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Se flessibilità fa rima con ambiguità

L’attuale meccanismo decisionale sulle procedure di deficit eccessivo contiene un conflitto di interessi che va a vantaggio dei paesi più potenti e che è destinato ad accentuarsi con questa riforma, che contiene criteri ampi e flessibili. La disparità di trattamento, infatti, si aggrava quando la soglia di maggioranza si abbassa e i voti sono distribuiti in modo meno uniforme. Probabilmente lo scenario sarebbe diverso se nelle decisioni i paesi avessero lo stesso peso, o se la Commissione avesse più voce. I rischi di ambiguità nella nuova versione del Patto sarebbero minori.

Il gatto del protezionismo si morde la coda

Le misure invocate in difesa del made in Italy sono miopi e non tengono conto delle caratteristiche del processo di integrazione delle nostre imprese nel mercato internazionale. Il protezionismo non crea quasi mai le condizioni per il proprio superamento. E’ sbagliato condizionare gli incentivi al mantenimento di una quota “sostanziale” di attività in Italia. Perché la delocalizzazione ha fornito alle aziende più dinamiche un importantissimo vantaggio competitivo. Invece di favorire questo processo, lo seppelliamo di vincoli e ne aumentiamo i costi.

Chi ha paura della Cina?

La Cina ha conosciuto negli ultimi vent’anni una crescita dirompente, che ha portato il paese asiatico a superare i suoi problemi di povertà e a integrarsi sempre più nell’economia mondiale. E’ un successo che influenza tutto il mondo, ma che dà luogo anche a diffuse preoccupazioni, per lo più ingiustificate. Molti paesi infatti possono beneficiare dello sviluppo cinese, a patto che sappiano far tesoro di un insegnamento: le economie devono rimanere flessibili e pronte a garantire efficaci reti di protezione sociale ai perdenti.

Wolfowitz: Let’s Change the Rules! L’appello

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La controversa designazione di Paul Wolfowitz alla presidenza della Banca mondiale mette in luce i limiti dell’attuale sistema di nomina dei vertici delle istituzioni multilaterali. Un appello affinché i governi si impegnino a rivedere meccanismi di decisione ormai anacronistici, rendendoli più trasparenti e capaci di selezionare i candidati più adatti alla carica che dovranno ricoprire.

L’Irap, una “zavorra” difficile da sostituire

Non sarà facile trovare un’alternativa all’Irap, la terza imposta del nostro ordinamento dopo Irpef e Iva. Un ritorno ai contributi sanitari sarebbe in contrasto con la filosofia della legge delega che indica come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap. Intervenire sull’Ires penalizzerebbe gli investimenti. Aumentare le addizionali regionali o l’Irpef è in contraddizione con i tagli fiscali promessi dal Governo. Le imposte indirette sono già cresciute con la Finanziaria 2005. Anche i suoi detrattori finiranno per rimpiangerla

Questione di compatibilità

La possibile bocciatura europea dell’Irap perché doppione dell’Iva pone interrogativi sulla certezza del diritto e la razionalità economica della giurisprudenza comunitaria. Senza considerare le differenze sostanziali con l’Iva, il problema sembra essere un’imposta la cui base è calcolata come differenza “ricavi-costi”. Mentre sarebbe formalmente compatibile con le norme comunitarie, un’imposta che pervenisse allo stesso risultato come somma dei redditi che compongono il “valore aggiunto”.

Burocrazia europea e credibilità italiana

Eurostat non ha convalidato i dati su disavanzo e debito pubblico resi noti dallÂ’Istat. E’ una vicenda molto preoccupante per la possibilità concreta di una violazione del Patto di stabilità europeo negli ultimi due anni e per la credibilità dellÂ’Italia di fronte ai partner europei e ai mercati. Il divario tra indebitamento (di competenza) e fabbisogno (di cassa) della Pa potrebbe alla lunga far nascere il sospetto che si tratti di un tentativo italiano di addomesticare i conti. Forse varrebbe anche la pena di ripensare allo status di indipendenza dellÂ’Istat.

L’Italia nel nuovo Patto

L’Italia deve battersi per un Patto più flessibile, ma con un ruolo rafforzato della Commissione. Le nuove regole varate dai ministri finanziari dell’Unione restano troppo indulgenti verso alcuni paesi e non premiano abbastanza chi vara riforme strutturali. Ma affidare il giudizio sul loro rispetto all’Ecofin è svantaggioso per il nostro paese. Perché ogni riforma sarà giudicata perfetta, ogni investimento essenziale. E senza la garanzia che i deficit eccessivi saranno osservati da vicino da un’istituzione indipendente, le agenzie di rating alzeranno lo spread sui titoli italiani.

Quanto costa la competitività

E’ un luogo comune che le risorse per il rilancio della competitività siano limitate. Perché la competitività si crea attraverso il mercato, con un insieme combinato di riforme strutturali a costo quasi zero. Vale anche per l’Italia, che deve passare a un modello di sviluppo basato sullÂ’innovazione. Punto di partenza è promuovere la concorrenza in tutti i settori e costruire un contesto economico che agevoli cambiamento. Invece di insistere sul sostegno generalizzato alla domanda, sarebbe più utile impiegare le risorse per far fronte ai costi sociali di breve periodo.

E’ ora di cambiare il bilancio

Il bilancio dell’Unione europea non riflette più le priorità e i compiti da affrontare. Gli aiuti all’agricoltura impegnano ancora il 40 per cento delle risorse, mentre appaiono drammaticamente insufficienti le spese per la ricerca, la difesa e la sicurezza interna ed esterna. Rescindere i legami diretti tra i bilanci nazionali e il bilancio dell’Unione, rendere il costo dell’Unione immediatamente visibile ai cittadini e rivedere le procedure decisionali implica una revisione del Trattato costituzionale. Ma dal Parlamento europeo potrebbe arrivare subito un segnale di cambiamento.

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