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Se la privacy non tutela la ricerca

Un eccesso di regolazione impedisce in Italia l’accesso a dati essenziali per svolgere attività di ricerca. A esserne penalizzato è anche il dibattito sulle principali questioni economiche e sociali. Gli ostacoli maggiori arrivano dalle norme che salvaguardano la riservatezza delle persone, partendo dal presupposto sbagliato che il ricercatore abbia interesse a violarle. Ora, una nuova proposta di legge intende garantire una maggiore libertà d’azione.

Una bolla di sapone chiamata Rui

Nella Finanziaria nessun impegno di spesa per il reddito di ultima istanza, la misura che dovrebbe servire a contrastare la povertà. Si parla genericamente, e senza specificarne l’entità, di un co-finanziamento alle Regioni, lasciando a queste la decisione finale sull’introduzione o meno del sussidio. Si perpetua così una disparità tra zona e zona del paese. Troppo restrittiva la definizione dei beneficiari: molti i poveri che non potranno ricevere assistenza sotto questa forma.

Inflazione percepita e rilevata

Esiste una differenza tra la variazione dei prezzi misurata dagli istituti di statistica e quella percepita dai consumatori. Un fenomeno che riguarda tutta l’area euro e non solo l’Italia. Molte le spiegazioni sbagliate, compresa quella recente del presidente dell’Istat. Però capire perché le due serie non sono allineate è fondamentale. La divaricazione può comportare fluttuazioni nell’offerta di lavoro e nel prodotto. E potrebbe spiegare anche il ciclo basso in Europa.

La cittadinanza dei bambini

Molte polemiche sulla proposta di diritto di voto agli immigrati. Sarebbe meglio invece rivedere le norme che regolano l’acquisizione della cittadinanza, particolarmente arretrate in Italia, soprattutto per i minori perché basate sull’anacronistico criterio del “legame di sangue”. E optare decisamente per lo jus soli, ovvero per definire cittadino italiano chiunque nasca nel nostro paese da genitori legalmente residenti.

Partire dal basso

I politici amano discutere di riforme istituzionali anche quando dovrebbero occuparsi di altro. Invece di discettare su premierato alla svedese o cancellierato rafforzato, più utile sarebbe iniziare da riforme meno altisonanti. E riprendere dalle esperienze straniere quegli elementi che assicurano la possibilità di realizzare il programma di Governo. Esiste infatti una larga varietà di strumenti per vincolare l’iniziativa legislativa parlamentare e migliorare l’efficacia decisionale dell’esecutivo.

Camere separate

Il bicameralismo delineato dalla riforma del Governo prevede una netta separazione tra le due assemblee: la Camera legifera sulle competenze esclusive dello Stato, il Senato su quelle concorrenti. Quasi inesistente il coordinamento tra le due. Con il pericolo di minare il funzionamento del sistema federale italiano. Le proposte delle Regioni rischiano di peggiorare il quadro, prefigurando Camere a maggioranze diverse.

Dal bicameralismo perfetto al bicameralismo sbagliato

La proposta del Governo “chiude” la riforma costituzionale italiana introducendo la Camera delle Regioni. Ma lo fa in modo sbagliato. Le regole sulla rappresentanza indicano che il nuovo Senato di federale ha solo il nome, tant’è che mantiene poteri incompatibili con una vera Camera regionale. Inoltre, crea problemi di attribuzione di competenze tra le due assemblee legislative non facilmente risolvibili. Ambiguo anche il procedimento per lo scioglimento da parte del Presidente della Repubblica “in caso di prolungata impossibilità di funzionamento”.

Il Titolo V e la “bozza di Lorenzago”

Molte le novità nella proposta di riforma costituzionale elaborata dai quattro saggi a Lorenzago e approvata dal Consiglio dei ministri. Il mero elenco basta a indicarne la portata, si va dal premierato al Senato federale, al presidenzialismo. Ma sul federalismo, l’attuazione del Titolo V, questo nuovo progetto rimette in discussione e contraddice i precedenti, elaborati dalla stessa maggioranza. Aumenta così la confusione, mentre a procedere speditamente nel suo iter parlamentare è solo il progetto di devolution di Umberto Bossi.

Condoni e Regioni

Il condono edilizio, pilastro della manovra finanziaria, è stato varato. Ma alcune Regioni lo attaccano. Appellandosi a passate decisioni della Corte costituzionale, sottolineano come la sanatoria potrebbe compromettere la propria gestione del territorio. Inoltre, invocano la maggiore autonomia garantita dal Titolo V. Un’analisi della giurisprudenza costituzionale mostra come il conflitto tra i due livelli di governo sia assai incerto negli esiti.

Il perdono che non serve

Annunciati agli evasori come un’ultima chance che non è mai tale, i condoni tributari si ripetono e determinano una sostanziale e pericolosa perdita di efficacia del sistema sanzionatorio. L’analisi empirica dimostra che lungi dal generare un nuovo e permanente flusso di entrate, i condoni hanno invece avuto un effetto negativo sul gettito dell’imposta del valore aggiunto. Il ricorso a questi strumenti di politica fiscale resta perciò legato al conseguimento di gettiti “facili” e, solo apparentemente, a basso costo.

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