imposta di successione gode di scarsa popolarità, o meglio, sembra essere più impopolare delle altre.

UNA DOTE DA PRENDERE SUL SERIO

I 500 euro proposti da Brunetta per combattere il fenomeno dei bamboccioni erano probabilmente solo una provocazione. Però non è sbagliata l’idea di offrire una dote ai neo-maggiorenni. Per pagare gli studi all’università o correggere le imperfezioni del mercato del credito per iniziare un’attività o comprare una casa. Altri paesi già prevedono misure simili. Per importarli anche in Italia occorre però trovare i finanziamenti necessari. Che si potrebbero ricavare agendo sulla tassa di successione sulle eredità più sostanziose.

ANCORA RITARDI PER IL SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE

Tra i pochi interventi varati negli ultimi anni a sostegno delle famiglie che lavorano e hanno figli piccoli, figura la legge 53/2000. Prevede contributi a fondo perduto alle imprese che presentano progetti per facilitare la conciliazione lavoro-famiglia dei dipendenti. A pochi anni dalla sua entrata in vigore però si è già arenata tra ritardi e sospensioni. Si preclude così l’opportunità di costruire una convergenza di interessi tra le aziende e i lavoratori, tra interessi sociali ed economici. Adattare la misura alle piccole e medie imprese.

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