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Categoria: Moneta e inflazione Pagina 34 di 36

Bolla o non bolla?

Negli ultimi cinque anni il boom dell’immobiliare ha caratterizzato quasi tutti i paesi industrializzati, Italia compresa. La dinamica dei prezzi riflette un cambiamento strutturale o si tratta di una “bolla”? La composizione della ricchezza delle famiglie potrebbe essersi modificata per le preoccupazioni sulla tenuta dei sistemi pensionistici e la scarsa fiducia nelle borse. D’altra parte, le bolle sono associate a una forte crescita degli investimenti in costruzioni, cui segue una caduta nella fase di contrazione dei prezzi. E non si è mai costruito tanto come adesso.

Prezzi alti, concorrenza scarsa

La lettura dei dati di contabilità conferma che molti settori della nostra economia stanno soffrendo, presentando risultati quanto meno allarmanti, con la necessità da parte delle imprese di contrarre i margini per preservare i volumi di vendita. Ma ve ne sono altri che godono di ottima salute, con miglioramenti marcati della redditività delle imprese. Peccato però che in diversi casi si tratti di uno stato di salute non conquistato sul campo, con la capacità di competere e di innovare, quanto l’esito dell’esercizio di potere di mercato a scapito degli acquirenti finali.

Lo spread Btp-Bund in tempo di euro

Con la scomparsa del rischio di cambio per l’Italia relativamente alla Germania dopo l’entrata nell’euro, anche il rischio di default si è drasticamente ridotto e i differenziali di interesse tra i due paesi si sono quasi allineati. Ora, però, sembrano tornare ad aprirsi. Un motivo di preoccupazione? L’evidenza empirica ci dice che il recente rialzo dello spread Btp-Bund può essere spiegato interamente da fattori totalmente indipendenti dall’andamento dei fondamentali fiscali italiani. Questo fatto sottolinea il fondamentale ruolo dellÂ’EURO per il contenimento del costo del finanziamento del debito pubblico italiano, in un ambito di aspettative di stabilizzazione dei nostri fondamentali fiscali.

L’Italia senza l’euro

Che cosa sarebbe accaduto se l’Italia non fosse entrata nell’euro? E’ difficile dare una risposta scientifica. E complesso analizzare quali benefici avrebbero potuto replicarsi anche senza una nostra partecipazione alla moneta unica. Possiamo però vedere l’influenza positiva dell’euro sul volume di scambi internazionali. Per il nostro paese, l’effetto euro e la crescita del commercio con i paesi dell’Unione monetaria hanno rappresentato un argine importante al deterioramento della capacità competitiva e delle quote di commercio globale.

Molta retorica per l’anatocismo

LÂ’anatocismo non è da guardare a priori con ostilità. In un conto corrente bancario è indissolubilmente legato alla presenza dellÂ’interesse. E se si regolano le frequenze di capitalizzazione ci si devono attendere nuovi equilibri nei quali i tassi di interesse debitori a capitalizzazione trimestrale vengono soppiantati da equivalenti e più elevati tassi a capitalizzazione annuale. La regolamentazione dellÂ’anatocismo non si giustifica dunque per una questione di prezzo del denaro, bensì per ragioni di trasparenza e di controllo. Costanza Torricelli commenta l’articolo; la controreplica degli autori.

Dollaro debole e politica monetaria

Le fluttuazioni nei tassi di cambio determinano trasferimenti di ricchezza tra paesi impensabili fino a qualche decennio fa e il riequilibrio della bilancia corrente americana richiede un deprezzamento del dollaro che appare solo iniziato. Quale politica dovrebbero adottare le autorità monetarie? Interdipendenze finanziarie di così grande scala suggeriscono un coordinamento delle politiche monetarie e di cambio. Ma interventi sistematici sembrano difficili in mercati finanziari altamente reattivi. Luca Paolazzi commenta l’intervento; la controreplica dell’autore.

Confronto di competitività

A parte il picco post-svalutazione nel 1994-95, negli anni Novanta l’Italia ha perso ininterrottamente quote commerciali. Mentre altri paesi che come noi hanno sempre fondato sulle esportazioni la crescita economica sono riusciti a mantenerle sostanzialmente invariate (la Francia) oppure le hanno addirittura incrementate (la Germania). La perdita di competitività dell’Italia non è quindi interamente attribuibile all’euro forte. Gli elementi discriminanti sembrano risiedere nelle dinamiche dei prezzi domestici e della produttività dei fattori.

Il costo della vita nelle grandi città

La diffusa percezione in vasti strati della popolazione di una perdita di potere di acquisto dovuta a prezzi più elevati si spiega col fatto che spese importanti nel bilancio famigliare, come gli affitti, sono aumentate considerevolmente. Il patto fra Governo e commercianti non servirà ad affrontare questo problema.  Al contrario, rievoca vecchie filosofie di controllo della dinamica dei prezzi che non hanno mai funzionato. Lasciamo ai commercianti la libertà di fare saldi a piacimento e anche di allungare gli orari di apertura: di questo non possono che beneficiarne i consumatori. E garantiamo piena libertà di ingresso nel settore.

E se i tassi fossero troppo bassi?

Il costo del denaro non influenza solo l’intensità ciclica della domanda aggregata, ma determina la qualità degli investimenti e delle forme di risparmio. I bassi tassi attuali potrebbero perciò essere un sostegno artificiale a una crescita qualitativamente insufficiente, mentre l’Europa, e l’Italia in particolare, necessita di incentivi a investire capitale di rischio in progetti innovativi ad alta profittabilità attesa. Senza contare che anche per il risparmiatore i tassi bassi hanno svantaggi e possono far danni.

Un’inflazione per ricchi. E una per poveri

Ancora su inflazione reale e percepita. Cercando di calcolare tassi differenziati per verificare se l’aumento del costo della vita ha colpito alcune famiglie più di altre, modificando così la distribuzione del reddito. Il tasso di inflazione incide in misura leggermente superiore sulle famiglie più ricche, ma le differenze sono piuttosto contenute. E se basata sui prezzi dei beni che pesano maggiormente nei rispettivi panieri, l’impressione di rincari generalizzati consistenti vale per le classi di reddito più alte come per le più basse.

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