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A CIASCUNO LA SUA RETE

Il dibattito sullo sviluppo delle reti di telecomunicazione è complicato da una scarsa conoscenza del settore. Così spesso non si comprende il ruolo che le diverse tecnologie disponibili possono giocare in un moderno sistema di telecomunicazioni. Il rischio è quello di bloccare investimenti vitali per il paese. Oppure di indirizzarli su scelte strategiche sbagliate o comunque non in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze dei cittadini, delle imprese e della società nel suo complesso.

ACQUA SUL DOPO-REFERENDUM

Sono passati quasi due mesi dalla sonante vittoria dei referendum contro quella che gli italiani hanno creduto essere la privatizzazione dell’acqua. Cosa i referendari non vogliono è chiaro, manca però una proposta concreta che permetta di misurare la fattibilità del modello di gestione alternativo. Manca perché il passaggio dalla narrazione ai fatti non è per niente semplice. Come dimostra l’emblematica vicenda dell’Acquedotto pugliese. Che continuerà ad applicare in tariffa la quota di remunerazione del capitale investito.

SONO SOLDI BEN SPESI?

Sono ben spesi i finanziamenti alle imprese per ricerca e sviluppo? I fondi per gli ammortizzatori sociali? Per la sperimentazione didattica? Il libro, di cui pubblichiamo brevi estratti dal primo e quarto capitolo (edito da Marsilio, 184 pagine, 16 euro), illustra le potenzialità della valutazione degli effetti di politiche basata sull’analisi “controfattuale”. Ne presenta gli utilizzi negli Usa, in Germania e Francia. Discute lo stato della valutazione in Italia e della sua arretratezza.

L’ARITMETICA DELLO SPREAD E DEL DEBITO A VALANGA

Lo spread tra Btp e Bund è alle stelle anche perché i mercati temono l’effetto valanga, ossia l’aumento della spesa per interessi e del debito causato dell’aumento dei tassi. L’effetto valanga non è inevitabile, però, e potrà essere bilanciato dal buon andamento del deficit 2011. Se lo spread dovesse rimanere alto anche in futuro, il sentiero del rigore fiscale necessario a rassicurare i mercati diventerà più stretto nel corso del tempo. Meglio agire prima di allora, anticipando al 2012 i tagli di spesa previsti dalla manovra per il 2013-14.

LO SPETTO DEL 1992: RISPOSTA AI COMMENTI E ALCUNE PRECISAZIONI

Il crescente indebitamento estero dell’Italia è un fenomeno preoccupante ma noto, anche perché va avanti da tempo: il saldo delle partite correnti è in caduta libera dal 1997, quello commerciale dal 1996 (Fig. 1). Volevo sottolineare un fenomeno secondo me più preoccupante, ma meno noto: negli ultimi quattro anni una parte consistente della crescita dell’indebitamento è dovuta all’aumento del carico di interessi sul debito estero netto (saldo redditi da capitale di bilancia dei pagamenti), un debito contratto non solo dallo Stato, ma anche e soprattutto dal settore privato. Una situazione simile si era verificata solo prima della crisi del 1992.

PUBBLICO E PRIVATO

Nell’intervento evitavo rigorosamente di “buttarla in politica”, per un motivo molto semplice: alle radici del problema mi pare si trovi l’unica decisione politica sulla quale sinistra e destra sono graniticamente d’accordo. Ritengo cioè sensata l’osservazione di Fabiani sull’insostenibilità della moneta unica per l’Italia. La Fig. 1 è eloquente. Fabiani ricorda anche che c’è chi sta peggio di noi. Mi pare però più utile riflettere sul fatto che paesi come l’Irlanda, la Spagna e il Portogallo in termini di debito pubblico stavano molto meglio di noi. L’importanza del debito privato non può più essere sottovalutata, e appare chiaro che Maastricht sopravvalutava quella del debito pubblico.

PIOVE, GOVERNO LADRO!

In questo senso, confesso di non capire l’intervento di Umberto: gli inviti all’ottimismo li ricordo bene, ma il deficit spending al quale invitavano era quello privato (“l’economia gira con te”), non quello pubblico “à la Craxi”. In Italia i conti pubblici hanno tenuto: dal 2008 al 2010 il debito pubblico italiano è aumentato di 13 punti in rapporto al Pil, quello tedesco di 14. E siccome nel triennio la crescita è stata di -5.2 in Italia e di -0.5 in Germania, i numeri dicono che la politica fiscale italiana è stata certamente più restrittiva di quella dei primi della classe.

BOLLETTA ENERGETICA

Trovo poco fondate le osservazioni di Fox. Intanto, la scelta del periodo di riferimento non va a favore della tesi sostenuta, perché dal 2006 a oggi l’“effetto energia” è stato trascurabile: l’indebitamento è aumentato di 2.3 punti di Pil, i pagamenti per interessi di 1.2 (spiegano cioè circa la metà dell’aumento), ma la bolletta energetica solo di 0.2 (Fig. 1). La stessa situazione, del resto, si era prodotta prima della crisi del 1992: nel quinquennio 1988-92 l’indebitamento era aumentato di 1.7 punti, di cui 0.9 dovuti agli interessi sul debito estero, e… zero alla bolletta energetica! Per inciso, notate che la svalutazione del 1992 ebbe un impatto nullo sulla bolletta energetica. Comunque, se anche la bolletta energetica fosse il problema, il nucleare non sarebbe la soluzione. La Fig. 2 riporta sull’asse orizzontale la percentuale di energia elettrica prodotta da impianti nucleari (1), e su quello verticale il rapporto al Pil della bolletta energetica (saldo fra esportazioni e importazioni di prodotti energetici, media 1999-2007) (2). La percentuale di nucleare è massima in Francia, dove il nucleare assicura il 74% della produzione, e minima (0%) nei paesi privi di impianti attivi. Se l’argomento di Fox fosse corretto, dovremmo aspettarci una bolletta pesantemente negativa in questi ultimi, e meno pesante, o addirittura positiva, in Francia. I dati invece non svelano alcuna relazione di questo tipo: le due variabili sono totalmente incorrelate (per gli statistici: l’R2 della regressione è 0.001). Osservate che l’unico paese non “in rosso” è il Regno Unito (estrae petrolio), che l’Italia ha la bolletta meno salata fra quelle dei paesi privi di impianti nucleari, e meno salata anche di quella francese, nonostante la Francia abbia 58 impianti attivi e ci venda energia. Evidentemente il problema è più complesso, e altrettanto evidentemente i mercati sono preoccupati da altro.

(1) Power Reactor Information System (PRIS), http://www.iaea.org/programmes/a2/.
(2)
Database CHELEM, vers. 11.0 (2009).

LA DISCONTINUITÀ PUÒ ATTENDERE

Nel giorno dell’appello di industriali, sindacati e banche a favore di un segnale di discontinuità nella politica economica italiana è passata in secondo piano un’altra notizia. Ieri il consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti ha approvato la creazione della Società per le partecipazioni “strategiche”. Sarà una spa con un capitale di 1 miliardo di euro con l’obiettivo di investire in quote di minoranza di imprese operanti in settori “di rilevante interesse nazionale”, quali la difesa, la sicurezza, l’energia, ecc. L’obiettivo è creare valore attraverso una maggiore efficienza e l’aumento di competitività. La Cassa depositi e prestiti specifica che “i requisiti fondamentali delle imprese target sono una situazione di equilibrio economico-finanziario, adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo”. Resta solo un dubbio: ma se una società ha i conti in ordine adesso e ha ragionevoli prospettive di crescita e di reddito, perché non dovrebbe riuscire a trovare capitali sul mercato? Perché gli investitori privati non dovrebbero finanziare tali imprese? Qual è il fallimento del mercato che sta operando? In che modo questa società riuscirà ad aumentare l’efficienza delle partecipate e la loro competitività? Nulla di questo si evince dal comunicato della Cdp. Tenendo conto che nell’aprile scorso si pensava di usare questo fondo per “salvare” Parmalat dall’Opa di Lactalis, c’è da pensare che questo sarà l’ennesimo strumento per buttare soldi pubblici in operazioni dissennate dal punto di vista economico e selezionate solo in base a criteri politici. Insomma, un’altra delle tante operazioni che hanno caratterizzato la politica economica nella prima e nella seconda Repubblica. Dopo questa fondamentale operazione, tutti in vacanza. La discontinuità può attendere.

ROCK’N’ROLL SUICIDES

La triste scomparsa di Amy Winehouse, una delle più belle voci della storia del rock, ci  pone di fronte ad un interrogativo: come spiegare le scelte autodistruttive di una giovane artista di così grande successo? Casi simili sono numerosi nella storia della musica e nelle arti. Ma il rifiuto di vivere tocca uomini e donne ordinari ovunque nel mondo. La teoria economica  cerca di spiegare i suicidi sulla base delle aspettative di reddito e dell’attaccamento alla vita, ma fallisce nel fornire una spiegazione convincente.

UNA BOMBA SUL FEDERALISMO FISCALE

Il percorso di attuazione del federalismo fiscale sbatte contro il muro del centralismo, vale a dire dei modi in cui è stata decisa la manovra di aggiustamento dei conti pubblici varata dal Governo. Nessun coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali. E, invece, un’imposizione di tagli di spesa che costringe le autonomie a una stretta finanziaria molto penosa.

PROCESSI CIVILI PIÙ VELOCI? APPLICHIAMO LE NORME ESISTENTI

Nelle sue ultime Considerazioni finali il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha denunciato ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, i costi che l’inefficienza della giustizia civile comporta per il nostro paese, penalizzato in primo luogo sotto il profilo della dimensione media e della competitività delle sue imprese.
Si è così riaccesa l’attenzione su alcune proposte da tempo sul tavolo.

LA TARIFFA DEGLI AVVOCATI

Tra le varie proposte, senz’altro interessante è quella di Daniela Marchesi, che prevede di intervenire sulla tariffa professionale degli avvocati, oggi remunerati a prestazione, in mancanza di preventivo diverso accordo tra le parti. Ciò – si dice sostanzialmente – creerebbe in capo agli avvocati un duplice perverso incentivo, a moltiplicare le attività difensive e a non coltivare con convinzione ipotesi di conciliazione volte a prevenire o a concludere in fretta le liti.
L’intervento sulla tariffa forense, si argomenta, sarebbe “il modo più neutro ed efficace di premiare i comportamenti virtuosi”, come provano l’esperienza tedesca e quella dei processi del lavoro in cui il patrocinio è a cura dei sindacati, che per prassi stipulano per i loro legali compensi a forfait. In alternativa, sarebbe necessario “ridurre l’ampio livello di garanzie che il nostro sistema offre a chi va in giudizio”, incidendo sugli incentivi dei magistrati, “che così diverrebbero i veri dominus del processo”.
La proposta ha il merito innegabile di intervenire in modo pragmatico e puntuale in un dibattito spesso viziato da opzioni ideologiche non sempre supportate da analisi adeguate. Ha inoltre il pregio di non richiedere esborsi aggiuntivi per le casse dello Stato. Rischia però di comportare un costo politico molto elevato, passibile com’è di suscitare la decisa reazione della classe forense, che si vedrebbe oltretutto implicitamente accusata di essere “colpevole” delle lentezze della giustizia.

IL DOMINUS DEL PROCESSO

Soprattutto, rischia di risultare inefficace se non accompagnata e anzi preceduta da misure che sono peraltro di adozione molto più semplice e immediata. Il fatto è che nel nostro processo civile i magistrati sono già i “veri dominus” del processo. O meglio dovrebbero esserlo.
Le norme vigenti attribuiscono alle parti (e ai loro avvocati) la semplice facoltà di chiedere, non certo il diritto di determinare, iter processuale, quantità e tipologia delle attività istruttorie da svolgere e degli atti difensivi scritti da depositare, calendario delle udienze, tutte scelte che sono lasciate alla valutazione discrezionale del giudice.
Esaminiamo infatti che cosa accade nel processo di cognizione ordinario.
Salvo che nella fase iniziale, quando il giudice ha l’obbligo (se richiesto dalle parti) di disporre lo scambio di un numero prefissato di memorie, è lui che dovrebbe valutare quali e quante udienze siano necessarie, verificare l’effettiva utilità delle attività istruttorie chieste dalle parti, presiedere alla loro acquisizione con modalità prefissate dalla legge per evitare lungaggini, acconsentire agli eventuali rinvii richiestigli solo se ne ravvisa l’opportunità. (1)
La conclusione a mezzo trattazione scritta della causa, attraverso comparse conclusionali e repliche (le prestazioni professionali che dalla tariffa sono remunerate con i compensi più alti), poi, costituisce solo una eventualità, poiché il processo – la scelta spetta sempre al giudice – ben potrebbe concludersi con una semplice discussione orale, da svolgersi immediatamente al termine dell’istruttoria, discussione che anzi dovrebbe essere la norma nei casi, largamente maggioritari, in cui non è necessario esaminare sofisticate questioni di diritto o complessi materiali probatori. (2)
Il codice infine affida da sempre al giudice leve potenzialmente molto incisive per sanzionare l’abuso dello strumento processuale, non solo attribuendogli il compito di condannare al rimborso delle spese di giudizio la parte soccombente, ma anche consentendogli di condannare al risarcimento dei danni arrecati alla controparte chi ha proposto l’azione o vi ha resistito con malafede, sebbene il loro utilizzo sia stato storicamente così timido e inefficace che recentemente è stato necessario rafforzarne la forza deterrente. (3)
Ed è sempre il giudice a poter svolgere in ogni momento un tentativo di conciliazione obbligatorio, che – ove non vissuto come una mera formalità – potrebbe avere un rilevante effetto deflattivo.

TRIBUNALI ESEMPLARI

Il problema è che il diritto vivente ha visto sinora una progressiva disapplicazione di molte delle norme ora ricordate, via via svuotate del loro spirito originario. Le ragioni sono molte, ma una di esse è certamente l’insufficiente attenzione generalmente posta dall’amministrazione della giustizia ad aspetti di efficienza gestionale e di corretto disegno degli incentivi a chi ha effettivamente in mano le leve del processo civile, che continua a essere il giudice.
Non a caso, nelle sedi giudiziarie in cui – per iniziativa dei singoli presidenti di tribunale – ci si è concentrati sulla corretta ed efficace applicazione della legge con interventi di micro organizzazione, si sono ottenuti risultati tangibili in termini di diminuzione della durata media dei processi e di smaltimento dell’arretrato. (4) Su questo punto, che già si è evidenziato in passato e su cui sono tornati Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico, la cronaca anche in questi giorni registra un fiorire di prassi virtuose a livello locale, che tuttavia non trovano il riscontro che meritano da parte del ministero della Giustizia. (5)
A fronte di tutto ciò, non esiste nessuna prova che la rimodulazione della tariffa forense, tra l’altro ormai di applicazione residuale, possa avere effetti concreti. (6) Tralasciando quanto avviene in Germania, si deve osservare che l’esempio di quanto avviene nelle sezioni lavoro non è decisivo, ma potrebbe anzi essere la prova del contrario, posto che là è la legge – che come visto nel rito ordinario consente al giudice ampia discrezionalità nell’accogliere le richieste delle parti – a imporre un procedimento molto più scarno, e d’altra parte in quella sede la maggiore specializzazione di ciascun attore e l’uniformità delle questioni che vi vengono trattate forniscono alle parti indicazioni chiare sul possibile esito della causa sin dalle prime battute, incentivando concretamente la ricerca di soluzioni concordate alle controversie.
Insomma, molto si può fare non solo senza chiedere un centesimo ai cittadini, ma anche godendo dei risultati di soluzioni già sperimentate a livello locale. Generalizzate queste a livello nazionale, ben vengano poi misure che ne rafforzino l’impatto, come la revisione delle tariffe legali.

(1) Sulle memorie si veda il disposto dell’art. 183, comma 6, cpc. Per il resto, spetta al giudice valutare se i mezzi di prova richiesti dalle parti siano “ammissibili e rilevanti” (art. 183, comma 6, cpc); in ogni momento il giudice può sospendere l’istruttoria e invitare le parti alla discussione finale, se ritiene che la causa sia matura per la decisione (art. 187, comma 1, e 281-sexies cpc); per limitarsi alla prova orale, il giudice deve ammettere la relativa testimonianza se richiesta dalla parte “mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata” (art. 244 cpc); il giudice deve poi limitarsi a chiedere al teste se sia vera o meno la circostanza di fatto che questi è chiamato a confermare (art. 253 cpc), impedendogli divagazioni e valutazioni personali. Il rinvio dell’udienza per consentire, ad esempio, che si coltivi un’ipotesi conciliativa è una mera facoltà del giudice, quand’anche gli sia richiesta concordemente dalle parti, neppure contemplata dal codice di rito, che consente la sola “sospensione su istanza delle parti” (art. 296); anche in questo caso spetta al giudice valutare se sussistono “giustificati motivi” per accettare la richiesta.
(2) Si veda il già citato art. 281-sexies cpc.
(3) Si vedano rispettivamente gli articoli 91 e 92 per la prima ipotesi, 96 cpc per la seconda. Per le modifiche apportate il riferimento è agli articoli 91, 92 e 96 cpc dalla legge 69/2009.
(4) Il case study continua a essere quello del Tribunale di Torino.
(5) Rispettivamente, Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico “Giudici in affanno”, 2009. E L. Mancini, “Il processo? Lo accorcia il Tribunale”, Il Sole 24 Ore, 14/6/2011, p. 21, dove si dà conto della “creatività” delle singole sedi giudiziarie nell’ideare e implementare prassi virtuose, che tuttavia faticano a trovare supporto da parte dell’autorità responsabile della funzionalità della “macchina giudiziaria”, il ministero della Giustizia.
(6) Sin dal 2006 è venuto meno il valore vincolante della tariffa; trova oggi applicazione solo ove cliente e avvocato non abbiano pattuito il corrispettivo preventivamente.

TEST D’INGRESSO A MEDICINA, SPRECO DI CAPITALE UMANO

A Trieste e Udine e a Roma verrà sperimentato a settembre un nuovo meccanismo per l’ammissione ai corsi di laurea in Medicina e chirurgia. Ma l’unica vera differenza con il vecchio sistema è che si potrà sostenere il test in una università e fare domanda di ammissione in un’altra sede. Non risolve il problema degli studenti respinti in una sede, ma con un punteggio che permetterebbe l’iscrizione in un ateneo diverso. L’introduzione di un test unico per Medicina e Odontoiatria, poi, potrebbe addirittura peggiorare un sistema che già ora non brilla per efficienza.

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