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CHE SARÀ DI CONFINDUSTRIA, DEL SOLE, DELLA LUISS

L’accordo di Mirafiori ha segnato una svolta nelle relazioni industriali italiane e nel ruolo delle parti sociali. Se diminuisce il peso della contrattazione nazionale, si riduce il ruolo di soggetto di politica economica per le associazioni di impresa, che saranno spinte verso un’attività di lobby su specifiche problematiche. Anche Sole-24Ore e Luiss rischiano di subire i contraccolpi della nuova funzione di Confindustria. Per questo occorre garantire a entrambi più autonomia e, dunque, maggiore autorevolezza.

I PERCHÉ DEL VOTO ALLA FIAT

Si torna finalmente a parlare di regole sulla rappresentanza e di decentramento della contrattazione. Ma cosa insegna la vicenda di Mirafiori? La strategia “prendere o lasciare” di Marchionne è inadeguata. E la Fiom ha avuto buon gioco a politicizzare il confronto. Il voto ha così acquisito un significato molto diverso da un pronunciamento sui contenuti specifici dell’accordo. Solo la ripresa del dialogo e la creazione di consenso attorno al progetto Fabbrica Italia possono garantire la governabilità degli impianti e una crescita della produttività che assicuri lavoro e diritti.

PER LA RICERCA RISORSE SCARSE E POCO COMPETIVIVE

I problemi dell’università italiana non dipendono solo dai tagli al Fondo di finanziamento ordinario decisi dal governo. Altrettanto importanti sono le risorse, pubbliche e private, destinate a finanziare le attività di ricerca. Il confronto con l’Inghilterra fa emergere come siano particolarmente scarse in Italia. E come quelle che pur esistono vengano allocate in gran parte con procedure non competitive.

LA POLITICA? UN GIOCO PER SIGNORINI

Alfonso Signorini è uno dei più abili produttori di infodivertimento in Italia attraverso il suo settimanale di gossip e un neonato talk-show televisivo. Avrà un ruolo importante in campagna elettorale. Perché “Chi” e “Kalispera” mostrano un volto spensierato dell’Italia, inculcando l’idea che le cose nell’era Berlusconi non vanno poi così male. E se i cittadini si sentono più felici, è probabile che alle prossime elezioni votino più volentieri per il governo in carica, come dimostra una recente ricerca americana. Una strategia mediatica che sarebbe bene non sottovalutare.

LA LEGGENDA DEL NUMERO FISSO DI POSTI DI LAVORO

 

ANCHE I CAMPIONI VANNO IN PARADISO. FISCALE

Perché i calciatori, specialmente quelli bravi, scelgono la squadra di un paese invece che di un altro? Perché guardano il regime di tassazione in vigore e optano per quello più conveniente. Così quando la Spagna ha introdotto la legge Beckham nel 2004, la quota di calciatori stranieri nel campionato spagnolo ha iniziato a divergere immediatamente e in modo sostanziale dalla quota di calciatori stranieri presenti nel nostro. Più in generale, la tassazione ha un chiaro effetto sulla migrazione internazionale e un effetto di selezione del lavoro altamente qualificato.

IL TIMORE DI TOCCARE IL FONDO

Il vertice dei ministri finanziari dell’euro area ha deluso le attese di chi proponeva una riforma dello european financial stability facility. Si continua così a rimandare la soluzione del problema del debito sovrano in Europa. Il rinvio costa caro agli stati, in termini di maggiori oneri per interessi; mantiene viva la minaccia di un attacco speculativo contro i paesi “periferici”; addossa un fardello sempre più pesante sulla Bce. Sarebbe perciò opportuno riformare lo Efsf, autorizzandolo ad acquistare titoli sovrani sul mercato secondario e riconoscendogli lo status di creditore senior rispetto ai creditori privati.

TELECOM ITALIA: I PICCOLI AZIONISTI DEVONO SAPERE

Telecom Italia ha già versato 400 milioni all’erario per la vicenda Sparkle (presunta frode fiscale, su cui l’ex Ad di Fastweb, Scaglia, si è fatto alcuni mesi di prigione) e rischia ora di pagare altre centinaia di milioni a causa della sua passata gestione, che avrebbe lasciato mano troppo libera alla Security (il caso Tavaroli-Sismi, per intenderci). Non si sa a quanto salirà il conto, ma presumibilmente a ben di più di 500 milioni. E rimane l’impressione che nell’impresa succedesse di tutto senza che i vertici sapessero alcunché (vero o falso? lo diranno i magistrati).
A metà dicembre il Cda di Telecom Italia (con il voto contrario del consigliere indipendente Zingales) decide di non chiedere i danni  agli amministratori precedenti. Con più di mezzo miliardo in ballo e un’immagine pesantemente compromessa, pare una decisione incredibile. Ma il Cda non dovrebbe fare gli interessi degli azionisti? E in che senso tali interessi sono tutelati dalla decisione del Cda di proteggere gli ex amministratori?
Si parla spesso di capitalismo consociativo, di reti di interessi che legano comunque le società (e chi siede nei consigli) ben oltre gli effettivi legami azionari, ed evidentemente anche quando i legami azionari si sono sciolti.
È stato un bruttissimo episodio, sul quale abbiamo taciuto nella speranza che succedesse qualcosa. Ma evidentemente la cosa sta bene a troppi. E non emergono le ragioni della decisione, e neppure i documenti che giustificherebbero la decisione stessa. Brutto momento per la tutela degli investitori. Brutto per la trasparenza dei mercati azionari.
C’è solo un modo con cui il Cda può fugare il dubbio di voler con una mano lavare l’altra: coprendo le malefatte di passate e presenti gestioni: renda pubblici i rapporti sulla gestione precedente sulla base dei quali ha preso la sua decisione. I piccoli azionisti hanno diritto di sapere.

I LIBRI E LE IDEE

NellÂ’ultimo mese in molti su questo sito ci hanno offerto dei bei ricordi personali relativi allÂ’azione di Tommaso Padoa-Schioppa nelle varie istituzioni in cui ha operato. Io vorrei, invece, dare una prospettiva diversa, ricordando dei contenuti dei suoi scritti che mi hanno colpito. Si tratta in particolare di tre interconnesse proposizioni su integrazione economica e politica che compaiono ripetutamente, come a formare una specie di leitmotiv, nei vari libri ed articoli pubblicati da Padoa-Schioppa (molti dei quali sono disponibili sul suo sito personale www.tommasopadoaschioppa.eu).

  • Il mercato ha bisogno di istituzioni non di mercato per il suo buon funzionamento. Come già intuito da Adam Smith, il mercato non è soltanto un insieme di comportamenti individuali (che ne sono, in effetti, il risultato), ma una realtà giuridico-istituzionale, sociale e culturale. In particolare, il mercato richiede una struttura istituzionale di tipo statuale, cioè la capacità legislativa, esecutiva e giudiziaria che permetta il concretarsi delle sue libertà fondamentali. Tra il mercato e la rule of law esiste quindi una necessaria corrispondenza.
  • Integrazione economica ed integrazione politica sono processi complementari. Quando più paesi decidono di perseguire lÂ’obiettivo di un mercato comune (cioè di stabilire tra essi la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone), si rendono allora necessari quegli stessi istituti senza i quali lÂ’economia non funzionerebbe neppure allÂ’interno di un paese. In altri termini, lo sviluppo del mercato comune deve procedere in parallelo con lÂ’instaurazione degli elementi statuali che erano in precedenza solo interni agli Stati nazionali. Ciò pone il problema della corretta struttura istituzionale di uno Stato composto da più nazioni.
  • LÂ’integrazione politica deve essere articolata secondo i principi del federalismo. Una struttura politica basata su Stati nazionali a sovranità illimitata non può garantire il governo di un mercato comune perché è incapace di decidere e far eseguire la legislazione comune ad esso necessaria. In un sistema federale, gli Stati nazionali delegano attraverso un patto (foedus) ad un livello di governo sovranazionale (globale o regionale) le questioni di comune interesse a cui individualmente non sono in grado di provvedere. I membri della federazione rimangono competenti per tutte le aree di governo non esplicitamente incluse nel patto.

Nel ricordare queste idee vorrei solo aggiungere una breve riflessione sul perché penso che valga la pena continuare a tenerle a mente. Per quanto in astratto possano essere condivise da molti, queste tre proposizioni rientrano solo in parte nel bagaglio culturale dell’economista. Ciò si riflette sia nella pratica del funzionamento delle istituzioni internazionali che nel laboratorio dellÂ’analisi economica. Fondo Monetario, Banca Mondiale, WTO, G-20 sono istituzioni costruite sul presupposto che i soggetti della cooperazione siano gli Stati nazionali. In questi contesti, difficilmente si accetta il principio della sovranazionalità, anche quando esso sarebbe indispensabile per dare concreta applicazione a regole comuni. Nel laboratorio dellÂ’economia internazionale, lÂ’unità di analisi è lo Stato nazionale, non altra. Salvo rare eccezioni (in particolare, la teoria delle aree monetrie ottimali e i principi del federalismo fiscale), lÂ’idea che la politica economica sia prerogativa dei governi nazionali – che possono scegliere di coordinarsi o meno- è un assunto comune raramente messo in discussione.
In una lezione tenuta all’Istituto Universtario Europeo nel 2005, ricordo che Padoa-Schioppa affrontò questo punto con una efficace provocazione. Parafrasando una frase di Keynes (un poÂ’ spocchiosa e, forse per questo, spesso amata da chi studia economia), disse che non c’è ragione per cui gli economisti debbano essere schiavi di una visione politica defunta: il dogma (Westfaliano) della sovranità illimitata degli Stati nazionali. LÂ’economista accademico deve riflettere sui mutamenti che è necessario apportare allÂ’assetto istituzionale esistente, ed il politico economico deve operare affinché questi mutamenti si compiano. Una bella sfida –mi pare- per chi sceglie di operare nel campo dell’economia internazionale.
Il 2010 che si è appena chiuso non è stato un anno facile per lÂ’integrazione europea e per il progresso della governance mondiale in senso sovranazionale. La crisi economica, in parte essa stessa frutto dellÂ’incoerenza tra la crescente interdipendenza economica e un ordine politico frammentato, ha avuto come reazione immediata il riemergere di atteggiamenti egoistici. Tuttavia, come altri hanno ricordato, Tommaso Padoa-Schioppa vedeva nella presente situazione lÂ’opportunità per introdurre quegli elementi di riforma necessari a far muovere in avanti la storia. Forse perché sentiva –come scrisse molti anni fa Altiero Spinelli – che la forza di una idea, prima ancora che dal suo successo finale, è dimostrato dalla capacità di risorgere dalle proprie sconfitte.

SE LA CRISI NASCE DALLA DISUGUAGLIANZA

La crisi economico-finanziaria non nasce solo dagli squilibri internazionali. Ha come causa anche una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito negli Stati Uniti. I salari dei lavoratori con basso tasso di istruzione sono infatti fermi da trent’anni, mentre l’economia americana è cresciuta del 100 per cento. Per adeguare i consumi a quel livello di crescita economica, la metà della popolazione ha fatto ricorso al debito, alla fine diventato insostenibile. La soluzione della crisi passa per politiche redistributive politicamente difficili da accettare.

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