La vera partita del federalismo fiscale si gioca sulla finanza regionale e in particolare sulla definizione dei costi standard nella sanità. Nel decreto presentato dal governo, il sistema di definizione del fondo sanitario e i meccanismi di riparto restano sostanzialmente quelli già in vigore da oltre dieci anni. E anche i nuovi costi standard-criteri di riparto sono gli stessi già adottati in passato. Mentre scompare il periodo di transizione. Si rischia così di favorire la conflittualità fra le Regioni e la discrezionalità della peggiore politica.
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L’introduzione della cedolare secca farà probabilmente emergere parte dei redditi da affitto finora non dichiarati al fisco, grazie al contrasto di interessi che si crea tra proprietario e inquilino. Difficilmente invece riuscirà ad ampliare l’offerta di case in locazione, anche perché si applica solo alle persone fisiche. Mentre mette la parola fine al tentativo di abbassare i canoni attraverso la leva fiscale. Gli effetti sui comuni.
Domenica 3 ottobre il Brasile elegge il nuovo presidente. Vediamo qual è l’eredità di Lula in tre articoli. Ha controllato l’inflazione e l’economia è cresciuta in gran parte perché l’azione del suo governo ha seguito il solco della precedente amministrazione Cardoso. Diverse, invece, la politica sociale e industriale. L’introduzione della Bolsa Familia ha dato risultati eccellenti in termini distributivi. Lula ha anche dimostrato maggior fiducia nel ruolo dello stato dell’economia, con una politica industriale ambiziosa e non lesinando le risorse per banche e imprese pubbliche.
La crisi finanziaria ed economica globale ha scalfito molte certezze d’antan: per esempio, che la miglior politica industriale non si vede e non si sente, e soprattutto non dispone di azioni. In altre parole, che la golden age delle privatizzazioni abbia sancito la fine definitiva dello Stato azionista. In pratica, come ha sottolineato Fabrizio Onida, il nostro sistema industriale si confronta quotidianamente con concorrenti, in particolare i paesi emergenti, che invece ricevono sostegno dai propri governi. (1) Da ciò l’importanza di conoscere meglio la politica industriale in paesi come il Brasile le cui economie sonoconcorrenti, ma anche complementari, alla nostra.
Tra i diversi primati del Brasile, oltre al numero di campionati mondiali di calcio e la più vasta estensione di foresta primaria, cè anche quello della disuguaglianza dei redditi. (1) Uno dei principali risultati del governo Lula è stato proprio la sua riduzione.
Grazie per i commenti.
Condivido l’osservazione relativa al perimetro di applicazione di Basilea III, che lascia fuori una pluralità di operatori che non si qualificano come banche commerciali. La regolamentazione meno stretta sugli intermediari finanziari non bancari è stata tradizionalmente giustificata con il fatto che questi non godono della protezione della banca centrale (prestito d’ultima istanza). Tuttavia la crisi esplosa nel 2007 ha messo in crisi questo modello, per cui sarebbe bene riflettere sull’opportunità di limitare la leva ed il rischio di liquidità di operatori come investment banks e hedge funds. E invece infondata la preoccupazione relativa alla partecipazione degli USA: l’accordo di Basilea III coinvolge tutti i maggiori paesi occidentali (compresi gli USA) ed emergenti.
I costi di aggiustamento in termini di maggiore costo del credito e di minore crescita del PIL sono transitori perché si riferiscono alla fase in cui alcune banche potrebbero trovarsi vincolate dai nuovi requisiti patrimoniali: in altri termini, la scarsità di capitale primario potrebbe costringerle ad una restrizione dell’offerta di credito. A regime questa situazione dovrebbe scomparire, grazie all’emissione di azioni e all’accantonamento di utili, e anche in virtù dei cuscinetti anti-ciclici di capitale previsti dall’accordo: questi dovrebbero indurre le banche a raggiungere un livello di capitale superiore al minimo regolamentare, così da non trovarsi mai a corto di capitale.
Infine, sono d’accordo sul fatto che le azioni del settore bancario sono destinate ad essere mediamente meno redditizie in futuro, a causa della regolamentazione più stringente. Tuttavia esse dovrebbero essere anche meno rischiose, e ciò dovrebbe compensare gli investitori. La linea perseguita dalle autorità è proprio quella di rendere i profitti del settore bancario più stabili, seppure inferiori in rapporto al capitale impiegato.
La sera del 21 settembre il consiglio di amministrazione di Unicredit ha tolto la fiducia all’amministratore delegato, Alessandro Profumo, costringendolo alle dimissioni, e ha assegnato tutte le deleghe operative al presidente Dieter Rampl. Ma un principio fondamentale del buon governo societario è che non vi sia mai un accentramento di tutti i poteri nelle mani di un singolo individuo. Ed è un principio pienamente accolto nelle regole emanate dalla Banca d’Italia. Si è così creata una situazione anomala. Speriamo almeno che duri poco.
E’ stato un gesto di irresponsabilità, in cui hanno giocato un ruolo decisivo le fondazioni bancarie, quello che ha portato all’impeachment di Alessandro Profumo senza un sostituto e senza un preciso capo d’accusa. Un nuovo amministratore delegato dovrà essere trovato entro poche settimane, da un consiglio tutt’altro che coeso al suo interno. Bene che si faccia sin d’ora chiarezza sui criteri e le procedure che verranno seguite nel selezionare i candidati. Sarà fondamentale anche rivedere la governance di Unicredit che si è rivelata fragilissima. La lezioni da trarre è che le fondazioni devono uscire dalle banche. Gioverebbe alle banche, alla collettività. E anche a loro.
Tra luglio 2008 e luglio 2010 si sono persi 881mila posti di lavoro. Colpiti per primi i lavoratori temporanei. Netto calo delle assunzioni, ma licenziamenti contenuti grazie alla cassa integrazione. Per il prossimo futuro si profila una modesta ripresa dei rapporti di lavoro temporanei e parasubordinati nei settori legati ai mercati internazionali espansivi, ma sempre su livelli occupazionali complessivi inferiori a quelli pre-crisi. Dalla gestione delle crisi di impresa via Cig si dovrà passare alla gestione della disoccupazione, con il rischio che divenga di lunga durata.