Finora abbiamo visto solo la parte destruens. Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha sapientemente riorganizzato la scuola primaria e secondaria in modo tale da permettere le riduzioni d’organico che le erano state richieste dal Ministero dell’Economia. I mancati rimpiazzi di insegnanti andati in pensione hanno aumentato l’età media del corpo docente, per altro già elevata per via dell’anomalo andamento delle immissioni in ruolo in periodi passati. Come accaduto lo scorso anno per la scuola primaria, la cosiddetta riforma della scuola secondaria recentemente varata dal governo, riducendo le sperimentazioni, riduce nel contempo il tempo trascorso a scuola da parte dei ragazzi. Analogamente, l’apertura della possibilità dell’apprendistato come assolvimento dell’obbligo scolastico varata dalla Commissione Lavoro della Camera permette di ridurre le risorse destinate al recupero della dispersione scolastica. Tutto ciò che razionalizza e usa in modo più efficiente le risorse date non può che essere benvenuto. Ma non basta. Manca la parte construens. Nel settembre 2008 il Ministro dell’Istruzione aveva promesso che un terzo dei risparmi di bilancio sarebbero stati restituiti al settore sotto forma di meccanismi premianti per i docenti più meritevoli. Era stato promesso un piano per l’edilizia scolastica che recuperasse le situazioni di maggior degrado. Di tutto questo fino ad oggi non c’è traccia nell’operato governativo. Per ottenere comportamenti virtuosi non basta ripetere il mantra del merito. Occorre disegnare meccanismi che orientino i comportamenti verso obiettivi socialmente desiderabili. Pensando all’attuale divario di apprendimento che caratterizza le scuole meridionali a tutti i livelli, nulla è stato messo in campo per spingere insegnanti e giovani meridionali a recuperare rispetto ai loro coetanei del nord Europa. Pensando agli elevati tassi di mancato conseguimento dei titoli secondari nelle regioni nord-orientali, ci domandiamo quali interventi siano stati intrapresi per rovesciare questo andamento. Pensando agli elevati tassi di turn-over dei docenti sulle cattedre, non notiamo alcuna inversione di tendenza. Pensando al reclutamento dei nuovi insegnanti, siamo ancora in attesa di un segnale ai nuovi aspiranti. Last but not least, la valutazione degli apprendimenti in modo universale è ancora di là da venire. Nonostante i miracoli fatti dall’Invalsi, solo il 6.8% degli studenti è stato valutato nell’ultimo test sulla scuola primaria. Ci domandiamo come si pensi di costruire un nuovo modo di fare scuola, quando si rinuncia a misurare, non si premiano i comportamenti virtuosi e si distribuiscono soltanto tagli a pioggia.
Categoria: Argomenti Pagina 789 di 1092
- Banche e finanza
- Concorrenza e mercati
- Conti Pubblici
- Disuguaglianze
- Energia e ambiente
- Famiglia
- Fisco
- Gender gap
- Giustizia
- Immigrazione
- Imprese
- Informazione
- Infrastrutture e trasporti
- Internazionale
- Investimenti e innovazione
- Lavoro
- Mezzogiorno
- Moneta e inflazione
- Pensioni
- PovertÃ
- SanitÃ
- Scuola, università e ricerca
- Società e cultura
- Stato e istituzioni
- Turismo
- Unione europea
NellÂ’estate del 2007, ad un convegno in Svizzera, presentavamo per la prima volta il nostro lavoro Inheritance Law and Investment in Family Firms, scritto insieme a Andrew Ellul e di prossima pubblicazione sullÂ’American Economic Review. Il lavoro mostra come leggi restrittive sullÂ’eredità , che obbligano il testatore a lasciare una elevata frazione dei suoi beni a ciascuno dei suoi eredi legittimi, abbiano in genere effetti negativi sullÂ’investimento delle imprese familiari intorno al momento della successione. La conclusione principale del nostro lavoro è che ridurre la quota di legittima ha effetti benefici sullÂ’investimento delle imprese familiari (ne avevamo parlato anche su lavoce). Il problema è molto rilevante in Italia dove la quota di legittima è molto elevata. E proprio per motivare la rilevanza del nostro lavoro, avevamo messo nella presentazione del lavoro un lucido che illustrava la complicata situazione della divisione patrimoniale della famiglia Berlusconi, in cui 5 figli nati da due diversi matrimoni si contendevano i beni del premier. Leggiamo su Repubblica dellÂ’11 febbraio che il governo Berlusconi sta studiando una proposta per ridurre la quota di legittima per attenuare i problemi legati alla sua successione. Dopo le norme ad personam, adesso quelle ad familiam. Come cittadini siamo un po’ perplessi dal vedere che il Parlamento vagli quasi esclusivamente norme legate ai problemi del premier. Come economisti, siamo molto soddisfatti. A chi dice che gli economisti non sanno prevedere le crisi e dare consigli utili per affrontarle sappiamo ora come rispondere. Quelle globali forse no, ma quelle familiari alla grande.
Speriamo davvero che le autorità di sorveglianza di tutto il mondo ricordino che il divieto delle vendite allo scoperto non ha prodotto gli effetti sperati, quando si troveranno a fronteggiare la prossima crisi. Tra lÂ’altro anche il divieto sulle vendite allo scoperto sui titoli di società oggetto di aumento di capitale, ultimo baluardo rimasto in vigore in Italia sino a pochi mesi fa, di fatto ha impedito il buon funzionamento del mercato, anche se introdotto con il buon proposito di limitare la speculazione. In assenza di vendite allo scoperto si sono bloccati gli arbitraggi e la conseguenza è stata che il prezzo delle azioni, durante lÂ’operazione di aumento di capitale, non si è allineato al valore teorico indicato dai diritti per sottoscrivere l’aumento. Un vero problema nel caso di operazioni sul capitale realizzate con il prezzo dei nuovi titoli fissato a livelli sensibilmente inferiori rispetto al loro corso nei giorni precedenti lÂ’aumento di capitale e con il numero di azioni di nuova emissione sensibilmente più elevato rispetto ai titoli in circolazione precedentemente. Risparmiatori e trader poco avvezzi a fare i calcoli nei primi giorni dellÂ’aumento hanno acquistato a piene mani le azioni, attratti dai valori apparentemente a sconto rispetto a quello dei giorni precedenti al lancio dell’operazione. Si è sempre trattato, però, solamente di un "effetto ottico". LÂ’intervento degli arbitraggisti (investitori che vendono le azioni allo scoperto e al tempo stesso acquistano diritti) avrebbe evitato tale distorsione: gli investitori professionisti avrebbero infatti acquistato diritti e venduto azioni (pur non avendole in portafoglio) fino al completo allineamento dei valori. Ma visto la tecnicità dellÂ’argomento, passiamo a un esempio concreto: Seat Pagine Gialle nella primavera del 2009 ha lanciato un aumento di capitale da 200 milioni (iniziato il 30 marzo e terminato il 17 aprile), con azioni di nuova emissione offerte a 0,106 euro, livello sensibilmente più basso rispetto ai 3-5 euro dei corsi dei titoli nei giorni precedenti lÂ’operazione (5,96 euro il giorno che ha preceduto lÂ’inizio dellÂ’aumento). Nelle prime sedute di aumento di capitale le azioni dell’azienda che edita le Pagine Gialle sono volate fino a toccare un massimo a 1,1 euro (il primo giorno, in particolare, hanno guadagnato oltre il 100% salendo a 0,61 euro). Ma una volta terminata l’operazione, le azioni sono scivolate a 0,17 euro, esattamente il valore che più o meno avevano sempre indicato i diritti. Insomma chi ha comprato nei primi giorni dell’operazione ha avuto solo l’illusione di guadagnare e, a meno che abbia venduto in giornata, ha accusato una sonora perdita. Si potrebbero fare altri esempi citando gli aumenti di capitale di Pirelli Real Estate e Tiscali. Tutte operazioni il cui minimo comun denominatore è stato il fatto che il prezzo delle azioni di nuova emissione è stato notevolmente inferiore a quello pre-aumento di capitale e il numero delle azioni emesse è stato consistente. Concludendo, appare chiaro che durante gli aumenti di capitale lÂ’intervento degli arbitraggisti favorisce lÂ’efficienza del mercato ed evita amare delusioni ai piccoli risparmiatori.
Se per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna valessero gli stessi criteri usati per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, sarebbero tutti indicati a rischio default. Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. Verosimilmente per l’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari e a linee di credito intergovernative, per le banche centrali nazionali all’interno dell’euro-sistema e l’assenza di recenti episodi di insolvenza. Ma fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?
Non si parla della crisi nelle facoltà di economia italiane. Rimane una sostanziale impermeabilità dei contenuti dei corsi di microeconomia e macroeconomia. Perché? Contano certo le resistenze di studenti e docenti e il perpetuarsi degli steccati corporativi all’interno della disciplina. Ma la verità è che una buona didattica non è in alcun modo incentivata dal nostro sistema universitario e non lo sarà nemmeno dopo la riforma Gelmini.
La vicenda Fiat rappresenta una cartina di tornasole della capacità del paese di mantenere sul territorio italiano il quartier generale, e una parte sostanziale della produzione, di una multinazionale nata e cresciuta in Italia. Se invece di lavorare a un progetto di ampio respiro si continuerà a invocare la responsabilità sociale e ad addossare alle imprese oneri che sono di competenza dello Stato, senza neppure fornire una controparte infrastrutturale e istituzionale adeguata, a quella di Termini seguiranno altre chiusure.
Valutare la ricerca è indispensabile. E per farlo la comunità accademica giudica la qualità delle pubblicazioni scientifiche attraverso due metodi: la recensione dei pari e gli indicatori bibliometrici basati sulle citazioni. I secondi hanno il vantaggio di essere più democratici ed economici dei primi, ma anche due gravi limiti. Non esistono infatti dati di buon livello per tutte le discipline e manca un metodo bibliometrico standard. Meglio allora affidarsi a una saggia cooperazione tra revisione dei pari e bibliometria.
Dopo il fallimento di Lehman Brothers molti paesi hanno reagito alla crisi vietando la vendita di titoli allo scoperto. L’evidenza empirica indica che nel migliore dei casi il divieto non ha influito significativamente sui prezzi, ma ha danneggiato la liquidità del mercato. Un danno particolarmente grave perché si è verificato quando la liquidità già scarseggiava e gli investitori la cercavano disperatamente a causa del congelamento di molti mercati nel settore del reddito fisso. Una lezione che le autorità di sorveglianza faranno bene a ricordare in futuro.
Si intitola “Tremonti: istruzioni per il disuso” il libro scritto da cinque economisti. Passa in rassegna in modo impietoso le affermazioni contenute negli scritti del nostro ministro dell’Economia. E dimostra che le sue tesi e le sue previsioni sono molto spesso lontane dalla realtà di dati, numeri e statistiche. Eppure si tratta proprio di quelle stesse affermazioni che hanno contribuito a rendere il ministro l’intellettuale più influente della attuale maggioranza. Perché allora in pochi finora hanno messo in luce le sue incongruenze?
I 500 euro proposti da Brunetta per combattere il fenomeno dei bamboccioni erano probabilmente solo una provocazione. Però non è sbagliata l’idea di offrire una dote ai neo-maggiorenni. Per pagare gli studi all’università o correggere le imperfezioni del mercato del credito per iniziare un’attività o comprare una casa. Altri paesi già prevedono misure simili. Per importarli anche in Italia occorre però trovare i finanziamenti necessari. Che si potrebbero ricavare agendo sulla tassa di successione sulle eredità più sostanziose.