Nonostante il brusco rallentamento dell’economia, il mercato del lavoro “tiene” e il tasso di occupazione aumenta, anche se resta lontano dai livelli europei. Arriva però un segnale preoccupante: l’occupazione cresce solo al Nord e resta ferma nel Mezzogiorno. Un motivo in più per ricorrere a un decentramento territoriale della contrattazione collettiva. Quanto all’aumento del part-time, è un elemento cruciale per aumentare l’occupazione italiana femminile nel lungo periodo, ma implica una automatica diminuzione del numero di ore lavorate per addetto.
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La più semplice è seguire il diritto societario e mettere in amministrazione controllata le squadre mal gestite. Anche il lodo Petrucci impedisce alle società con debiti verso il fisco o i giocatori di fare nuovi acquisti. Più dubbi solleva l’idea del salary cap o di una superlega europea, mentre sarebbe auspicabile una sorta di mutualità , che ristrutturi la divisione dei ricavi all’interno dell’industria del calcio in modo che anche i club più piccoli abbiano parti sostanziali degli introiti. Resta comunque il problema di un’autorità di controllo credibile.
L’efficacia del lavoro interinale come trampolino verso un’occupazione stabile è solitamente discussa sulla base di pregiudizi ideologici e senza disporre delle informazioni statistiche necessarie. Il dibattito sarebbe più utile e sereno se si basasse su valutazioni capaci di identificare il più precisamente possibile l’effetto causale di questo strumento contrattuale al netto di ogni fattore di confondimento. Uno studio con queste caratteristiche dimostra che il lavoro interinale è efficace nel portare ad un lavoro stabile, ma non più di altre tipologie contrattuali flessibili.
In Italia il part-time è ancora poco diffuso. I molti interventi susseguitisi negli ultimi anni per favorirne l’adozione hanno ridotto le rigidità normative e contrattuali che lo rendevano costoso per le imprese. Per i lavoratori i rischi restano maggiori dei benefici. Andrebbero invece facilitati i passaggi da full-time a part-time e viceversa, l’utilizzo di congedi parentali e formativi flessibili, l’investimento formativo e la progressione professionale. Così non sarebbe più solo una scelta obbligata per donne costrette a conciliare impegni familiari e di lavoro.
La regolarizzazione di quasi 700mila lavoratori extracomunitari non è priva di effetti sulle statistiche sullÂ’occupazione. LÂ’analisi dei dati, anche in caso particolare come quello delle iscrizione allÂ’Inps dei dipendenti di imprese artigiane in Piemonte, offre molti spunti di riflessione: sulla congruità delle quote di ingresso e sull’entità della domanda di lavoro rivolta anche a cittadini extra-comunitari. E su come identificare le aree di attività in cui è maggiore l’impiego di stranieri.
Nel decreto legislativo di riforma del lavoro tocca il suo culmine la tendenza a delegare funzioni paralegislative alle parti sociali. Ma quali sono le conseguenze dell’ormai inestricabile intreccio tra legge e contrattazione collettiva? Al di là di incoerenze ed equivoci, bisognerebbe distinguere tra concertazione, intesa come forma di cooperazione tra pubblico e privato-collettivo, e contrattazione collettiva, che è invece una manifestazione dell’autonomia negoziale privata. E alla luce di questa distinzione andrebbe affrontato il problema della riforma delle regole della rappresentanza sindacale.
Dopo il voto in Spagna, potrebbero aprirsi nuovi scenari anche per l’Unione europea, con una ripresa delle trattative sulla bozza di Costituzione. Ma il fallimento della Conferenza intergovernativa non può essere ricondotto solo a una partita a quattro: Madrid e Varsavia contro Berlino e Parigi. Piuttosto, è mancata allora una comune visione politica del futuro dell’Europa. E se la scelta integrazionista resta una strada obbligata per Germania e Francia, la definizione di uno nocciolo duro di paesi disponibili da subito a una maggiore integrazione non è affatto scontata.
Come da rituale, i capi di Governo riuniti a Bruxelles scoprono che l’Europa è ancora ben lontana dal diventare il continente più competitivo del pianeta. Perché le scelte politiche dei singoli paesi sono spesso in contrasto con gli obiettivi fissati nel 2000. Non tutti per esempio vogliono un aumento del tasso di occupazione perché implica tagliare i privilegi di alcuni. Così come è un errore limitare l’arrivo di lavoratori dai nuovi paesi membri. Se l’obiettivo è aumentare le ore lavorate, meglio aprire i flussi invece di chiedere agli italiani di ridurre le ferie.
Il nuovo regolamento comunitario sulle fusioni tra imprese interviene su questioni importanti come la giurisdizione, i tempi delle procedure e i poteri di indagine della Commissione. Soprattutto, ridefinisce i criteri di ammissibilità , sulla falsariga di quelli americani. Si tratta di una riforma profonda e le incertezze applicative che ne deriveranno dovranno essere risolte in modo da favorire la capacità delle aziende europee di competere sui mercati internazionali e dunque il superamento del nanismo industriale che ancora caratterizza molti settori.
Per rilanciare la crescita dell’Italia viene spesso indicato come esempio da seguire il modello spagnolo. Ma proprio la Spagna insegna che una strategia basata su poco Stato e un’accelerata liberalizzazione del mercato del lavoro non genera un aumento duraturo della produttività , il vero motore della crescita. Meglio allora guardare più a Nord, all’esperienza finlandese. Dove si è riusciti a produrre innovazione utilizzando la spesa pubblica per finanziare riforme capaci di garantire i giusti incentivi per investire e fare ricerca.