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I test standardizzati presi tra due fuochi

Il ministro dell’Istruzione annuncia il ricorso a test standardizzati per misurare le competenze e i progressi degli studenti. E’ una decisione largamente condivisibile, nonostante le critiche degli insegnanti. Ma non certo per le ragioni indicate dal ministro. I test sono un modo per capire e tentare di risolvere i problemi del sistema scolastico sulla base di evidenza empirica su cosa funziona e cosa non funziona. Non possono invece svolgere altri compiti, come ad esempio migliorare la didattica. Né tanto meno la loro adozione si trasforma automaticamente in crescita dell’economia.

Quote latte: un pasticcio nostrano

Il sistema delle quote latte, stabilito dall’UE, ha come obiettivo ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta. Nel corso degli ultimi 25 anni molti produttori italiani hanno consapevolmente superato il tetto massimo delle quote assegnategli dall’UE. Solo una minima parte delle multe sono state effettivamente pagate dagli allevatori. I contribuenti italiani hanno, invece, giá pagato 1,87 miliardi di euro per i prelievi relativi al periodo 1984-1996. I restanti 2,5 miliardi devono essere pagati dai coltivatori, a meno di non voler far scattare una procedura d’infrazione da parte dell’UE.

Quote latte: un pasticcio europeo

In Italia vi sono oggi circa 40.000 produttori di latte sparsi su tutto il territorio nazionale, ma con forti concentrazioni nella Pianura Padana.

Come la Fiat può svincolarsi dal contratto nazionale

1. Secondo lÂ’’orientamento oggi prevalente della giurisprudenza, per poter derogare al contratto collettivo nazionale con effetti estesi a tutti i dipendenti dellÂ’’azienda, un contratto aziendale deve essere firmato da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale.

Tutte le bandiere dell’auto italiana

La storia della Fiat è intrecciata con quella dell’industria italiana. Per questo non dovrebbero sorprendere le recenti decisioni del gruppo torinese di trasferire gli stabilimenti produttivi in paesi emergenti. In un contesto internazionale dove la produzione mondiale di veicoli è crollata, le grandi imprese -la Fiat più di altre- cercano di produrre in paesi a più basso costo con inevitabili riflessi sul nostro sistema di relazioni industriali. Iniziare il dibattito sul tema già due anni fa avrebbe aiutato a gestire meglio il problema.

Non si affitta agli immigrati

Un buon funzionamento del mercato degli affitti è fondamentale per favorire l’integrazione degli immigrati. Quello italiano ha molti problemi: l’offerta è scarsa e mal distribuita sul territorio nazionale, i costi di transazione sono elevati. Ma non solo: una parte dei proprietari non è disposta a concedere una casa in affitto agli stranieri. La discriminazione è più intensa nell’Italia settentrionale, colpisce soprattutto gli uomini e meno le donne e più gli arabi rispetto a chi proviene dall’Europa dell’Est. Neanche la crisi economica riesce a eliminarla.

Se il pensionamento è forzoso

Molto ci sarebbe da dire sullÂ’’annunciata riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, ma un aspetto che si segnala negativamente è la proposta, ben accetta da maggioranza e opposizione e sostenuta con grande favore da qualche autorevole editorialista, del pensionamento a 65 anni. A meno di non immaginare tentazioni populiste da parte dei suoi sostenitori, è difficile trovare una ratio. In un momento in cui si è capito che, come conseguenza dell’Â’allungamento delle vite umane, è necessario prolungare il tempo di lavoro, altrimenti i conti economici saltano, e anche il nostro governo si muove in tale (giusta) direzione, che senso può avere quello di andare controcorrente per una specifica categoria di lavoratori? A parte che la attuale struttura demografica del personale universitario indurrà a breve comunque una forte ondata di pensionamenti, perché l’Â’operazione di “svecchiamento” dovrebbe servire a far entrare in servizio giovani universitari e non giovani magistrati, giovani medici o giovani qualcos’Â’altro?

COMPORTAMENTI DA FREE RIDER

E’ noto che, considerando lÂ’’economia nel suo insieme, non esiste conferma dellÂ’’idea che lÂ’’anticipo dei pensionamenti favorisca lÂ’’occupazione (Fenge e Pestieau, Social security and early retirement, MIT Press, 2005). Il carico ulteriore sul sistema pensionistico può far aumentare le aliquote contributive e, dato il meccanismo a ripartizione, alzare il costo del lavoro e quindi indurre maggiore disoccupazione. Brugiavini e Weber, proprio su lavoce.info spiegano che lÂ’’abbassamento della pensione danneggerebbe gli stessi giovani, anziani di domani che si vedrebbero ridurre la pensione perché verserebbero meno contributi. Certo, se un solo settore riduce lÂ’’età della pensione mentre gli altri la aumentano, si comporta da free-rider perché trasferisce sul resto della popolazione i costi generati, e può nell’Â’immediato realizzare lÂ’’obiettivo di assumere nuovi lavoratori al posto degli espulsi. È altrettanto certo, però, che tale comportamento è socialmente inefficiente, e, come negli esempi che facciamo agli studenti, può scatenare una sequenza imitativa per cui anche gli altri settori puntano alla riduzione dellÂ’’età pensionabile, con conseguenze facilmente immaginabili: si sa che ciò che è razionale per un individuo o un gruppo (ammesso che possa esprimere una qualche volontà collettiva), non sempre lo è per la società nel suo complesso.

UNA QUESTIONE DI CIVILTÀ

Si è detto che il pensionamento anticipato libererebbe lÂ’’università da persone improduttive. Senza negare che queste persone esistano, non si capisce perché l’Â’età debba essere un criterio per individuarle. Ad Harvard quasi il 10 per cento dei professori “in servizio attivo” ha più di settantÂ’’anni; e di Harvard non si può certo dire che vi abbondino persone improduttive. La via maestra per limitare le difficoltà che abbiamo nell’Â’incentivare la produttività è quella di concepire un sistema di retribuzione e avanzamento di carriera che premi lÂ’’impegno nella ricerca e nella didattica (binomio inscindibile). Su questo, le proposte di riforma di governo e opposizione tacciono (o sono quantomeno carenti e confuse).
La teoria economica non fornisce dunque appiglio alcuno per giustificare anticipi del pensionamento. (Si consideri anche che i professori anziani svolgono le loro attività di ricerca e di insegnamento a costo quasi zero per lo Stato, essendo il loro stipendio di poco superiore alla loro pensione.) Ma questa non è solo una questione economica, non è solo una questione di teoria. EÂ’ una questione di civiltà, di organizzazione della vita associata, di rispetto e di valorizzazione delle persone, di promozione della cultura e del sapere. È del tutto insensato e, lasciatecelo dire, richiama un sinistro eugenismo, pensare che eliminare da unÂ’’aula di insegnamento o da un laboratorio scientifico chi continui a dimostrare entusiasmo e capacità possa essere una cosa positiva, e non un impoverimento netto per un paese. Quando la durata media della vita era settantÂ’’anni, i professori di università andavano in pensione a settantacinque; oggi che la durata media è ottantacinque anni, si vogliono mandare in pensione a sessantacinque. Oltre che palesemente assurda e incoerente, la proposta Gelmini-Meloni risulta anche incompatibile con una qualsiasi concezione di società veramente aperta, colta e liberale.

Nota degli autori: AB ha 48 anni (molto distante dall’Â’essere anziano), FR 61 anni (quasi anziano, ma non ancora).

La risposta ai commenti

Ringraziamo i lettori per le varie osservazioni, e siamo consapevoli delle tensioni intergenerazionali sottolineate in alcuni commenti. Ci preme sottolineare che il nostro sforzo andava nella direzione di una lettura più ampia dei provvedimenti presi a livello europeo per quanto riguarda il rapporto tra donne e pensioni.(1) In tal senso non si può prescindere (come già sottolineato da Chiara Saraceno su questa rivista) da una analisi attenta del ruolo delle donne nel mercato del lavoro.
Come recita il documento di presentazione della nuova strategia europea 2020,(2) è “opinione diffusa che l’UE debba concordare un numero limitato di obiettivi principali”, che “devono rispecchiare il tema di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Devono essere misurabili, riflettere la diversità delle situazioni degli Stati membri e basarsi su dati sufficientemente attendibili da consentire un confronto.” (p. 10)
Su queste basi, il primo traguardo fissato dalla nuova strategia riguarda il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni, “che dovrebbe passare dall’attuale 69% ad almeno il 75%, anche mediante una maggior partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani e una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva.” (p. 10)
Donne, anziani e migranti: sono dunque questi i soggetti indicati come principali destinatari delle politiche attive sul mercato del lavoro, in particolare guardando al tema della crescita inclusiva, ossia capace di “rafforzare la partecipazione delle persone mediante livelli di occupazione elevati, investire nelle competenze, combattere la povertà e modernizzare i mercati del lavoro, i metodi di formazione e i sistemi di protezione sociale per aiutare i cittadini a prepararsi ai cambiamenti e a gestirli e costruire una società coesa.” (p. 17)
Una lettura di genere della nuova strategia è utile a identificare la direzione cui dovrebbero tendere le politiche e a valutarne lÂ’’efficacia nel tempo.(3) Le statistiche europee hanno registrato nellÂ’’ultimo decennio un notevole aumento dellÂ’’occupazione femminile basato su un crescente bisogno di indipendenza economica e di auto-realizzazione sociale – testimoniati dallÂ’’attuale impegno delle ragazze nellÂ’’istruzione. I vantaggi di questa crescente partecipazione femminile per lÂ’’efficienza dell’Â’economia nel suo complesso sono stati più volte analizzati.(4) In particolare, il contributo femminile al reddito familiare diventa un elemento essenziale per il benessere relativo della famiglia e, in tempi di crisi, costituisce un indispensabile ammortizzatore, anche se solo parziale, contro la perdita di reddito causata dalla disoccupazione maschile. In questi casi appare ancora più evidente il costo non solo per le donne, ma per l’Â’intera società, del persistere di differenziali salariali di genere nonché del preponderante peso delle donne nelle forme di lavoro discontinuo e/o sommerso.
EÂ’ fondamentale tenere conto di questi aspetti nellÂ’’orientare le politiche sociali, incluse quelle previdenziali e del lavoro.
1) Per maggiori dettagli si rimanda a Corsi, M e DÂ’’Ippoliti, C. “Poor Old Grandmas? On Gender and Pension Reforms in Italy”, Brussels Economic Review – Cahiers Economiques De Bruxelles, di prossima uscita.
2) Commissione europea (2010), EUROPA 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010) 2020, Bruxelles.
3) Si veda lÂ’articolo di Smith e Villa su www.ingenere.it del 2.7.2010.
4) Si veda l’articolo di Bettio, Smith e Villa www.ingenere.it  del 4.12.2009.

Europa: quando mancano le regole

L’adozione della moneta unica avrebbe dovuto essere affiancata dall’introduzione dei necessari regolamenti e dall’azione di supervisione bancaria nella zona euro. Ma lo hanno impedito atteggiamenti nazionalistici o protezionistici. Una lezione che non sembra essere stata compresa neanche adesso, di fronte alla crisi finanziaria globale né a quella, più recente, della Grecia. Eppure, è evidente quello si deve fare: centralizzare la regolamentazione e la supervisione bancaria e decentralizzare il Patto di stabilità.

E Bruxelles mette il tappo al vino

L’Unione Europea è intenzionata a ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta di vino agendo sui diritti d’impianto e reimpianto e premiando l’estirpazione dei vigneti. Non stiamo però parlando di un’economia chiusa e oltretutto l’Europa non detiene più l’esclusiva nella produzione di vino. Il problema principale risiede nel calo strutturale dei consumi domestici e nella crescente concorrenza dei paesi del cosiddetto Nuovo Mondo. La spesa per incentivare l’estirpazione dei vigneti ammonta a oltre un miliardo di euro. Ma sarà del tutto inutile.

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