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Categoria: Lavoro Pagina 87 di 118

FIGLI E LAVORO: DUE REGIONI, DUE STORIE DIVERSE

La natalità in Italia continua a essere bassa. Ma anche in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. La fecondità cresce in Emilia Romagna e scende ancora in Campania. Ovvero cala nella regione nella quale l’occupazione femminile è più bassa e sale nell’unica regione italiana che in proposito ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per gli stimolanti commenti e riflessioni. Alcuni hanno invocato la necessità di fare di più contro l’evasione fiscale e gli sprechi, altri hanno proposto di diminuire il cuneo fiscale sui redditi da lavoro oppure aumentare la tassazione dei capitali o dei dividendi degli azionisti e i bonus dei manager. Rispondiamo brevemente su alcuni punti.
Il nostro obiettivo non era quello di una discussione generale sul sistema fiscale, è ovvio che la lotta contro l’evasione fiscale e gli sprechi rimane lo strumento base di un sistema equo ed efficiente. Ci siamo limitati a commentare la proposta del Ministro Brunetta che proponeva di finanziare la misura anti “bamboccioni” attraverso un prelievo intergenerazionale. L’idea è buona e non si tratta di una misura assistenziale: non si può vivere a lungo con i 1700 euro di dotazione di cittadinanza da noi ipotizzati e neppure con i 10.000 che potrebbero risultare dall’investimento in un Child Trust Fund. Inoltre, sta al singolo individuo valorizzare e investire la somma. Che non dovrebbe limitarsi solo a finanziare gli studi. Ad esempio la possibilità di pagarsi un affitto per qualche mese in una nuova città mentre si cerca lavoro potrebbe aiutare diversi giovani a lasciare la casa dei genitori. E’ una dote proprio per valorizzare le “doti” del singolo e per questo non può risolversi con semplici detrazioni fiscali alla famiglia.
Abbiamo argomentato, inoltre, che se si vuol fare redistribuzione intergenerazionale come Brunetta ha sostenuto, la tassa di successione è più equa che un prelievo sulle già misere pensioni di anzianità. Non si tratta di portar via i frutti del lavoro dei genitori, ma semplicemente di renderne più equa la distribuzione. E’ più “giusto” pagare il 30-40% sui frutti del proprio lavoro e nulla (o il 4% oltre un milione di euro) sull’eredità lasciata dai propri genitori?
E’ stato sottolineato, giustamente, che non si danno soldi senza incentivi. Ma qui, per definizione, si tratta comunque di soldi che vengono dati senza incentivi: vale per l’eredità così come per la dote di cittadinanza, che solo sarebbe distribuita diversamente. In una delle frequenti letture assai poco rigorose abbiamo appreso che la figlia tredicenne della cantante Madonna riceverebbe come paghetta 11.000 dollari a settimana. Non sappiamo a quali incentivi la fanciulla sia sottoposta dalla mamma, per cui lasciamo cadere la cosa, ci sembrava comunque un dato simpatico da riportare.
I veri problemi non sono tanto gli incentivi in capo al ricevente quanto piuttosto i disincentivi al risparmio e la possibilità di elusione da parte di chi lascia. Sulla seconda abbiamo purtroppo poco da aggiungere, e sappiamo che non è un problema da poco. Sulla questione degli incentivi al risparmio, però, possiamo aggiungere questo: 
1) le teorie economiche non ci danno previsioni chiare sugli effetti dell’imposta di successione sul risparmio; per quel che ne sappiamo, in teoria, una tassa sull’eredità potrebbe anche incentivare il risparmio;
2) eventuali inefficienze dell’imposta di successione vanno comparate con modalità alternative: a parità di gettito la tassa di successione non è più distorsiva di una tassa sul reddito da lavoro o sulle attività finanziarie, probabilmente lo è di meno;  
3) l’evidenza empirica è altrettanto problematica, per chiari problemi di identificazione: al momento, le stime più attendibili ci dicono che un effetto dell’aliquota marginale sul risparmio probabilmente c’è ma non é molto grande. Resta il fatto che l’imposta di successione gode di scarsa popolarità, o meglio, sembra essere più impopolare delle altre.

UNA DOTE DA PRENDERE SUL SERIO

I 500 euro proposti da Brunetta per combattere il fenomeno dei bamboccioni erano probabilmente solo una provocazione. Però non è sbagliata l’idea di offrire una dote ai neo-maggiorenni. Per pagare gli studi all’università o correggere le imperfezioni del mercato del credito per iniziare un’attività o comprare una casa. Altri paesi già prevedono misure simili. Per importarli anche in Italia occorre però trovare i finanziamenti necessari. Che si potrebbero ricavare agendo sulla tassa di successione sulle eredità più sostanziose.

ANCORA RITARDI PER IL SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE

Tra i pochi interventi varati negli ultimi anni a sostegno delle famiglie che lavorano e hanno figli piccoli, figura la legge 53/2000. Prevede contributi a fondo perduto alle imprese che presentano progetti per facilitare la conciliazione lavoro-famiglia dei dipendenti. A pochi anni dalla sua entrata in vigore però si è già arenata tra ritardi e sospensioni. Si preclude così l’opportunità di costruire una convergenza di interessi tra le aziende e i lavoratori, tra interessi sociali ed economici. Adattare la misura alle piccole e medie imprese.

I LIMITI DELLA VALUTAZIONE IMPOSTA PER LEGGE

Elemento cardine del decreto Brunetta è la valutazione dell’operato della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti. Ma le esperienze avviate a livello locale sono la testimonianza che i pur esigui processi virtuosi di valutazione emergono nel nostro paese nell’agire concreto delle organizzazioni e non come adempimento a un obbligo di legge. Integrare il sapere decentrato delle amministrazioni territoriali con la visione strategica del centro è un passaggio cruciale ai fini della programmazione delle politiche di investimento di uno Stato federale democratico.

QUANTO COSTA NON RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO

Le mancate riforme del percorso di ingresso nel mercato del lavoro possono costare ai giovani fino al 30% della loro pensione futura. Secondo il presidente del Consiglio, il 2010 sarà l’anno delle riforme. Bene che cominci subito a varare quella del percorso di ingresso nel mercato del lavoro, il modo migliore per difendere le pensioni dei giovani. E se non ha il coraggio di farlo, almeno li informi su quanto varrà la loro pensione fra 40 anni.

LAVORARE A MILANO. DA CLANDESTINI

L’immigrazione irregolare, per sua stessa natura, sfugge ai tentativi di misura e rilevazione. Tuttavia, esistono banche dati che permettono di analizzare alcuni aspetti del fenomeno. Per esempio i dati del Naga descrivono l’inserimento di persone senza permesso di soggiorno nel mercato del lavoro milanese e lombardo. E ne evidenziano gli alti livelli di istruzione, con tassi di occupazione e di partecipazione superiori a quelli lombardi. Nonostante le difficoltà della loro permanenza in Italia, sono una forza lavoro decisa e dinamica. Ma quali prospettive hanno?

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie dei commenti ad ampio spettro. Ognuno richiederebbe un ulteriore articolo. Mi è chiaro che se dalla crisi usciamo senza i giovani, e soprattutto senza i giovani del Sud, ciò alimenterà la criminalità e l’instabilità sociale. Non mi piace l’idea del baratto tra sicurezza del posto per gli adulti in cambio di una speranza di entrata per i giovani come modalità di uscita dalla crisi. In un’economia in crisi e che non crea posti di lavoro nuovi, difendere i posti e le professionalità esistenti con la CIG ha funzionato bene. Di fatto la CIG – nelle sue varie forme – è uno strumento efficace per preservare i posti di lavoro e le professionalità esistenti in un momento di difficoltà. Ma le difficoltà di alcuni settori – come quello automobilistico – non sono di breve periodo e richiedono invece un adattamento alle nuove sfide mondiali (Porsche-Volkswagen, PSA-Mitsubishi, la Nano a 1500 euro). Per vincere queste sfide la CIG non basta. Alcuni lettori sottolineano infatti l’urgenza di cambiare organizzazione e – si sarebbe detto una volta – "modello di sviluppo", per spostarci verso qualcosa che sia più centrato sull’intelligenza, sulla conoscenza, sull’alta qualità (che non vuol dire necessariamente high-tech). Tutti d’accordo. Ma non è un free lunch. Per "cambiare modello di sviluppo", per andare oltre i 600 euro mensili, ci vogliono scuole e università più efficienti in cui gli studenti bravi vengano premiati nel loro curriculum scolastico e anche sul mercato del lavoro da aziende di maggiore dimensione che garantiscano loro una carriera decente. E ci vorrebbe un sistema in cui le università meno efficaci ricevano un taglio consistente di risorse in favore di quelle che fanno meglio il loro mestiere di aiutare tutti i giovani a trovare un lavoro e qualcuno di loro a fare ricerca. Sono queste le cose di cui si dovrebbe essere disposti a parlare quando si parla di un "nuovo modello di sviluppo". Ma vuol dire dimenticare l’egualitarismo dei risultati di cui è intrisa la cultura politica italiana. Di destra e di sinistra.

POSTO FISSO PER CHI?

Quando parla il Ministro dell’Economia bisogna prenderlo sul serio. In cosa consiste la svolta di Giulio Tremonti sul posto fisso? Ci sono tre interpretazioni. La prima è che sia solo una mossa demagogica, politica, per “spiazzare la sinistra”, come rimarcato da diversi quotidiani e commentatori.  Se così fosse non ci interessa. Notiamo che servirebbe solo a rendere più fisso il posto di Giulio Tremonti alla scrivania di Quintino Sella.
La seconda interpretazione è che il Ministro voglia davvero intervenire dove ha voce in capitolo. Tremonti è di fatto il cassiere del pubblico impiego. Ha dunque il Ministro intenzione di assumere tutti i lavoratori precari della Pubblica amministrazione? Quanto costa? E cosa ne pensa il titolare del dicastero alla Funzione Pubblica, il datore di lavoro dei pubblici dipendenti?
La terza interpretazione è che Tremonti voglia intervenire anche fuori dal pubblico impiego, nel settore privato. Anche qui avrebbe delle leve da muovere. Ad esempio, può aumentare i costi del licenziamento individuale e limitare i casi di licenziamento collettivo per motivi economici. Tutto ciò renderebbe più sicuro il posto “fisso” di chi un lavoro a tempo indeterminato ce l’ha già. Ma esporrebbe ancora di più i lavoratori precari al rischio di licenziamento (già oggi di otto volte superiore a quello per i lavoratori con contratti permanenti).
Tremonti sa bene che non si può garantire il posto fisso a tutti. Neanche in un’economia pianificata. Lo si può fare per alcuni lavoratori scaricando tutti i rischi su chi è lasciato fuori, ad esempio i lavoratori temporanei e i disoccupati. Quello che si può fare è garantire a tutti protezione contro il rischio di perdere il lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali in modo tale da offrire copertura assicurativa a tutti. Si può anche ridurre il dualismo fra lavoratori con contratti temporanei e contratti permanenti, cambiando le regole di accesso al mercato del lavoro per consentire a tutti un ingresso dalla porta principale. Ciò può avvenire attraverso la creazione di un sistema di tutele progressive per il lavoratore che aumenti con la durata del rapporto di lavoro. Questo è l’unico modo per permettere che la stabilizzazione dei precari avvenga senza distruggere posti di lavoro.

GINO GIUGNI: UNA LEZIONE SCOMODA PER TUTTI, A DESTRA E A SINISTRA *

Gino Giugni è scomparso nei giorni scorsi. Uomo-cerniera fra il movimento sindacale e le istituzioni democratiche, è stato un ottimo politico perché ha sempre esercitato il potere soltanto con l’intento di realizzare il modello di democrazia e di giustizia da lui stesso affinato in una vita di studio e di dialogo aperto con tutte le correnti culturali più vive e feconde. “Padre” dello Statuto dei lavoratori, ha colto già negli anni Novanta la necessità di un adattamento ai tempi nuovi di tutto il diritto del lavoro, compresa la materia dei licenziamenti.

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