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UN POPOLO DI SANTI

La beatificazione di Giovanni Paolo II è un segnale di internazionalizzazione della Chiesa cattolica. Che per molti secoli è stata guidata da papi, cardinali e santi italiani, rischiando in questo modo di indebolire il suo carattere universale. Dal Cinquecento fino al 1978 con l’elezione di Papa Wojtyla tutti i pontefici sono stati italiani. Ugualmente impressionante è il numero di santi nati nel nostro paese. Mentre ancora oggi i cardinali italiani sono sessantacinque su un totale duecentotre. Tanti rispetto al peso del cattolicesimo italiano.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Che la questione dei taxi fosse un elemento caldo, che suscita un mare di polemiche, mi era ben chiaro. Non sono pertanto stupito né per la quantità dei commenti, né per la veemenza di alcuni di loro. Debbo dire che, così come mi aspettavo reazioni stizzite dei taxisti, mi attendevo maggior indignazione da parte da parte dei cittadini contribuenti.
Ringrazio tutti gli intervenuti, anche quelli che hanno espresso opinioni molto distanti dalle mie, perché il loro contributo mi aiuta a meglio definire il mio pensiero che, a giudicare dal tono di alcuni interventi, o non è stato capito o è stato "travisato".
L’obiettivo del mio intervento non era né quello di contestare la legittimità delle rivendicazioni "economiche" della categoria, né quello di definire una proposta complessiva per migliorare il servizio.
L’obiettivo era molto più limitato, ed era quello di criticare l’ipotesi secondo cui per non far lievitare le tariffe si addebitano alla collettività parte dei costi del servizio. Mi è ben chiaro che questa operazione viene regolarmente fatta in diversi altri settori e che le risorse destinate ai taxi sarebbero poca cosa rispetto alle montagne di incentivi dati ad altri settori. Così come mi è chiaro che incentivi all’acquisto di vetture ecologiche potrebbero avere effetti positivi sull’inquinamento. Non mi sembra vi siano però sufficienti ragioni economiche e sociali per estendere i benefici dell’incentivazione pubblica al settore dei taxi: anzi sarebbe molto meglio ridurre gli incentivi anche in altri settori.
Per quanto riguarda gli adeguamenti tariffari non ho alcuna obiezione a che le tariffe aumentino per bilanciare l’incremento dei costi. Gli adeguamenti tariffari però, a normativa vigente, vanno adeguatamente motivati, altrimenti si incappa in qualche TAR che fa saltare tutta l’operazione. Se poi le tariffe aumentano troppo il mercato si restringe e si aggrava la crisi. Sarebbe opportuno, questa è la mia opinione, prevedere la liberalizzazione delle tariffe, lasciando ad una autorità pubblica il solo compito di vigilare affinché non si realizzino truffe ed abusi ai danni dell’utenza.
Vi è un tema che io ho solo accennato ma sui cui sono intervenuti diversi lettori: il tema che ho definito dell’"industrializzazione" del settore, ovvero di tutte le modifiche necessarie per migliorare quantità e qualità del servizio, riducendone al tempo stesso i costi. Non ho deliberatamente approfondito questo tema perché l’obiettivo dell’intervento era molto più limitato. Non ho intenzione di affrontarlo in questa breve replica perché il tema è troppo complesso per essere risolto in poche righe. Trovo comunque interessanti e condivisibili alcune delle idee espresse, sia quelle che riguardano l’inserimento della politica sui taxi all’interno della più ampia politica di governo della mobilità (chiusura dei centri storici e dissuasione all’uso del mezzo privato), sia quelle relative all’applicazione delle tecnologie dell’informazione per migliorare il servizio.
In merito a quanto affermato dal signor Genovese vorrei ricordare che l’assegnazione delle 2000 licenze taxi a Roma è avvenuta nella più totale correttezza amministrativa e se vi sono stati episodi illeciti questi hanno riguardato i singoli concorrenti che hanno dichiarato il falso e che per questo verranno perseguiti.
Un’ultima osservazione, che esula dal tema che ho affrontato, ma su cui non riesco a far finta di niente: se è vero che in alcune fasce orarie vi sono molti taxi fermi ai parcheggi, è altrettanto vero che se cerchi un taxi tra le 9 e le 11 te lo puoi scordare: al tempo stesso mi sembra di capire che i noleggiatori di "fuori Roma" sono continuati a crescere anche negli ultimi anni, fino ad arrivare alle 6-7000 unità di cui leggo sulla stampa. Non mi sembra quindi che manchi la domanda: c’è da chiedersi perché i taxi non la intercettino. E la risposta non può essere affidata alle restrizioni ed ai divieti, ma deve essere ricercata in una nuova capacità di far fronte alle esigenze del mercato.
In conclusione vorrei però tornare al tema che più mi sta a cuore oggi: possiamo fare di tutto, possiamo adottare qualsiasi soluzione, purché non si addebitino alla collettività i costi di un servizio che viene utilizzato da una minoranza di cittadini.

UN BONUS CHE NON PREMIA LA FRANCIA *

Il presidente francese vuole imporre alle imprese che pagheranno dividendi sull’esercizio 2010 di versare un premio anche ai propri dipendenti. È una pessima idea sotto il profilo economico, politico e di bilancio. Perché non cambierà nulla nella retribuzione dei francesi, ma sposterà l’onere delle parti variabili del salario dalle aziende alla collettività. E tutto ciò proprio mentre la Francia presenta a Bruxelles il Piano di stabilità per il periodo 2011-2014, nel quale si impegna a un maggior rigore di bilancio.

CHI PAGA IL TAXI

L’aumento delle tariffe dei taxi a Roma si è trasformato in un pasticcio e la soluzione che si prospetta è la peggiore possibile. Perché una parte dei costi ricadrebbe sulla collettività, ovvero anche su chi mai usufruisce del servizio. Non è solo una scelta ingiusta e iniqua, rischia anche di alterare in modo grave il mercato del trasporto pubblico non di linea e di dare il via a nuovi contenziosi legali. Ma quello che più preoccupa è che nessuna forza politica si oppone in modo esplicito alla manovra, come se i soldi pubblici non fossero soldi dei cittadini.

GIOVANI, CARINI E DISINFORMATI

L’alfabetizzazione finanziaria dei giovani è un problema serio. Ed è la scuola che se ne deve occupare. In primo luogo, perché la famiglia non appare oggi preparata a fornire alle nuove generazioni un supporto educativo completo in questo ambito. Ma anche perché si registra un crescente interesse verso l’economia e la finanza tra i ragazzi che partecipano a progetti con modalità didattiche basate sulla partecipazione attiva e su esperienze percepite come reali. I risultati di una ricerca sui preadolescenti.

MAMMA, HO PERSO IL TURISTA

Le voci ufficiali del turismo italiano glissano sui risultati preoccupanti della domanda interna e magnificano le sorti dell’export. Ma le cose non stanno propriamente così: nel 2010 i turisti stranieri hanno fatto registrare cali molto consistenti con perdite economiche per quasi 1,3 miliardi di euro. Mancano all’appello quegli europei che per anni hanno fatto la fortuna di molte località italiane, anche minori. E i tempi della crescita numerica e culturale del nuovo turismo globale rischiano di essere troppo lenti.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Cari lettori,
“300 parole” è una rubrica  in cui i redattori de lavoce.info esprimono punti di vista con lo stile – talvolta polemico e caustico – che caratterizza i “corsivi” della carta stampata. Può dunque rientrare in questo stile lÂ’uso di qualche metafora “forte”.  Se “vestale” –ancorché usato ironicamente- è tutto fuorché un termine con accezione negativa, il termine pasdaran, come nota l’accorto lettore , individua un combattente guidato dalla fede. Appunto.
Ma l’aspetto più rilevante è un altro: ancora una volta notiamo come il tema dell’acqua pubblica tenda immancabilmente a scatenare reazioni viscerali. Proprio per questo lavoce.info ha organizzato, in occasione del Festival dellÂ’economia di Trento, una serie di “pro e contro”, uno dei quali, il 4 giugno a Rovereto avrà come titolo: “La gestione dellÂ’acqua deve essere totalmente pubblica?”
 In quest’occasione i partecipanti all’evento verranno chiamati a votare prima e dopo il confronto tra i relatori. Sarà un esperimento interessante per valutare il valore aggiunto del Festival nel cambiare le percezioni.
Tra i relatori vi sarò anche Ugo Mattei. Dispiace che giudichi il nostro tono “aggressivo e insolente”. Gli assicuriamo che il confronto in occasione del Festival non lo sarà, anzi sarà caratterizzato dall’approccio scientifico che  sempre accompagna gli articoli de lavoce e il festival stesso.
Proprio su queste colonne,  infatti, abbiamo già ampiamente trattato lÂ’argomento  (si veda gli articoli di Scarpa, Ponti, Massarutto) evidenziando in più occasioni come il dibattito mediatico sulla cosiddetta "privatizzazione dell’acqua" sia stato fuorviante visto che il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 prevede cambi il meccanismo di affidamento e non la proprietà dell’impresa.
Tuttavia l’argomento dell’intervento non era questo, bensì le conseguenze su settori, come quello dei trasporti locali, che con l’acqua nulla hanno che fare e che verrebbero toccati dall’eventuale abrogazione del 23 bisÂ…

I FATTORI SCATENANTI DELLE RIVOLTE IN NORD AFRICA

Dalla fine del 2010 in molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente si sono succeduti dei movimenti di popolo, più o meno pacifici, da cui sono derivati dei forti cambiamenti geopolitici. Bottazzi ed Hamaui evidenziano come le condizioni sociali e politiche siano tra i fattori determinanti della rivoluzione egiziana.
È vero ciò anche negli altri paesi in cui le rivolte sono state particolarmente intense?

Tabella 1 – Indicatori economici dei paesi coinvolti dai movimenti popolari

  Pil procapite
(mgl dollari in PPP)*
Inflazione* Tasso di disoccupazione* Economic freedom index
2011

(score)**
Global competitiveness index
2010-2011
(score)***
Indice del livello di istruzione e formazione
2010-2011 (score)***
Indice dell’efficienza mercato del lavoro2010-2011
(score)***
Algeria 6.9 5.7% 10.2% 52.4 4.0 3.6 3.7
Arabia Saudita 23.2 5.1% 11.7% 66.2 4.9 4.5 4.4
Bahrein 27.1 2.8% 15.0% 77.7 4.5 4.6 4.8
Egitto 6.1 16.2% 9.4% 59.1 4.0 3.6 3.4
Giordania 5.6 -0.7% 12.9% 68.9 4.2 4.3 3.9
Iran 11.2 10.3% 11.8% 42.1 4.1 3.8 3.4
Libia 14.3 2.7% 30.0% 38.6 3.7 3.6 2.8
Marocco 4.6 1.0% 9.1% 59.6 4.1 3.5 3.5
Oman 25.1 3.5% 15.0% 69.8 4.6 4.2 4.7
Siria 4.9 2.5% 8.5% 51.3 3.8 3.3 3.4
Tunisia 8.3 3.7% 14.7% 58.5 4.7 4.9 4.3
Yemen 2.5 3.7% 35.0% 54.2 nd nd nd

* I dati si riferiscono all’ultimo anno disponibile.  ** Livello massimo pari a 100.  *** Livello massimo pari a 7.
Fonte: Heritage Foundation, World Economic Forum e CIA-World Factbook.

IL CONFRONTO TRA INDICATORI

Per rispondere a questa domanda abbiamo preso in considerazione i dati (1) riportati nella tabella 1.  Tra i paesi considerati notevole è la dispersione in termini di Pil procapite. Il Bahrein risulta avere il reddito procapite più elevato: è infatti circa il doppio di quello della Libia e 10 volte superiore a quello dello Yemen. Nonostante l’elevato reddito medio il Bahrein risulta comunque avere un alto tasso di disoccupazione (15 per cento), sugli stessi livelli di quello della Tunisia (2). Con l’8,5 per cento la Siria è invece il paese con la disoccupazione più contenuta. Anche in termini di inflazione le differenze sono notevoli. La maggior parte dei paesi si attesta intorno al 3-4 per cento, mentre in Egitto e Iran si registrano variazioni dei prezzi al consumo a due cifre. La Giordania è l’unico paese a trovarsi in un contesto di deflazione. Relativamente alla libertà economica si osserva che il Bahrein mostra un indice particolarmente elevato, mentre in fondo alla classifica si attesta la Libia. Sul fronte della competitività internazionale, sul grado di istruzione e formazione e sull’efficienza del mercato del lavoro primeggiano l’Arabia Saudita, la Tunisia, l’Oman e il Bahrein, mentre i restanti paesi si attestano su livelli sufficientemente vicini.
In sintesi, i dati riportati nella tabella 1 non sembrano segnalare che i paesi coinvolti dai conflitti civili abbiano molti aspetti di natura economica in comune.
Alcuni interessanti spunti di analisi emergono contestualizzando le caratteristiche economiche dei paesi in rivolta rispetto al resto del mondo. Dal ranking mondiale per ognuno degli indicatori considerati, si riscontra che l’unico indice per cui nei dodici paesi esaminati nessuno supera la metà della classifica internazionale è quello relativo alla disoccupazione. L’esistenza di mercati del lavoro non in grado di offrire livelli occupazionali adeguati, se paragonato ad altre realtà economiche, può essere quindi individuato come un fattore che accomuna tutti i paesi in cui si sono registrate rivolte popolari. Il problema della disoccupazione è ancor più sentito in questi paesi in quanto c’è un connubio tra l’alta incidenza della popolazione in età lavorativa e l’alto tasso di disoccupazione giovanile (in Tunisia il 70 per cento della popolazione è concentrato nella fascia di età 15-64, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 31 per cento).

LA PARTICOLARITÀ DELLA TUNISIA

Si può ulteriormente notare come la popolazione tunisina, che si caratterizza per lÂ’elevato livello di istruzione e formazione (il relativo indicatore vede la Tunisia al 30° posto su quasi 140 paesi; lÂ’Italia in questa classifica si attesta solo in 47° posizione.) sia stata proprio quella ad aver dato il via ai movimenti popolari nel finire del 2010. Tra i fattori che hanno permesso che ciò avvenisse c’è probabilmente la maggiore consapevolezza delle proprie condizioni socioeconomiche (in Tunisia circa il 50  per cento dei disoccupati ha un livello di istruzione medio-alto) e la più ampia diffusione degli strumenti di comunicazione. Con riferimento a questÂ’ultimo punto va rilevato come proprio in Tunisia lÂ’utilizzo della telefonia mobile, di Internet e dei social network sia particolarmente diffuso (circa il 21 per cento della popolazione è iscritta a Facebook, contro una media mondiale di poco meno del 10 per cento – cfr. tabella 2). 

Tabella 2 – Livello di utilizzo dei mezzi di comunicazione e dei social network
dati in % della popolazione

  Utenti Internet
2009
Utenti Facebook
2011
Utenti telefonia mobile
2009
Data di inizio delle rivolte popolari
Tunisia 33,5 21,2 93,5 17/12/2010
Giordania 29,3 21,7 101,1 14/01/2011
Oman 43,5 7,7 139,5 17/01/2011
Yemen 1,8 1,1 16,3 18/01/2011
Egitto 20,0 7,4 66,7 25/01/2011
Bahrein 82,0 27,1 199,4 14/02/2011
Iran 38,3 nd 72,1 14/02/2011
Libia 5,5 4,8 77,9 16/02/2011
Marocco 32,2 9,5 79,1 20/02/2011
Algeria 13,5 4,7 93,8 22/02/2011
Arabia Saudita 38,6 13,6 176,7 23/02/2011
Siria 18,7 nd 46,0 26/03/2011
Media mondiale 27,1 9,5 69,0  

Fonte: nostre elaborazioni su dati Banca Mondiale e Facebook.

Si può poi notare come anche in Giordania e Oman, paesi che da un punto di vista cronologico hanno per primi seguito le vicende tunisine, ci sia un’ampia diffusione di Internet e della telefonia mobile, ad evidenziare come la maggiore circolazione delle informazioni sia tra le principali determinanti di quell’effetto domino che ha provocato l’estensione delle proteste in tutta l’area del Nord Africa e del Medio Oriente.    

QUALI INDICAZIONI PER LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE?

Prescindendo da considerazioni prettamente politiche, dalle informazioni fin qui descritte sembrerebbe emergere che se la comunità internazionale vuole affrontare in modo strutturale il problema delle popolazioni insorte deve intervenire in primo luogo sui relativi mercati del lavoro, favorendone l’efficienza e lo sviluppo. L’Europa, in particolare, potrebbe beneficiare di questa politica: da un lato, infatti, si ridurrebbero i flussi migratori provenienti dai paesi interessati dalle rivolte; dall’altro, la crescita di benessere delle popolazioni del Nord Africa e del Medio Oriente potrebbe far aumentare i mercati di sbocco per le merce europee, posto che in quelle aree vi vivono più di 300 milioni di persone. 

(1) La lista dei paesi considerati nell’analisi è stata definita sulla base di questa mappa.
(2) La presenza di una forte disoccupazione anche in paesi con elevati redditi procapite discende anche da scelte di natura politica. Come ben evidenziato da Laidi su questo sito. tutti i regimi autoritari hanno interesse a che la popolazione sia dipendente dal potere e dalle sue ricchezze. Si preferisce infatti governare una popolazione disoccupata in quanto è dipendente dallo Stato.

*Le opinioni espresse appartengono esclusivamente agli autori e non sono quindi attribuibili allÂ’Istituto di appartenenza.

 

I DANNI COLLATERALI DI UN REFERENDUM

In nome dellÂ’acqua pubblica, uno dei quesiti referendari propone lÂ’abrogazione di un intero articolo di legge (il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112, più volte modificato). Inutile dire che (contrariamente a quanto vogliono farci credere i pasdaran del referendum) quellÂ’articolo di legge non ha nulla a che fare con la proprietà della “risorsa acqua”, ma solo con le modalità di gestione del servizio idrico. È invece utile sottolineare che il 23 bis (come viene familiarmente chiamato dagli addetti ai lavori) riguarda anche altri servizi pubblici locali, tra cui i trasporti. LÂ’eventuale abrogazione del 23 bis, dunque, riporterebbe il trasporto locale alle norme vigenti prima del giugno 2008. Qualcuno potrebbe fare spallucce e dire “poco male: dopotutto, il 23 bis non innovava granché”. Certo, il 23 bis non era la rivoluzione che alcuni speravano (e altri temevano); ma rispetto alla normativa precedente qualche pregio lÂ’aveva. Vale la pena ricordare che – abrogato il 23 bis – tornerebbero a valere esclusivamente le norme del pasticciato e reticente Regolamento europeo CE/1370/2007 e dellÂ’ormai lontano D.Lgs. 422 del 1997, nelle parti migliori purtroppo superato proprio dal Regolamento europeo. Non fosse altro, il 23 bis dice almeno con chiarezza che la modalità ordinaria di affidamento dei servizi è “la procedura competitiva ad evidenza pubblica” e pone una serie di vincoli agli affidamenti “in house”, cui invece il citato Regolamento comunitario lascia più o meno libero corso. Dunque, se il 23 bis verrà abrogato con il referendum del 12 giugno, liberi tutti di ricorrere al “fatto in casa”.
Chissà come è contento il sindaco di Roma Alemanno del regalo che gli vogliono confezionare le vestali dell’acqua pubblica! Proprio nei giorni scorsi, in previsione di un esito abrogativo del referendum, il leader capitolino ha stretto accordi con i sindacati per confermare ad libitum il regime “in house” del trasporto pubblico romano (il fascino del “casereccio” a Roma è irresistibile) e ha poi accettato le dimissioni di quell’amministratore delegato che, nella bufera dei mesi scorsi, era stato nominato alla guida dell’Atac per riportare un po’ di ordine e di moralità in azienda. Purtroppo, il regalo non sarà solo per Alemanno: infatti è ormai esplicita e dichiarata la volontà di buona parte degli amministratori locali di non fare gare per diminuire il costo dei servizi locali, anche in caso di sprechi vistosi o gestioni dissennate: sono certi che le loro imprese non potranno fallire e che i contribuenti (e gli utenti) alla fine saranno chiamati a pagare. Sono anche convinti, evidentemente, che perderanno meno consensi così facendo piuttosto che ottenendo gestioni più sane e meno costose. Anche solo per dare loro finalmente torto, sarebbe bello che il quesito referendario venisse sonoramente bocciato.

SULLE SPALLE DELLA FAMIGLIA

Il governo sostiene di aver rafforzato il ruolo della famiglia. E infatti ricadono sulle famiglie italiane tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla disoccupazione giovanile alla cura dei bambini piccoli quando la madre lavora. Le timide proposte innovative del Piano nazionale per la famiglia sono rimaste lettera morta. Senza contare che una disoccupazione giovanile vicina al 30 per cento impedisce ai giovani di crearsi una propria famiglia. Le dimissioni delle lavoratrici madri.

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