Nella grande maggioranza dei commenti la soluzione al problema del debito pubblico è vista dal lato della spesa . Enti e uffici in eccesso, otto nuove province, una casta rapace, ecc. , queste sono le cose da colpire prima di aumentare in qualsiasi modo la tassazione. Qualcuno si fa inoltre portavoce della nota teoria secondo cui la spesa si espande fin che trova finanziamento, sicché una nuova entrata darebbe comunque un sollievo di breve periodo. Tutte tesi rispettabili, ma fuori tema.
In sede di analisi occorre infatti accettare la premessa di Pellegrino Capaldo, magari con la formula ammesso e non concesso, e chiedersi se lo strumento proposto sia appropriato, alla luce degli usuali criteri di efficienza ed equità, per diminuire di colpo e significativamente il debito pubblico. Solo un commento è favorevole alla tesi di Capaldo . Secondo il mio giudizio, invece, unimposta straordinaria e pesante sulle plusvalenze immobiliari stimate sul catasto attuale solleva problemi di equità non lievi rispetto ai detentori di capitale finanziario e insuperabili allinterno dello stesso comparto immobiliare ; e daltra parte non è pensabile un rapido ed affidabile aggiornamento dei valori catastali. Alcuni commentatori hanno aderito alla mia tesi, e hanno proposto in alternativa limposta di solidarietà sui grandi patrimoni esistente in Francia. E unipotesi da studiare seriamente, ma consapevoli che andrebbe ad arricchire lo strumentario ordinario di prelievo, non già a sostituire limposta straordinaria suggerita da Capaldo. Sullo stesso piano , del resto, si pongono le diffuse proposte, fatte proprie anche da me e condivise da alcuni commentatori, di inasprire la tassazione delle rendite finanziarie, di rafforzare la lotta allevasione e di riparare al misfatto dellabolizione dellIci sulla prima casa reintroducendola ( proposta questultima che ha sollevato unaspra reazione negativa secondo ragionamenti già noti ma non condivisibili sulla sua iniquità, visto che la casa è frutto di risparmi sopravissuti alla tassazione e comporta costi di manutenzione ).
Non ci sono stati commenti sulla ipotesi di una diversa imposizione straordinaria, con base imponibile tutta da studiare, analoga allimposta transitoria introdotta dal primo Governo Prodi . Segno che è difficile negarne in astratto lutilità ma anche difficile dare concretezza allipotesi. E allora continuiamo a pensarci.
Categoria: Argomenti Pagina 727 di 1082
- Banche e finanza
- Concorrenza e mercati
- Conti Pubblici
- Disuguaglianze
- Energia e ambiente
- Famiglia
- Fisco
- Gender gap
- Giustizia
- Immigrazione
- Imprese
- Informazione
- Infrastrutture e trasporti
- Internazionale
- Investimenti e innovazione
- Lavoro
- Mezzogiorno
- Moneta e inflazione
- Pensioni
- Povertà
- Sanità
- Scuola, università e ricerca
- Società e cultura
- Stato e istituzioni
- Turismo
- Unione europea
A metà dicembre 2010 su Science sono apparsi i primi risultati del progetto di digitalizzazione dei volumi presenti nelle biblioteche pubbliche di vari paesi del mondo, realizzato in collaborazione con Google. L’iniziativa ha molteplici ambiti di applicazione. Permette infatti di studiare i tempi di ingresso e la diffusione nella letteratura di ogni genere di parola. E può fornire interessanti spunti di riflessione e di analisi sulla nostra società. Perché l’uso delle parole rispecchia l’attenzione e l’urgenza che un determinato problema riveste in un dato momento storico.
Ecco la soluzione alla crisi dei taxi a Roma, deve aver pensato qualche genio! Come è possibile non averci pensato prima? Se la domanda cala in misura preoccupante e i taxi stanno a lungo fermi ai parcheggi, basta aumentare i prezzi. Avrebbero dovuto pensarci anche le nostre imprese esportatrici, colpite da un calo della domanda estera superiore al 30 per cento. Ma perché mai non ci hanno pensato? Ovviamente, le poverine non hanno a disposizione la saggezza della Commissione di congruità nominata dal Sindaco di Roma per valutare le richieste di aumento delle tariffe dei taxi romani. A fronte di un calo della domanda unitaria pari al 30 per cento, dovuto (così si afferma) allaumento del numero delle licenze deciso dallallora sindaco Veltroni nel 2007, la soluzione raccomandata e tosto adottata dalla Giunta Alemanno è laumento della tariffa. La Commissione e la Giunta non sembrano essere state sfiorate dal pensiero che, a seguito dellaumento delle tariffe, la domanda calerà ulteriormente e con essa anche i ricavi.
La colpa, si sa, è delle duemila nuove licenze concesse da Veltroni nel 2007. I criteri con cui quelle licenze vennero distribuite erano e restano criticabili. Ma il punto è che, grazie a quel provvedimento, cera la possibilità che Roma da città dove i clienti cercano i taxi, si trasformasse in città dove i tassisti cercano i clienti (come diceva Franco Romani e come si pratica in quasi tutte le città del mondo)! Il fatto che questa possibilità fosse una grande opportunità per la maggioranza dei romani e dei turisti evidentemente è sfuggita alla Commissione. Il singolo tassista pensa sia meglio aspettare i clienti al parcheggio – intendiamoci: quei pochi per cui il taxi è assolutamente necessario – e farli pagare tanto. Ma è unillusione. Il chilometraggio diminuirà ancora. Per far aumentare i ricavi bisogna cercare i clienti lungo le strade e offrire tariffe basse, soprattutto sui percorsi medio-brevi, e quindi guidare di più.
Ma la Commissione di congruità è saggia. Per definizione, anche quando suggerisce decisioni incongrue, in stridente contrasto con labc dellEconomia.
P.S. Per fortuna, il Tar del Lazio ha sospeso la delibera comunale. Il pronunciamento nel merito è previsto per il 23 febbraio. Sarà interessante vedere gli argomenti dei giudici amministrativi.
Liberalizzazioni, libertà di impresa, fiscalità di vantaggio per investire al Sud: sono le misure individuate dal governo per far ripartire la crescita. Sono le idee giuste? Il Pil italiano è oggi frenato da consumi stagnanti. Perché sono fermi i salari reali e perché disoccupazione e cassa integrazione non scendono. Le ricette proposte non servono a risolvere i problemi del mercato del lavoro. Meglio sarebbe destinare la fiscalità di vantaggio alle piccole imprese che creano posti di lavoro a tempo indeterminato.
Condivido le considerazioni di Maurizio Ambrosini sui click-day che si sono svolti questa settimana. Come sempre i numeri sono altissimi, ma ben poco hanno a che vedere con le reali condizioni del mercato del lavoro, poiché si tratta in gran parte di ricongiungimenti familiari. Speriamo si possa riformare al più presto lintero meccanismo dei flussi. Ancora una volta però il decreto flussi (deciso unilateralmente dal governo) non è collegato a una organica politica di accoglienza e integrazione sul territorio. Ciò è destinato a riaprire lannosa polemica sullaccesso degli immigrati ai servizi di welfare, soprattutto nelle regioni settentrionali.
Nelle fasi di crisi economica come lattuale è comprensibile che si formino nellopinione pubblica tendenze volte a limitare per gli immigrati laccesso ad alcuni servizi di welfare. Nel nostro paese hanno trovato unapplicazione politico-amministrativa sia a livello nazionale, sia soprattutto a livello locale.
Sono impostazioni coerenti con la normativa europea? E si può parlare di una loro sostanziale efficacia rispetto alle tendenze di lungo periodo che si manifestano allinterno del fenomeno migratorio?
LA STAGIONE DELLE ORDINANZE
Negli ultimi anni, e in particolare dall’estate 2008, dopo l’entrata in vigore della legge n. 125, 24 luglio 2008, che aveva convertito il decreto legge n. 92 del 23 maggio (il cosiddetto "pacchetto sicurezza") si sono succedute alcune centinaia di ordinanze di sindaci di comuni settentrionali, volte a contrastare le fasce più povere dell’immigrazione e successivamente, a ostacolare l’accesso ai servizi e a varie forme di sostegno economico per la maggioranza degli immigrati.
Marco Revelli, nel suo ultimo libro "Poveri, noi" (Einaudi 2010), ne ha ricordate alcune, accuratamente censite dall’Associazione nazionale dei comuni italiani: 788 ordinanze emanate tra l’estate 2008 e quella 2009, per 445 Ccomuni coinvolti, prevalentemente concentrati in Lombardia, Veneto e Friuli, ma con emuli anche in Emilia-Romagna e altrove.
Si va dall’ordinanza "anti-sbandati" del comune di Cittadella (Pd) al "bonus-bebé" riservato a famiglie italiane di Brescia, Latisana (Ud), Palazzago (Bg) e altri; dalla legge della Regione Lombardia sui "phone center" a quella della Regione Friuli sul dialetto nelle scuole; fino all’ordinanza del comune di Rovato (Bs) sulla tutela dei luoghi di culto e a partire dai decreti del presidente del Consiglio del maggio 2008 sulle impronte digitali per i bambini rom.
In generale, i mezzi di informazione hanno dato ampio risalto a questo tipo di provvedimenti all’atto della loro emanazione (o addirittura del loro annuncio politico), senza però seguirne l’iter o monitorarne i risultati. In realtà molti dei provvedimenti sono già stati abrogati dai Tar, dalla Corte di Cassazione o dalla Corte Costituzionale (ad esempio tutti quelli citati in precedenza).
Numerosi ricorsi sono stati presentati e vinti dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e la maggioranza delle ordinanze sopravvive solo in assenza di ricorsi, nei numerosi piccoli comuni che le hanno emanate.
Casi di magistratura orientata politicamente? Non proprio.
UN DIBATTITO MONDIALE
Il dibattito sull’accesso degli immigrati al welfare è antico quanto l’immigrazione nel mondo e antesignana sul tema può essere considerata la "Proposition 187" dello stato della California che riguardava addirittura l’accesso a determinati servizi degli immigrati clandestini, soprattutto minori. Confermata da un ampio consenso popolare (60 per cento) nel referendum del novembre 1994, dopo innumerevoli ricorsi e contro-ricorsi fu definitivamente abbandonata nel 1999, man mano che i "latinos" messicani acquisivano il diritto di voto.
Naturalmente, anche in Europa, dalla Gran Bretagna alla Francia, fino alla Germania (dove l’estate scorsa il libro di Thilo Sarrazin "Deutschland schafft sich ab" – la Germania si distrugge da sé – è stato accolto da forti polemiche) il dibattito su questi temi è sempre stato particolarmente aspro e l’Italia vi giunge buon’ultima. Come sempre, il confine tra diritti e discriminazione non è così chiaro e le norme europee e nazionali non vanno confuse con il consenso politico che in maggioranza è ancora orientato verso la discriminazione; non a caso uno slogan come "prima gli italiani" può essere considerato come uno dei più popolari nella discussione politica nostrana degli ultimi anni. Si può rileggere su questo sito il dibattito tra Tito Boeri e Hans Werner Sinn in vista del primo allargamento a Est dell’Unione Europea.
Non a caso, ad esempio, la quota degli immigrati residenti nelle case popolari in Lombardia e Veneto non è diversa da quella registrata in Emilia-Romagna o in Toscana. Quel che si vuole sottolineare in questa sede è che i contenuti delle ordinanze comunali si sono scontrati con una evoluzione del fenomeno migratorio nel nostro paese che sembra testimoniare un avanzamento del processo di integrazione o quantomeno di stabilizzazione e che vanno nella direzione opposta a quella dei "lavoratori ospiti" che forse era auspicata dal legislatore della "Bossi-Fini" e del "pacchetto-sicurezza", tendente a incoraggiare la cosiddetta immigrazione circolare.
CITTADINI CON PARI DIRITTI (E DOVERI)
L’immigrazione nell’Italia del 2011 è profondamente diversa da quella di dieci anni prima: in particolare, sono cresciute due tipologie di immigrati tutelate dalla direttiva europea 109/2003, che garantisce loro una sostanziale parità di trattamento rispetto agli autoctoni: i cittadini comunitari e i titolari della carta di soggiorno (o meglio del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo).
Il graduale allargamento dell’Unione Europea ha portato i cittadini comunitari residenti in Italia alla cifra ragguardevole di 1.241.368 (dati 2009). I possessori del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo sono arrivati (sempre nel 2009) a 1.011.967. Il documento, che si ottiene normalmente dopo cinque anni di residenza in Italia, non necessita più del rinnovo annuale (o biennale) del permesso di soggiorno e può rappresentare una tappa intermedia verso l’eventuale richiesta di cittadinanza italiana dopo ulteriori cinque anni.
Nel 2010 entrambe queste tipologie di immigrati sono ulteriormente cresciute, ma già nel 2009 rappresentavano il 53,2 per cento dei 4.235.059 immigrati allora residenti in Italia. Oltre la metà degli immigrati quindi è già titolare di uno status giuridico forte, che non può essere discriminato nell’accesso ai servizi di welfare, secondo la direttiva europea 109/2003.
Tanto per dare un’idea, gli alloggi popolari in Italia oggi sono poco più di seicentomila.
Si può obiettare che il significato delle ordinanze dei sindaci è da ricercare piuttosto nel facile consenso politico: è vero altresì che il consenso basato sulle mistificazioni, poggia in realtà su basi piuttosto fragili.
La verità è che l’esperienza degli altri paesi ha già dimostrato come sia impraticabile la strada di sbarrare l’accesso ai servizi, dopo che si è fatto entrare un numero rilevante di immigrati. Per il futuro quindi, l’Italia dovrebbe riflettere maggiormente sulle raccomandazioni europee che si muovono in tutt’altra direzione: permettere l’ingresso a un numero di lavoratori stranieri più modesto del passato, ma assicurare a questi piena parità di diritti e doveri rispetto agli autoctoni.
* Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle Regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione.
Per permettere un’ulteriore mediazione tra il governo e gli enti locali, il decreto sulla fiscalità municipale è stato parzialmente riscritto. Questo articolo è stato scritto e pubblicato su questo sito prima del voto negativo in Commissione di giovedì 3 febbraio e prende in considerazione il testo uscito dal confronto tra Governo e Comuni. Questa versione è più precisa sulla gestione del Fondo sperimentale nella fase transitoria. Ma risulta quantomeno discutibile il dichiarato superamento di un sistema a finanza derivata. L’aliquota Imu rimane fissata a livello centrale. I comuni hanno ottenuto lo sblocco dell’addizionale Irpef, la maggiore compartecipazione sulle sanzioni e l’estensione dell’imposta di soggiorno.
L’invito all’umiltà recentemente rivolto ai giovani italiani dal ministro Meloni è ingiusto e ingeneroso, ma anche sbagliato. Perché il limite maggiore del nostro sistema paese è proprio l’incapacità di valorizzare al meglio il capitale umano delle nuove generazioni. Inoltre siamo uno dei paesi che meno riducono gli svantaggi di partenza. E dove, di conseguenza, sul destino dei singoli pesano di più le risorse della famiglia di origine, indipendentemente dalle effettive capacità e potenzialità di ciascuno. Non è certo così che possiamo ottenere un’Italia migliore.
Il ripristino dell’Invim appare tecnicamente impraticabile nell’immediato. Perché è impensabile un aggiornamento generalizzato del catasto. E il solo parlarne spaventa i risparmiatori, spingendoli a investire meno o all’estero. Occorre invece attuare la lotta all’evasione, la privatizzazione del patrimonio pubblico, l’inasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie. Se poi il governo avesse il coraggio di rimediare ai propri errori, potrebbe varare il ripristino dell’Ici sulla prima casa.
Giovedì dovrebbe essere il click day del federalismo. La bicamerale voterà il decreto proposto dal Ministro Calderoli. Questo decreto prevede l’esenzione dall’Imu degli enti ecclesiastici e delle Onlus. I cittadini italiani hanno diritto di sapere quanto costa questa esenzione. Abbiamo posto la domanda al ministro dell’Economia senza ricevere risposta. Ci ha invece risposto Luca Antonini, presidente della commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, dalle colonne di Panorama (!) chiedendo a noi di formulare una stima. Lieti di farlo se ci offre l’accesso ai dati di cui dispone. Ci basterebbero che ci dicesse a quanto ammonta il valore catastale degli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive,culturali, ricreative e sportive o per uso culturale". In altre parole a quanto ammonta la base imponibile sottratta al fisco. Singolare che nessuno dai banchi dell’opposizione si ponga il problema di chiedere questi dati. Su che base potranno esprimersi giovedi? O bisogna garantire queste esenzioni "a tutti i costi"? Torniamo a chiedere: Quanto costa l’esenzione degli enti ecclesiastici?
Tutti parlano di patrimoniale ma, a ben guardare, intendono cose molto diverse tra di loro. Bene, dunque, mettere qualche puntino sulle i.
Con il termine imposta patrimoniale o anche solo patrimoniale si intende unimposta che non grava su di un flusso che si verifica in un dato periodo di tempo (per esempio, lIrpef tassa il reddito percepito ogni anno), bensì su di uno stock di ricchezza accumulato anche nellarco di intere generazioni.
Limposta patrimoniale può essere reale o soggettiva, ordinaria o straordinaria.
È reale quando colpisce una singola componente della ricchezza di un soggetto (ad esempio le sue proprietà immobiliari, le abitazioni di cui è proprietario), mentre è soggettiva quando colpisce la sua ricchezza complessiva, il suo patrimonio mobiliare e immobiliare. Una tassa reale sul patrimonio può andare a colpire sia la ricchezza mobiliare (attività finanziarie, autoveicoli, ecc.) sia quella immobiliare (terreni, costruzioni ecc.).
Bene anche distinguere tra patrimoniale ordinaria e straordinaria. La prima viene pagata con cadenza annuale, solitamente con un tasso relativamente basso (raramente superiore all1 per cento). La patrimoniale è straordinaria quando costituisce un prelievo occasionale deciso in condizioni di emergenza, quasi sempre di tasso elevato.
LESPERIENZA ITALIANA
In Italia, a differenza di altri paesi, non esiste unimposta soggettiva (generale) sul patrimonio. Abbiamo invece alcune imposte reali (speciali), cioè su singoli cespiti patrimoniali. Si tratta ad esempio dellImposta comunale sugli immobili (Ici), tassa di naturale pertinenza dei Comuni. Questa fu introdotta nel 1993 come imposta straordinaria (Imposta straordinaria sugli immobili, Isi), per divenire solo in seguito ordinaria. Nel 2008 il Governo Prodi ha ridotto lIci sulla prima casa tramite una detrazione del valore massimo di 200 euro, ma in seguito questa norma è stata abrogata in favore della completa abolizione dellIci sulla prima casa voluta dal quarto Governo Berlusconi.
Prima dellIci era in vigore lInvim (Incremento valore immobili), unimposta comunale sullincremento di valore degli immobili che veniva pagata al momento della vendita. LInvim è sopravvissuta fino al 2002 per la parte di plusvalenze maturate prima dellintroduzione dellIci.
Unaltra patrimoniale è limposta di successione, abolita nel 2001 dal Governo Berlusconi e reintrodotta nel 2007 dal Governo Prodi. Oggi laliquota è tra il 4 e l8 per cento a seconda dei casi, con franchigie di 1 milione di euro per parenti in linea retta e di 100 mila euro per fratelli e sorelle. Un altro esempio di imposta sul patrimonio è data dallimposta sul trasferimento di immobili: laliquota in questo caso varia tra il 4 e il 20 per cento nel caso di immobili venduti entro i quattro anni dalla costruzione. In entrambi i casi si è soggetti al pagamento di imposte di registro, ipotecarie, catastali (intorno all1-3 per cento).
Importante distinguere una patrimoniale da una tassa sulle rendite finanziarie. Queste ultime sono oggi tassate in Italia con varie aliquote. Su depositi e conti correnti bancari e postali e su obbligazioni private con scadenza inferiore a 18 mesi vi è unimposta sostitutiva dellIrpef, prelevata alla fonte con aliquota del 27 per cento. Sugli interessi sui titoli del debito pubblico, sui buoni postali e sulle obbligazioni con scadenza superiore a 18 mesi, laliquota è invece del 12,5 per cento. La stessa aliquota viene applicata anche ai dividendi e a tutte le plusvalenze, purché, nel caso di dividendi e plusvalenze azionarie, lazionista non detenga partecipazioni qualificate.In Italia le imposte sul patrimonio sono inferiori a quelle dei maggiori paesi occidentali (con leccezione della Germania) come si può vedere dalla tabella qui sotto. I dati sul nostro paese sono relativi al 2007, anno in cui lIci non era ancora stata abolita, per cui risultano sovrastimati.
Paese | Imposta sul patrimonio in % sul Pil |
Canada | 3.3 |
Francia | 3.5 |
Germania | 0.9 |
Italia | 2.1 |
Regno Unito | 4.5 |
Stati Uniti | 3.1 |
(Source: IMF 2010)
A cura di Guido Zichichi