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TESTIMONIANZA DI ETTORE ARTIOLI

Vice Presidente di Confindustria per il Mezzogiorno

Qualche giorno fa Confindustria ha presentato insieme a CGIL CISL UIL un documento comune di proposte sul Mezzogiorno in vista delle prossime elezioni politiche. E’ una iniziativa inusuale: abbiamo cercato, infatti, di capire l’orientamento degli schieramenti politici su questioni che riteniamo determinanti a partire dall’idea che le forze socio economiche si sono fatte della situazione meridionale.
Siamo partiti dalla sconfortante constatazione della sostanziale assenza di questo tema tra quelli discussi nell’ambito della campagna elettorale. Nonostante le forze politiche abbiano dedicato un punto del loro programma allo sviluppo del Sud, lo stesso è considerato quasi un atto dovuto: non è dibattuto, non se ne discute, non è oggetto di proposte concrete.
Invece, il Mezzogiorno rimane il principale problema di sviluppo del Paese, in cui le difficoltà economiche si sommano al disagio sociale ed all’emergenza civile.
Rispetto all’enormità del problema, non esiste un’unica risposta, ma tante risposte parziali: se sono molti, infatti, i problemi che affliggono questo territorio, altrettante devono essere le soluzioni da mettere sul tappeto, e diversi i soggetti che devono farsene carico, a partire dagli imprenditori e dalle altre forze sociali.
Ci troviamo in un passaggio molto stretto per gli imprenditori meridionali.
Progressivamente, ci siamo lasciati alle spalle un’idea dello sviluppo basata su sostegni intermediati dalla politica e dalla pubblica amministrazione, che non garantiscono trasparenza delle procedure e non riescono ad impedire tentativi di infiltrazione della criminalità, e che generano effetti distorsivi nell’assegnazione delle risorse pubbliche.
Abbiamo sposato pienamente l’idea che il mercato debba essere il nostro principale punto di riferimento, essendo ormai chiuso il periodo delle commesse della Pubblica Amministrazione, dei mercati protetti e delle aziende che si illudono di poter sopravvivere grazie agli incentivi pubblici.
Ma questo rende molto più urgente la necessità di fare del Mezzogiorno un luogo dove è conveniente fare impresa.
Se possiamo rinunciare agli incentivi a pioggia, non possiamo fare a meno di una pubblica amministrazione moderna e trasparente, rapida nelle risposte ed efficiente nelle procedure, che faccia propria la missione dello sviluppo e della competitività delle imprese, tante volte viste, ancora oggi, con sospetto più che con benevola attenzione.
Non possiamo fare a meno di infrastrutture moderne e funzionanti, di un sistema fiscale amico di chi investe ed equo nel prelievo, di condizioni di sicurezza non lontane dal livello dei concorrenti europei, di mercati liberi da una presenza ingombrante dell’attore pubblico
Su queste condizioni si deve incidere in profondità per ridurre le diseconomie ed i maggiori costi di cui i beni ed i servizi prodotti nel Mezzogiorno sono gravati: e su ciascuno di questi fattori abbiamo provato a snidare le forze politiche che si candidano a guidare il Paese, mettendo sul tappeto proposte concrete.
Voglio ricordarne alcune.
Cosa pensano i partiti dell’opportunità di aumentare la convenienza fiscale ad investire nel Mezzogiorno, utilizzando tutti gli spazi offerti dalla normativa comunitaria, come principale canale di promozione degli investimenti privati?
Si sentono in grado di garantire la stabilita e la certezza degli strumenti fiscali automatici che favoriscono gli investimenti e l’occupazione?
Condividono l’idea di porre un argine alla proliferazione delle società pubbliche che gestiscono servizi locali, limitando la loro possibilità di accedere a risorse pubbliche fino a quando non si perviene ad una reale liberalizzazione del settore?
Come pensano di sostenere la rivolta contro il racket e contro la criminalità organizzata che ampie fasce della popolazione meridionali stanno sostenendo? Come giudicano l’idea di destinare la gran parte delle risorse del PON Sicurezza al controllo del territorio ed alla tutela degli investimenti delle imprese? Più in generale, come pensano di ripristinare nei territori più a rischio la presenza dello Stato in tutti gli aspetti della vita civile, dalla trasparenza della Pubblica Amministrazione al funzionamento della giustizia, dalla prestazione di servizi degni di un paese civile al rispetto delle regole?
Che idea si sono fatti di una scuola che produce una formazione di base largamente insufficiente e non incontra le esigenze delle imprese?
Sono d’accordo nell’identificazione di pochi grandi progetti infrastrutturali su cui concentrare le risorse, che scontenteranno qualcuno, ma daranno (forse) una prospettiva più concreta alle ambizioni meridionali sulla logistica? Come pensano di andare al di là di un assetto istituzionale sulle politiche di sviluppo che spezzetta il processo decisionale in mille passaggi dal centro alla periferia?
E infine, sono disposti a rinunciare ad un inutile Ministro o Vice Ministro per il Mezzogiorno per fare in modo che il Sud diventi finalmente problema di tutto il Governo?  Riteniamo, infatti, che ben altra efficacia avrebbe un rafforzamento della capacità di indirizzo e di coordinamento affidata allo stesso Presidente del Consiglio, se del caso coadiuvato da un sottosegretario che possa fare da regista e da player nei confronti di tutti i provvedimenti attraverso i quali i singoli  ministeri intendono correggere gli squilibri territoriali del Paese.
La sensazione che abbiamo ricavato dalla giornata di confronto è che la diagnosi dei problemi sia in buona parte condivisa, ma che le proposte delle forze politiche siano ancora troppo generiche per poter configurare interventi precisi ed impegni vincolanti. Tuttavia, il sasso nello stagno è stato lanciato: è auspicabile che su questi temi si apra un fertile dibattito tra politica e società civile da qui al voto, su cui costruire le basi per un impegno condiviso qualunque sia l’esito della consultazione elettorale.

LA RISPOSTA DI FAUSTO BERTINOTTI, CANDIDATO DELLA SINISTRA ARCOBALENO

La nostra coalizione ha prodotto diverse risposte per delineare una strategia anticriminalità efficiente, che soprattutto miri a sconfiggere l’egemonia mafiosa nel nostro paese. Sono proposte portate avanti anche dalla recente commissione antimafia e recepite nel disegno di legge “ misure di contrasto alla criminalità organizzata” che, purtroppo non ha avuto il modo di venire alla luce per la caduta anticipata del governo , ma  che hanno permesso di iniziare un percorso positivo che auspichiamo non venga interrotto nella prossima legislatura. Il contrasto alle mafie ed alla grande criminalità è parte fondante del programma della Sinistra l’Arcobaleno ed il nostro prossimo gruppo parlamentare che verrà eletto sarà a vostra disposizione per ulteriori proposte positive che possano giungere in tal senso.

1)      Creazione di un Testo unico della legislazione antimafia, per armonizzare e garantire maggiore organicità ad una materia così complessa e articolata, partendo dal lavoro svolto dalla Commissione Fiandaca
2)      Una legge che permette di perseguire con efficacia gli intermediatori illegali delle armi
3)      Rafforzamento della tutela e delle opportunità di reinserimento sociale ed economico delle vittime della tratta degli esseri umani
4)      Nuovi strumenti in materia di lotta al caporalato e ad ogni forma di sfruttamento lavorativo delle persone
5)     Ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e garanzia dell’indipendenza dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella Pubblica amministrazione, oggi di nomina governativa
6)      Coordinamento della legislazione nazionale con le leggi regionali in materia di solidarietà alle vittime delle mafie e ai loro familiari, al fine di garantire una uniformità di interpretazione dei presupposti per il riconoscimento dello status di vittima di mafia.
7)      Introduzione di una legislazione specifica per le vittime della criminalità comune
8)      Una legge che istituzionalizza il 21 marzo come Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie
9)      Una nuova normativa in materia di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose per garantire il ripristino effettivo della legalità all’interno delle amministrazioni comunali e sostenere, anche con maggiori risorse finanziarie, l’azione dei commissari prefettizi.
10)  Rafforzamento della normativa in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nella gestione degli appalti, a garanzia della trasparenza e della legalità nei contratti di lavoro, servizio e fornitura della Pubblica Amministrazione.

11)  Una nuova norma che definisca il sostegno esterno all’associazione mafiosa, per venir meno ai limiti dell’attuale formulazione dell’articolo 416 ter del codice penale
12)  Una legge specifica sui testimoni di giustizia (oggi la legge n. 45 del 2001 disciplina anche e soprattutto i collaboratori di giustizia) per porre fine alle criticità emerse con l’attuale sistema e garantire il loro effettivo, concreto e dignitoso reinserimento sociale ed economico
13)  Rafforzamento degli strumenti di aggressione alle ricchezze delle mafie (anche attraverso una razionalizzazione della legislazione in materia di patrimoni di mafia) e creazione di un’Agenzia nazionale per la gestione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata
14)  Estensione dell’uso sociale dei beni confiscati ai delitti contro la Pubblica Amministrazione (ad es. corruzione)
15)  Rafforzamento e rifinanziamento del Fondo di prevenzione per le persone a rischio di usura previsto dalla legge n. 108/96
16)  Adottare nuovi strumenti e rafforzare quelli previsti dalla legge n. 44/99 per una maggiore incisività dell’attività delle associazioni antiracket
17)  Introduzione dei reati ambientali all’interno del codice penale, per un più efficace contrasto al fenomeno delle ecomafie
18)  Rafforzamento degli strumenti e delle strutture di cooperazione europea e internazionale contro le mafie transnazionali
19)  Definizione di un Piano nazionale per la prevenzione e il contrasto alle mafie, al fine di coordinare e garantire la collaborazione e la contemporaneità delle politiche pubbliche e degli enti locali e alle esperienze autentiche di antimafia sociale
20)  Promozione all’interno della Conferenza Stato – Regioni di momenti di scambio e programmazione di interventi in materia di prevenzione dei fenomeni di criminalità e di illegalità.

TESTIMONIANZA DI PIER LUIGI VIGNA E DONATO MASCIANDARO

Vigna è Procuratore Nazionale antimafia dal 1997 al 2005. Insieme a Masciandaro, economista, fa parte
della Commissione per la stesura di un Testo unico delle norme contro il riciclaggio

CRIMINE ORGANIZZATO ED ECONOMIA: SLOGAN VUOTI O RICETTE EFFICACI?

Investire nella trasparenza e nella sicurezza: è questa l’indicazione da recepire nei programmi elettorali per combattere il legame tra crimine organizzato ed economia, al Sud ma non solo. La lotta alla criminalità comincia dall’economia: ma non seguendo il tradizionale e mistificante slogan: "più sviluppo, meno criminalità", ma piuttosto le indicazioni della più recente analisi economica: "più sicurezza, più sviluppo".

Occorre decisamente superare il vecchio paradigma che lega il ristagno economico alla crescita della criminalità organizzata. Anzi, segnali di crescita economica e finanziaria, non inseriti in quadro caratterizzato da:
a) una struttura economico – finanziaria di base trasparente e competitiva;
b)  un sistema pubblico efficiente che garantisca la tutela dei diritti personali e delle relazioni contrattuali, rischia di produrre rischi di alta vulnerabilità ambientale all’inquinamento da criminalità organizzata.

La spinta alla accumulazione con ogni mezzo di risorse, rappresenta la finalità principale – per non dire l’unica – che spiega le scelte strategiche delle organizzazioni criminali. Ma la possibilità di profitto da sola non basta; deve essere accompagnata da una situazione ambientale favorevole, di vulnerabilità economica ed istituzionale. La vulnerabilità economica è collegata a situazioni di bassa competitività ed efficienza: la vulnerabilità istituzionale si può riscontrare quando in un contesto territoriale la competizione economica e lo sviluppo non sono garantite da una struttura di pubbliche autorità e istituzioni che assicurano la tutela dei diritti, la risoluzione dei conflitti ed in generale il rispetto delle norme, la criminalità ha buon gioco per far valere nell’area della produzione e degli scambi gli strumenti e le procedure extra – economiche che la caratterizzano.
La vulnerabilità ambientale diviene così condizione essenziale per l’insediamento ed il diffondersi di forme di criminalità organizzata. Cresce l’economia illegale; la presenza della criminalità organizzata in settori dell’economia reale e finanziaria si riflette peraltro in un inquinamento progressivo non solo dell’ambito economico, ma inevitabilmente del contesto sociale e della vita pubblica. Si innesta così un circolo perverso: la vulnerabilità ambientale facilita l’inquinamento da criminalità, che a sua volta deteriora ulteriormente il contesto ambientale.
In un contesto di alta vulnerabilità ambientale anche le scelte degli operatore legali diventano a rischio. Il singolo operatore economico segue verosimilmente un comportamento adattivo rispetto alle regole del gioco in atto; perciò, in un contesto deteriorato e vulnerabile, è più alto il rischio che progressivamente le condotte patologiche, di atteggiamento passivo, o addirittura collusivo e cooperativo, con la criminalità organizzata, si diffondano. L’economia nera e l’economia grigia aumentano la loro diffusione e pervasività, ed anche le politiche di prevenzione e contrasto, generali e specifiche per il sistema economico e finanziario, perdono grandemente di efficacia.
La singola impresa può e deve contrastare il rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Non bastano le generali regole di corporate governance. L’impresa deve conoscere di più tutti i propri interlocutori: dipendenti, fornitori, clienti, e su tali informazioni costituire indici di attenzione e meccanismi di autotutela, “suonatori di fischietto” inclusi. E’ questa la direzione su cui, insieme a Giovanni Fiandaca ed Alberto Alessandri, stiamo provando a definire un Decalogo Antimafia per l’Impresa. Ma l’impegno della singola impresa non è sufficiente, se manca l’investimento pubblico in tutela dei diritti fondamentali.
Tanto maggiore è la distanza delle regole di governo dell’economia da quelle desiderabile, tanto maggiore è il rischio vulnerabilità alla criminalità, sia dei mercati nel loro complesso, sia per quel che concerne la condotta o l’atteggiamento del singolo operatore. L’insegnamento generale che se ne trae è che, per spiegare comportamenti poco desiderabili degli operatori economici, anche in termini di efficacia delle politiche di prevenzione e contrasto, occorre sempre andare alla radice delle regole del gioco, e chiedersi: in quel territorio, sono tutelati i pilastri fondamentali di un’economia di mercato, o meglio ancora di una società democratica: la tutela dei diritti della persona e della proprietà?
Se la risposta è negativa, il flusso di spesa pubblica deve andare prima a rinforzare l’azione delle istituzioni pubbliche (polizie e magistrature), sottoposte però a controlli di efficienza, e poi pensare a finanziare infrastrutture. Per la prevenzione ed il contrasto al crimine è molto più utile investire in qualche buona guardia e qualche buona legge in più, anche a costo di qualche ponte in meno.
A proposito di buone leggi, decise azioni sono necessarie anche nel settore legislativo, abbandonando la logica “emergenziale” con la quale sono stati affrontati i temi relativi alla “criminalità strutturata”, sia essa di tipo mafioso o terroristico.
Due categorie, queste, che a volte hanno tratti comuni. Si pensi, ad esempio, al traffico di stupefacenti i cui proventi possono essere finalizzati al finanziamento di gruppi terroristici o al fatto che anche strutture mafiose possono assumere valenze eversive quando non si limitano – il che già offende i parametri che secondo l’art. 41 della Costituzione, disegnano, in termini di utilità sociale la libera iniziativa economica privata, a gestire, con capitali “sporchi” attività di impresa che producono beni leciti, finalizzate alla sola utilità del gruppo, ma anche quando il clan, come recita l’art.416 bis c.p., in tal senso aggiornato nel 1992, mira a “impedire od ostacolare il libero esercizio del voto” o “a procurare voti a sé o ad altri in occasioni di consultazioni elettorali”.
In tale prospettiva pensiamo che siano necessari alcuni interventi di fondo, quali: la completa revisione della normativa sulle misure di prevenzione in materia patrimoniale, adeguando le previsioni legislative, che si sono stratificate nel tempo, anche alle nuove strategie economiche delle organizzazioni mafiose mosse anch’esse da ispirazioni globalizzanti; la redazione di un testo unico delle leggi antimafia che razionalizzi gli interventi frammentari e frantumali che, nel corso del tempo, hanno caratterizzato la disciplina di questa materia con interpolazioni, aggiunte, abrogazioni che rendono ardua l’individuazione della corretta via applicativa; lo stesso vale per quanto riguardo il terrorismo, dopo gli interventi, anch’essi succubi dell’emergenza, del 2001 e 2005.
E’ poi necessario, una buona volta, mettere mano, tenendo presenti i lavori svolti da varie Commissioni, ad una revisione del codice processuale penale, sul cui tessuto originario hanno inciso leggi e decisioni della Corte costituzionale e del codice penale, adoperandosi, per il primo strumento, per contemperare armonicamente efficienza e garanzie, eliminando, fra queste, quelle puramente formali che ritardano lo svolgimento e la conclusione dei processi e, per il secondo, per prevedere, con riferimento a taluni reati, sanzioni di tipo nuovo, ad esempio interdittive e prescrittive, limitando solo alle fattispecie che offendono o pongono in pericolo beni costituzionalmente protetti, quelle detentive.
In questo contesto potrebbe muoversi e progredire anche una “politica di depenalizzazione”.
In un momento nel quale l’economia legale è sempre più insidiata dalla pervasività di quella criminale, sarebbe inoltre opportuno che nella struttura di almeno alcune procure della Repubblica venisse stabilmente inserito, sul modello francese, un esperto di economia per collaborare con il pubblico ministero, da un lato professionalizzandolo anche in questa materia e dall’altro coadiuvandolo nel disvelamento delle pratiche economiche e finanziarie sempre più evolute prescelte dalle mafie che, loro sì, sono consigliate spesso da abili tessitori di trame.

TESTIMONIANZA DI ANTONIO LA SPINA

Docente Università degli studi di Palermo

CHE FARE CONTRO LA MAFIA?

La criminalità di stampo mafioso non è presente soltanto nel Mezzogiorno, giacché come è noto si è da tempo espansa verso altre aree dell’Italia e dell’Europa. È tuttavia in alcune regioni del Mezzogiorno (che poi sono anche quelle che presentano le condizioni più gravi di arretratezza socioeconomica) che tali organizzazioni hanno il loro radicamento territoriale e hanno tradizionalmente svolto le loro attività avvalendosi sia di intrecci con parte delle istituzioni e del ceto politico, sia della collusione con taluni imprenditori, professionisti, “colletti bianchi”, o quanto meno dello loro acquiescenza.
Su questo fronte stiamo assistendo, come è noto, a novità radicali, che a loro volta sono favorite dai grandi successi conseguiti dall’azione di contrasto. La presenza delle varie mafie è tutt’ora pervasiva e pericolosissima, ma oggi si comincia ad immaginare come possibile un momento non lontano in cui queste saranno sconfitte. Il che deve indurci non già a rilassare l’impegno antimafia, adagiandoci sui risultati indiscutibilmente ottenuti (ma fino a poco tempo fa negati anche da una certa parte della mafiologia), bensì a mantenere l’abbrivio e a moltiplicare gli sforzi fino alla definitiva sconfitta di organizzazioni che sono certamente sotto stress (mi riferisco in particolare a Cosa nostra), ma hanno anche, ciascuna secondo le proprie peculiarità, una proteiforme capacità di adattarsi e riprendersi.
L’iniziativa della Voce.info è tempestiva e meritoria. Fin da subito ha consentito ai lettori di prendere buona nota di chi ha risposto e di chi ha taciuto, nonché dei contenuti delle posizioni espresse. Visti i limiti di spazio (ma in certa misura anche se tali limiti non vi fossero) ho ben poco da aggiungere alle indicazioni di policy formulate nel testo di Veltroni, che a loro volta rinviano al programma del Pd. Si tratta di una summa articolata e completa di linee di intervento avvalorate come efficaci e promettenti sulla base di un’esperienza – quella italiana – che è unica al mondo quanto a varietà e intensità delle forme di contrasto. Inoltre, il leader del Pd ha pubblicamente e recisamente rifiutato i voti riconducibili alle mafie, mentre almeno fino al momento in cui scrivo non si è sentita un’analoga presa di posizione da parte di altri soggetti politici.

Mi limito ad alcune sottolineature. La prima è che quelle che possiamo definire politiche dirette contro le organizzazioni mafiose (volte cioè ad aggredire direttamente gli affiliati, i loro beni, le loro reti di relazioni e così via) sono già molto incisive, ma possono essere ulteriormente irrobustite e affinate (come evidenziato nei testi appena richiamati) quanto a potenziamento dell’attività delle forze dell’ordine, intensificazione delle sanzioni, velocizzazione e snellimento delle procedure sia giudiziarie sia amministrative (pensiamo ai beni confiscati, e anche all’esigenza che essi vadano destinati a soggetti dotati di capacità imprenditoriali, così da reimmetterli nel processo produttivo e farne mezzi di produzione efficiente di ricchezza). La seconda è che vanno diventando sempre più importanti le politiche indirette, vale a dire quelle che invece modificano il contesto in cui hanno finora operato con grande efficacia le varie mafie, ad esempio diffondendo una cultura della resistenza al racket nelle giovani generazioni, ovvero favorendo e rendendo conveniente la ribellione da parte degli imprenditori, finora il più delle volte vittime passive dell’estorsione e in genere della distorsione della concorrenza. Una delle grandi novità del momento attuale è che vi è una spinta dal basso (anziché soltanto o prevalentemente da parte delle istituzioni pubbliche) a modificare il contesto in modo da ostacolare le mafie. Penso ovviamente a iniziative come quelle di Addiopizzo, di Confindustria, di singoli imprenditori e in genere operatori economici che vanno diventando sempre più numerosi. È molto importante valorizzare un’impostazione del genere. È altrettanto importante comprendere le difficoltà di chi fa impresa in territori in cui sono presenti le mafie, senza aggiungere difficoltà e oneri ulteriori (ad esempio, ipotizzando, come è stato erroneamente fatto in un recente passato, la possibilità che la mano pubblica si sostituisse alla libertà d’impresa nei casi di operatori economici “assoggettati” alla mafia).

UN MEZZOGIORNO DISPERATO

La mafia è uno dei problemi più gravi del Mezzogiorno. Non è l’unico. Ve ne sono altri, almeno altrettanto difficili da sradicare. D’altro canto, molti di tali problemi non vanno disgiunti dalla presenza delle organizzazioni criminali, perché in parte la favoriscono, e in parte ne sono aggravati.
In estrema sintesi, la gran parte dei mali deriva dall’onnipervasività della distribuzione delle risorse da parte del ceto politico, da un’economia e da una società civile che ne è dipendente, dalla tendenza a trasformare financo le emergenze (a cominciare dai terremoti per finire alla protezione civile e ai rifiuti) in occasioni per espandere il settore pubblico, moltiplicare gli scambi politici, fornire risposte particolaristiche e clientelari alla domanda di lavoro.
Ne segue che la povertà relativa al Sud non solo è molto superiore rispetto al Nord, ma negli ultimi anni è cresciuta. Le prestazioni effettive del sistema sanitario, dell’istruzione, dei servizi pubblici al Sud restano sensibilmente inferiori rispetto al Centro-Nord. Il rendimento delle pubbliche amministrazioni è in genere scadente, nonostante la massiccia immissione di personale senza concorso tratto dalle file di un certo precariato (anzi probabilmente anche a causa di ciò). Il livello di protezione di beni pubblici, come l’ambiente, il territorio, il paesaggio, la sicurezza, è basso in modo allarmante. Il senso civico appare debole. Se una delle raffigurazioni non ufficiali più efficaci del Mezzogiorno com’era fu il Cristo si è fermato a Eboli di Levi, quella del Mezzogiorno – o almeno di un certo Mezzogiorno (giacché è vero che ve ne sono diversi) – com’è oggi non è forse la Gomorra di Saviano?

Occorre quindi rendersi conto che la questione meridionale non è affatto superata, e riguarda non soltanto il Sud come tale, ma anche l’intero paese e l’Unione europea. D’altro canto, un certo meridionalismo (nelle sue varie riedizioni, che arrivano fino ai fallimenti della “nuova programmazione” dei fondi comunitari), finalizzato all’attrazione di flussi di denaro pubblico, ha in definitiva agito a favore della permanenza nel sottosviluppo economico e civile.
La risposta a tale situazione di degrado non può che essere l’isolamento di certi processi decisionali pubblici dalla pressione distributiva. Ciò sicuramente vale per le risorse destinate allo sviluppo (che invece vengono disperse in mille rivoli e avviate a utilizzi inutili o dannosi), che occorrerebbe sfruttare secondo priorità e con prestazioni decisionali che le amministrazioni locali, a partire dalle regioni, non sono di norma in grado di garantire. Ma vale anche per la fornitura di servizi ordinari (dalla gestione dei rifiuti all’acqua, in genere ai servizi pubblici locali). Mai più si dovranno nominare commissari i “governatori” o i sindaci, o comunque soggetti a essi strettamente legati. Gli interventi sostitutivi dovranno essere mirati, ma anche tanto frequenti quanto ciò viene richiesto dalla gravità delle varie situazioni, avere una durata congrua, essere accompagnati dai poteri necessari. È appena il caso di ricordare che, sia pure talvolta con le migliori intenzioni, l’impostazione complessiva dell’ultimo quindicennio delle politiche nostrane è andata in senso diametralmente opposto.

LA QUESTIONE SETTENTRIONALE

Un’ultima riflessione, sempre legata al momento elettorale. Come è noto, le difficoltà in cui versa l’economia delle aree più sviluppate del paese sono oggi, e giustamente, molto sentite. A prima vista, dedicare i propri sforzi alla soluzione della “questione settentrionale” ha un’alta utilità attesa. In primo luogo perché, visto il peso di tali forze produttive, sia pure in difficoltà, il rilancio dell’attività in tali aree produrrebbe un beneficio notevole in termini assoluti. In secondo luogo, sebbene certamente non sia facile prevenire ad una soluzione, che vi si riesca è assai più plausibile rispetto al Mezzogiorno, come ci insegna la sua storia antica e recente. Vi è dunque un beneficio elevato, che potrebbe per di più ottenersi con una probabilità anch’essa elevata. In terzo luogo, vi sono i ritorni politico-elettorali: per il Pdl, il settentrione è favorevole, sicché va coltivato; ma ciò vale a maggior ragione per il Pd, che ha quanto meno necessità di riacquistare consensi perduti. Infine, è opinione diffusa che al Sud prevalga il voto di scambio, il che potrebbe significare sia che politiche pubbliche corrette e incisive non saranno premiate da un voto d’opinione, sia anche che proprio perché corrette e incisive potrebbero far perdere i consensi clientelari, quanto meno nell’orizzonte di breve periodo (che poi è quello il più delle volte decisivo).
Tali considerazioni lascerebbero presagire, nei fatti, uno scarso interesse non tanto verso i voti dei meridionali (che invece e ovviamente risultano appetibili), quanto piuttosto verso un impegno per il superamento di quella che, per comodità, continuerei a chiamare questione meridionale. A tale “predizione” del modello dell’utilità attesa sembrano “disubbidire” i punti programmatici sulle politiche antimafia del Pd. È un segnale importantissimo, cui un Mezzogiorno al momento senza speranza dovrebbe sperare si accompagnino altri passi (relativi ai problemi di cui al paragrafo precedente), anch’essi necessari.

TESTIMONIANZA DI LILIANA FERRARO

Segretario generale della Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”, Consigliere giuridico del Ministro dell’Interno.

CAVALIERE, RISPONDA

Alcuni giorni fa abbiamo lanciato un appello ai partiti affinché sottoscrivano un impegno comune di lotta incondizionata alle mafie e illustrino le azioni che concretamente intraprenderebbero qualora al governo. La motivazione per l’appello è che assistiamo a un moto spontaneo di ribellione della società civile al ricatto e all’oppressione della malavita organizzata, di cui le scelte di Ivan Lo Bello, capo della Confindustria siciliana, sono l’emblema. Ma senza un supporto incondizionato dello Stato, che incoraggi e dia supporto a queste azioni, vi è il rischio che i moti spontanei vengano riassorbiti dalla paura. Ieri abbiamo ricevuto le dichiarazioni dell’onorevole Veltroni e dell’onorevole Boselli, in cui, accogliendo il nostro appello, illustrano le azioni che i loro partiti intraprenderebbe se dovessero governare. In particolare, le parole dell’onorevole Veltroni, al di là delle singole misure, non lasciano spazio a dubbi: "la ‘ndrangheta, la mafia e la camorra decidano quello che vogliono, ma decidano solo una cosa: di non votare per il Partito democratico, perchè devono sapere che il Pd se governerà l’Italia cercherà di distruggere quei poteri che impediscono al Sud di esprimere tutta la sua forze e la sua energia." Non abbiamo ancora ricevuto risposta dall’altro dei due principali candidati premier, l’onorevole Silvio Berlusconi, accreditato dai sondaggi come vincitore più probabile delle elezioni. Nella lotta alla mafia è cruciale che non vi siano dubbi e asimmetrie nella determinazione dei partiti di voler distruggere questa organizzazione. Il silenzio in questo caso rischierebbe di dare adito al dubbio che una parte politica sia meno risoluta. Chiediamo all’onorevole Berlusconi di dichiarare con la stessa chiarezza dell’onorevole Veltroni che la sua parte politica ripudia i voti della mafia e di qualunque altra organizzazione malavitosa.

 

PISA AMARA PER MERIDIONALI E IMMIGRATI

I risultati dell’indagine Pisa sono sconfortanti per l’Italia. E i punteggi sono significativamente inferiori alla media italiana sia per gli studenti meridionali che per quelli figli di immigrati. Proprio le due componenti destinate a pesare di più nella composizione della popolazione scolastica del prossimo futuro. In prospettiva, dunque, la situazione peggiorerà ancora. Intervenire è necessario. Ma ogni euro investito per migliorare l’offerta scolastica darà potenzialmente maggiori ritorni se indirizzato al Mezzogiorno o agli immigrati.

I CANDIDATI PREMIER RISPONDONO: COSA FARO’ CONTRO LA MAFIA

Lavoce.info ha preso un’iniziativa perché la politica, senza distinzioni di schieramento, si assuma impegni chiari e trasparenti sulla lotta alla criminalità organizzata. Ai candidati premier abbiamo chiesto, con un appello ripreso dai maggiori quotidiani e da molte radio, di dichiarare in modo circostanziato quali provvedimenti adotteranno, se verranno eletti. Hanno risposto al nostro sito e in altre occasioni pubbliche Veltroni, Boselli e Bertinotti, mentre nel corso della trasmissione Radio anch’io Berlusconi ha risposto in proposito a una sollecitazione di Tito Boeri Nonostante le ripetute richieste, non hanno dato alcuna risposta Casini (UDC) e Santanchè (La Destra), i quali evidentemente non ritengono che la lotta alle mafie sia una priorità nell’agenda politica e non sentono il bisogno di affermare esplicitamente che non vogliono i voti di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Ne prendiamo atto.

LA RISPOSTA DI WALTER VELTRONI CANDIDATO DEL PARTITO DEMOCRATICO

La lotta ad ogni forma di criminalità organizzata e a tutte le mafie è parte del codice genetico del Partito democratico. Nasciamo anche per questo, per far sentire meno soli e non indifesi tutti coloro che alla “normalità” della mafia non si rassegnano e che con coraggio portano avanti quella resistenza civile che è la condizione indispensabile per vincere e debellare il cancro del fenomeno mafioso.
Reagire all’idea che la mafia debba continuare a tenere prigioniere intere aree del nostro Paese, contrastarla duramente con tutti i mezzi per colpirla nella sua organizzazione e nei suoi interessi, mettere nelle condizioni di operare nel modo più efficace chi la mafia la combatte ogni giorno, per affermare al suo posto il rispetto della legalità e la difesa delle regole, questo è lo spirito con il quale il Pd intende fronteggiare la questione.
Ho detto nelle piazze siciliane e calabresi una cosa chiara, e cioè la ‘ndrangheta, la mafia e la camorra decidano quello che vogliono, ma decidano solo una cosa: di non votare per il Partito democratico, perchè devono sapere che il Pd se governerà l’Italia cercherà di distruggere quei poteri che impediscono al sud di esprimere tutta la sua forza e la sua energia.
Il Pd mette in campo 10 punti per il contrasto alle mafie, che abbiamo accolto e fatto nostri nel programma di governo.
Primo, potenziare gli strumenti legislativi e di controllo per un effettivo attacco ai patrimoni criminali, attraverso l’approvazione del testo unico antimafia, l’istituzione dell’anagrafe dei conti e dei depositi bancari e dell’albo degli intermediari finanziari, l’attivazione della Legge Mancino e l’istituzione dell’Agenzia unica dei beni confiscati.
In secondo luogo, liberare l’economia del sud dalla morsa mafiosa attraverso il monitoraggio degli appalti e la riduzione delle stazioni appaltanti, il controllo della gestione del movimento terra ossia la verifica dell’utilizzo corretto delle risorse nazionali erogate per le infrastrutture, la promozione e il sostegno delle attività delle associazioni antiracket, la promozione di un tutor per le imprese e il rilancio del consumo critico.
Terzo punto, potenziamento del sistema di contrasto, con il rafforzamento dell’impegno per la cattura dei latitanti, l’integrazione delle polizie nazionali e delle polizie locali, la realizzazione di un sistema di sicurezza integrata con l’approvazione della proposta di Legge nazionale definita unitariamente nel 2003 da Anci Upi e Regioni e aggiornata in questi mesi, l’aumento delle dotazioni strumentali delle forze di polizia, l’integrazione operativa polizia e carabinieri e la riapertura dei concorsi pubblici per le forze armate.
Ancora, al quarto punto del programma del Pd proponiamo l’adeguamento normativo efficace e sostegno alle attività d’indagine da ottenersi mediante il potenziamento della dda, della dna e della dia, il mantenimento della piena efficienza del 41 bis, la certezza della pena attraverso una riduzione della possibilità per gli indagati per reati di mafia di ricorrere al patteggiamento allargato, evitando in tal modo che le maglie del sistema consentano a persone assicurate alla giustizia, grazie all’impegno delle forze dell’ordine, di tornare fuori, e infine l’aumento di organici di magistrati.
Al quinto punto del decalogo antimafia del Pd, l’impegno nel contrasto dei fenomeni mafiosi a livello europeo e internazionale con la costituzione di uno spazio giuridico antimafia europeo e globale, il contrasto alle nuove schiavitù e la promozione di una grande iniziativa europea sul contrasto ai fenomeni mafiosi.
Sesto, spezzare definitivamente il legame tra mafia e politica, la vera grande sfida che la classe dirigente del Paese deve fare propria senza esitazioni né zone d’ombra.
E dunque attuare un monitoraggio dei comuni già sciolti per mafia e di quelli che sono attualmente in fase di commissariamento affiancando a questo l’adeguamento della normativa in materia di scioglimenti di consigli comunali e l’allontanamento di tutti i rappresentanti pubblici con condanne per associazione a delinquere o favoreggiamento.
Poi, al settimo punto la lotta contro i clientelisimi, la promozione del merito nello studio e nell’accesso al mondo del lavoro da raggiungere con il ripristino della legalità dei concorsi, la valorizzazione dei talenti, il rilancio dell’offerta formativa locale, l’attivazione dei centri per l’impiego, una campagna di educazione alla legalità e alla lotta alle mafie, nella scuola e nelle istituzioni, l’istituzione di corsi universitari di storia della mafia e dell’antimafia e lo sviluppo di un piano globale di promozione della legalità e di sviluppo nel territorio.
Ancora, ottavo punto, il contrasto al lavoro nero, con premi alle imprese virtuose, un coordinamento stato regioni, la semplificazione delle procedure amministrative e la definizione di piani territoriali di emersione.
Al nono punto del nostro decalogo, la lotta all’abusivismo edilizio e alle ecomafie, da realizzarsi con una maggiore repressione dell’abusivismo edilizio nelle aree soggette a vincoli di tutela e un controllo efficace del sistema di gestione dei rifiuti.
Ultimo punto del decalogo del Pd, il mantenimento di un’attenzione continua sul fenomeno con la promozione di iniziative, inchieste e convegni nei territori a rischio, il sostegno alle vittime di mafia con la promozione della legge sulle vittime, che deve essere approvata prevedendo l’equiparazione dei fondi per le vittime della mafia a quelli per le vittime del terrorismo e la promozione della giornata nazionale della memoria per le vittime di mafia. Sarebbe significativo istituzionalizzare il 21 marzo che da più di dieci è la giornata che l’associazione Libera ha dedicato a questo scopo.

E’ un grande impegno, enorme, quello che ci viene richiesto. Non uso il termine “straordinario” perché in realtà io credo che si debba stare attenti a non far rientrare il problema della mafia, di tutte le mafie, nella dimensione dell’emergenza.
I riflettori non si devono accendere solo quando si raggiungono livelli estremi di criticità, quando accadono avvenimenti tragici come quello di questa estate a Duisburg. E nemmeno, per certi versi, quando si raggiungono risultati importanti come i recenti straordinari successi nella cattura di pericolosi latitanti come il boss Lo Piccolo.
Può sembrare un paradosso questo i recenti omicidi in Calabria e Campania, ma il fenomeno criminale non è più così forte come un tempo. Sono stati inferti molti colpi. Adesso dobbiamo dare il colpo più grande, dobbiamo distruggere mafia, camorra e ‘ndrangheta.
Un modo per tenere sempre, in ogni istante, altra l’attenzione nei confronti dei fenomeni di mafia sarebbe se la nostra frase rivolta alle cosche a non votare per noi fosse ripetuta da tutti i leader politici, come ho già più volte invitato a fare. Un appello, questo, che rinnovo anche in questa occasione, non per la convenienza di questa o quella parte politica ma per il bene del Paese.

Walter Veltroni

LA RISPOSTA DI ENRICO BOSELLI CANDIDATO DEL PARTITO SOCIALISTA

Il programma del socialismo europeo contro la criminalità è stato sintetizzato da Blair con lo slogan "duri contro il crimine, duri contro le cause del crimine", per riconoscere la dimensione sociale di questa piaga. Noi socialisti riteniamo che contro la criminalità organizzata occorra una strategia integrata, che faccia perno su una pluralità di strumenti senza ricercare un’unica ricetta salvifica.

Nel medio periodo, è fondamentale riconoscere che corruzione e criminalità hanno creato, in parti della nostra economia e della nostra società, una forte rete di scambi e relazioni, e a volte forniscono ai cittadini più servizi dello Stato.
È dunque fondamentale riconoscere il ruolo di prevenzione e contrasto che può avere lo sviluppo economico, di cui il senso civico e la diffusione di un’istruzione di qualità sono componenti fondanti. Nonostante la crescita della scolarità, proprio su questo sito pochi giorni fa si è mostrato che al Sud il livello di capitale umano -in termini di conoscenze e competenze- è ancora ben inferiore che al Nord.

Un nuovo modello di sviluppo, basato sulla democrazia e la partecipazione, l’innovazione tecnologica e la competitività, può essere una strada maestra per ridare fiducia ai cittadini. A sua volta, la fiducia riduce il numero di reati non denunciati, aumenta la collaborazione dei cittadini con le forze dell’ordine, riduce le zone di collusione o indiretto coinvolgimento.
Insomma, prevenire il crimine è importante quanto reprimere il crimine, e la prevenzione passa per la promozione della legalità e del senso civico, per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione più debole ed esposta al rischio di essere vittima o complice della criminalità.

Inoltre, stabilire una cultura della legalità richiede anche la lotta ai reati cosiddetti minori, che danneggiano di più i cittadini più deboli e meno abbienti. Come per la criminalità organizzata, la posizione del Partito Socialista è che né un maggior numero di forze dell’ordine né l’inasprimento delle pene costituiscono un’opposizione efficace o un deterrente al crimine. Solo un’alta probabilità di intervento tempestivo ed efficace delle forze dell’ordine, e il coinvolgimento in veri percorsi di recupero (il contrario delle attuali condizioni carcerarie) possono condurre ad una riduzione del numero di reati. Questi due elementi, a nostro parere, richiedono una profonda riforma della giustizia, del sistema penitenziario, e dell’organizzazione delle forze dell’ordine.
Per le forze dell’ordine, l’attuale modello, basato sul coordinamento, finisce spesso per generare sia duplicazioni che lacune. La nostra posizione è decisamente nella direzione della completa specializzazione dei diversi Corpi, del miglioramento della professionalità, anche grazie all’uso delle più moderne tecnologie, e della giusta incentivazione, mediante un sistema di retribuzioni fondato più sulla produttività e sul merito che non su gerarchia e anzianità.
Ad ogni modo, ciò che riteniamo più importante è riconoscere che oggi la mafia "non spara, o spara poco", nel senso che la criminalità organizzata si è evoluta in direzione di una minore conflittualità interna e verso lo Stato, e verso un ancor maggiore controllo del territorio e delle attività economiche illegali. Al di là di singoli casi ed immagini stereotipate, sempre più la criminalità organizzata è concentrata sull’accumulo di potere politico e economico: il gangster è ormai ampiamente sostituito dal consulente finanziario, nel suo ruolo di spina dorsale delle organizzazioni di tipo mafioso.
Dunque, lo strumento principale che come candidato premier mi propongo di sviluppare contro la criminalità organizzata è il controllo dei flussi finanziari. Con misure in parte analoghe a quelle necessarie alla lotta all’evasione fiscale, è necessario investigare e monitorare i movimenti di capitali finanziari e valutari.
Infatti, il controllo delle transazioni finanziarie, nazionali e internazionali, della criminalità organizzata serve un duplice scopo. Da un lato, impedisce il riciclaggio di fondi provenienti dalle attività illecite, in attività economiche apertamente visibili e legali per ogni altro aspetto. D’altro lato, il contrasto delle transazioni finanziarie costituisce una barriera al finanziamento delle stesse attività illecite, condotte ormai su una scala internazionale e con tipologie di attività da richiedere l’investimento di notevoli quantità di denaro.
Oltre allo sviluppo di specifiche tecnologie e competenze a disposizione delle forze dell’ordine e della magistratura, il controllo dei flussi finanziari passa anche per un maggiore coordinamento delle autorità nazionali, e per la rimozione delle aree di impunità dei soggetti complici di queste operazioni: non solo i singoli consulenti finanziari o i dipendenti delle società, ma le stesse istituzioni bancarie e finanziarie che si rendono responsabili aiutando i clienti in queste transazioni, garantendo efficienza, rapidità, anonimato.

Infine, occorre notare che parte del proprio sostentamento, e fonte di sviluppo per le organizzazioni criminali, è lo sfruttamento di attività illecite o illegali, che risultano di maggior danno sociale proprio in quanto dichiarate illegali dallo Stato. Tipici esempi sono il traffico delle droghe, anche leggere, o lo sfruttamento della prostituzione.
In quest’ultimo caso, la modalità con cui la prostituzione è di fatto condotta nel nostro Paese, ovvero in maniera ipocriticamente tollerata e malamente controllata, espone i soggetti coinvolti (spesso minorenni) a condizioni di vera schiavitù, è tra le principali cause della tratta di esseri umani, e conduce a notevoli rischi sanitari per l’intera popolazione. Talora, è nostra opinione, il danno sociale prodotto da alcune attività illecite può essere annullato o notevolmente ridotto proprio con una buona regolazione di queste attività, che ne permetta lo svolgimento a certe condizioni, sottraendo così importanti fonti di finanziamento della criminalità organizzata.

Enrico Boselli

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