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LA RICERCA DIMENTICATA

La manovra approvata dal Consiglio dei ministri contiene una serie di interventi per il sostegno alle imprese. Ma nulla cambia per gli investimenti in ricerca e innovazione. Le agevolazioni continuano a essere governate da un meccanismo complesso di prenotazione e autorizzazione che non dà alcuna garanzia alle aziende. Manca il ritorno all’automaticità del credito d’imposta chiesto da Confindustria. A parole, tutti continuano a dirsi convinti che ricerca e innovazione sono vitali per la crescita del paese. Ma agli annunci non seguono comportamenti coerenti.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Desidero ringraziare i lettori per l’interesse mostrato e i commenti all’articolo. Provo a chiarire alcune perplessità che sono emerse.

AGGREGAZIONE E DATI DISPONIBILI

Il dataset disponibile è uno dei pochi che consente di analizzare i mercati del lavoro italiani nel complesso, ma in esso purtroppo non sono disponibili informazioni molto dettagliate sul tipo di impiego pubblico (se Ministeri, Enti Locali, Università, ecc.). Tuttavia, un approfondimento che è possibile fare con i dati a disposizione è quello di distinguere i dipendenti pubblici in qualifiche come operai, impiegati, dirigenti e insegnanti. Operando questa distinzione è possibile analizzare, ad esempio, la probabilità di diventare insegnante pubblico se il proprio padre è (o è stato) insegnante pubblico. Ebbene, si può mostrare che la probabilità di diventare impiegato pubblico cresce di 8 punti percentuali se il padre è (o è stato) impiegato pubblico (partendo da una media nel campione del 12%). Per gli insegnanti la probabilità aumenta di 3 punti percentuali (partendo da una media nel campione del 5%).

CONFRONTO CON I LAVORATORI PRIVATI

In un’altra analisi ho stimato la probabilità di “fare lo stesso lavoro del padre”. Le stime non sono direttamente confrontabili con le altre fornite in precedenza ma consentono un confronto tra impieghi pubblici e alcuni lavori nel settore privato.
Gli impiegati pubblici e gli insegnanti pubblici hanno una probabilità rispettivamente del 24% e del 25% in più di fare lo stesso lavoro del padre, i liberi professionisti del 16%, gli imprenditori del 12%, gli autonomi dell’11%, gli impiegati del settore privato seguono il padre per il 12% in più, gli operai del settore privato “seguono” con circa il 19% in più (le percentuali sono definite rispetto alla categoria di riferimento: lavoro nel settore agricolo). Da notare che i lavoratori classificati come “operai” del settore pubblico “seguono” con meno probabilità il lavoro del padre. Per altre categorie non emergono differenze statisticamente significative (anche perché le osservazioni in ogni categoria non sono molte).
Le differenze tra impiegati e insegnanti pubblici nei confronti delle categorie del settore privato sono rilevanti e statisticamente significative (allÂ’1%).
Il nepotismo nel settore privato sembra quindi esistere, anche se di dimensioni più contenute. In linea di principio, nel settore privato esiste un meccanismo di contenimento di questo fenomeno: in mercati in cui esiste un certo grado di concorrenza, se si assumono in una impresa persone poco competenti le performance dell’organizzazione tendono a peggiorare e ne paga le conseguenze l’imprenditore.

DIFFERENZA TRA VARIAZIONE PERCENTUALE E VARIAZIONE IN PUNTI PERCENTUALI

E’ fuorviante dire che si ha un incremento dell’11% se si passa dal 24% al 35%. Una variazione percentuale è sempre il rapporto tra la variazione e il livello di partenza. Per distinguere questi due aspetti, gli economisti parlano di un incremento di 11 punti percentuali ma di variazione percentuale del 44%. Per chiarire può essere utile un esempio. Se il tasso di disoccupazione passa dal 10 al 15% è evidente che si tratta di un aumento considerevole e non è corretto dire che la disoccupazione è aumentata del 5%. L’aumento è del 50% (basta riflettere su quanti disoccupati in più ci sono).

RUOLO DEI DIRIGENTI, INCENTIVI E CONCORSI

Il concorso pubblico e le procedure formali non credo aiutino molto. Come suggerivo nell’articolo, potrebbe essere utile lasciare ai dirigenti ampia libertà di scelta ma legare la loro remunerazione (o le possibilità di promozione, o la progressione economica) alla performance dell’organizzazione. Per esempio, nelle scuole si potrebbe lasciare libertà ai presidi di assumere gli insegnanti, ma condizionare remunerazione/carriera del preside alla performance della scuola. Esiste un problema di misurabilità della performance, ma qualcosa può essere fatto (si veda ad esempio la proposta di Checchi, Ichino, Vittadini, 2008)

COSTI DEL NEPOTISMO

Il nepotismo non presenta un costo monetario diretto ma comporta un “costo opportunità”. Assumere persone poco competenti – per via di legami familiari – implica un costo dato dalla differenza tra la produttività della persona assunta e la produttività del candidato competente non assunto. In altre parole, se si recluta un cattivo insegnante il costo è rappresentato da una peggiore preparazione degli studenti rispetto a quella conseguibile da un professore più capace. Forse per lo Stato non ci sono maggiori uscite, ma l’inefficienza è ugualmente rilevante.

IDEE NUOVE IN BANCA

Uscite tutto sommato indenni dalla crisi grazie alla loro prudenza, le banche italiane sono ora sotto accusa proprio per un eccesso di prudenza. Ovviamente, devono garantire un equilibrato e diffuso accesso al credito che in questo momento è l’unica garanzia per la sopravvivenza di molte piccole imprese. Ma è importante che mantengano l’autonomia nelle scelte di allocazione e nelle valutazioni delle strategie, senza subire surrettizi condizionamenti. E’ il momento per tutti gli attori del sistema di trovare nuove idee. E il coraggio di realizzarle.

L’IMMIGRATO CHE VENNE DAL MARE

Lampedusa è considerata la porta d’ingresso dell’immigrazione illegale in Italia. Frenando gli sbarchi, si può far credere di contrastare in maniera incisiva gli ingressi irregolari. Ma gli arrivi dal mare rappresentano soltanto una modesta frazione di un fenomeno variegato e complesso. La stragrande maggioranza degli immigrati entra in un modo molto più semplice e meno rischioso: con un regolare visto turistico. Quando scade, il turista si trasforma in immigrato irregolare. Magari perché ha trovato un lavoro, nero, nelle famiglie o imprese italiane.

L’ULTIMO G8

Gli otto grandi del mondo si incontrano tra pochi giorni in Italia, a L’Aquila. Ma ha ancora senso una riunione dei G8, quando ne sono esclusi paesi come Brasile, Cina o India? Tanto più che le decisioni prese dal G8 non saranno certo accolte con entusiasmo da paesi che non hanno avuto nessuna voce in capitolo. Forse è giunto il momento di sciogliere il G8 e sostituirlo col G20. E cominciare a pensare seriamente alla creazione di meccanismi permanenti che possano proporre soluzioni concrete ai problemi del mondo.

QUOTIDIANI DI PARTITO: IL CONTO E’ SALATO

Per ogni copia venduta di un quotidiano politico, ce ne sono tra le sette e le nove che tornano indietro. I giornali politici non hanno infatti una focalizzazione territoriale né un pubblico omogeneo. Due caratteristiche che pesano sulla distribuzione e sulla raccolta pubblicitaria. A cui si aggiunge una costosa e forse inutile vocazione generalista. Sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici. Che però dovrebbero incentivarli a trovare nuove forme di diffusione, più adatte alle loro caratteristiche. Come gli abbonamenti o i siti internet.

LA POLITICA AI TEMPI DI YOUTUBE

Anche la politica comincia a essere influenzata dal Web 2.0. Lo si è visto con la campagna presidenziale negli Stati Uniti. E con il caso Serracchiani da noi. Tanto che Internet può essere ormai considerato come il misuratore più tempestivo delle fortune dei politici nei paesi più sviluppati. Quanto al rischio che i candidati propongano ciò che è adatto al mezzo e non ciò che è adatto ai cittadini, c’è già il precedente della televisione. YouTube abbassa il costo d’entrata nella produzione e distribuzione dei messaggi. Ma l’attenzione del pubblico resta una risorsa limitata.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Sono stati numerosi i commenti alla nota in merito alle provocatorie dichiarazioni del Ministro Tremonti sulle statistiche dell’Istat sulla disoccupazione. E in questi giorni vi sono state anche altre strampalate sortite di commentatori e uomini di governo sulla qualità e l’eccesso di tempestività (sic!) delle statistiche diffuse dall’Istat. Proprio perché strampalate le tralascio.
Rispondo invece ad alcuni dei commenti, cominciando da quelli che hanno sollevato dubbi o critiche.

Ma lÂ’Istat racconta frottole?

I dubbi di tre lettori riguardano la credibilità della rilevazione. “Sarebbero 1.500 famiglie intervistate al giorno. Ma voi ci credete?” “Ma i campioni vanno modificati di tanto in tanto, o no?” “Ditemi, quanti di voi conoscono almeno una famiglia che sia stata interrogata dell’Istat?”
Ogni rilevazione sulle forze di lavoro si svolge nell’arco di un trimestre. Per semplicità, faccio dunque riferimento a una rilevazione trimestrale. Il campione di famiglie è di circa 76-77.000. Quelle che vengono trovate e rispondono sono dell’ordine dell’88%. Siamo a 67-68.000 famiglie, delle quali sono intervistati i componenti che hanno almeno 15 anni: 165-170mila persone. Tenuto conto del disegno dell’indagine, delle famiglie che non hanno il (o non desiderano rispondere al) telefono e della cura particolare messa nel raggiungere gli stranieri, grosso la metà delle interviste sono faccia a faccia mentre l’altra metà avviene per telefono. In ogni caso le interviste sono computer assisted, svolte cioè con l’ausilio di un personal computer che gestisce il questionario elettronico, sono realizzate da una rete di 350 rilevatori – selezionati e adeguatamente formati, e l’intero processo è monitorato in maniera sistematica. Che c’è di sorprendente nel fatto che, contando cinque giorni la settimana (ma qualche intervista si fa anche di sabato), si effettuino circa 1.050 interviste il giorno? Corrispondono a un carico di 3-4 interviste giornaliere per intervistatore professionale: un carico del tutto normale.
È ovvio che le stime si basano su un campione, sia pure piuttosto grande. Ed è altrettanto evidente che la cura posta nell’indagine non esclude vi siano errori. Ma essi sono contenuti entro limiti ragionevoli, e in buona parte sono individuati e corretti controllando la coerenza delle risposte. In definitiva, i risultati sono credibili, affidabili: soprattutto per i grandi aggregati. Non a caso, l’Istat fornisce stime provinciali delle principali grandezze non ogni trimestre, ma soltanto in termini di media annua (cioè, combinando i risultati di quattro rilevazioni).
E si rassicuri un lettore: il campione di famiglie viene rinnovato, con un piano di rotazione tale per cui una famiglia è intervistata 4 volte nell’arco  di 16 mesi (cioè, di 6 rilevazioni), e poi esce definitivamente dal campione(1).
Quanto all’aver conosciuto o meno una famiglia che sia stata interrogata dell’Istat: via, non è così che si ragiona riferendosi a fenomeni che toccano una frazione dell’ordine di 1 su 360 degli oltre 24milioni e mezzo di famiglie! Comunque, se mai servisse una testimonianza per soddisfare la curiosità di quel lettore, ebbene io conosco due famiglie che hanno fatto parte del campione delle forze di lavoro.

Forse i disoccupati sono ancora di più

Di tutt’altro tenore è l’obiezione di un altro lettore, secondo il quale “il problema non è tanto nella sovrastima della disoccupazione, quanto nella sua probabile (anzi sicura) sottostima”. La questione non è centrale nel dibattito intorno alle dichiarazioni del Ministro Tremonti, ma l’affermazione è plausibile. Il perché è presto detto. Il mercato del lavoro italiano è segmentato, vischioso. Chi cerca lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno, affronta dei costi di ricerca spesso elevati rispetto alla possibilità di trovarlo. Per di più, coloro che cercano un primo lavoro – e in Italia sono un terzo dei disoccupati – così come i disoccupati (precedentemente occupati) di lunga durata non hanno diritto all’indennità di disoccupazione, sicché di fatto non è loro richiesto neppure di compiere periodicamente la segnalazione di disponibilità al lavoro presso un Centro per l’impiego. L’insieme di questi fattori – strutturali e attinenti alle caratteristiche del nostro welfare del lavoro (e al modo mediocre con cui è amministrato) – comporta che una frazione non trascurabile di persone alla ricerca di lavoro e disponibili a lavorare non compia azioni attive di ricerca a cadenza almeno mensile: manchi cioè di uno dei requisiti per essere ufficialmente contata come disoccupata. Recenti studi mostrano che la gran parte di tali persone sono simili ai disoccupati ufficiali, sia per le loro caratteristiche che per il loro comportamento nel mercato del lavoro(2).

L’intervento di Tremonti è la spia di un più generale degrado del paese

Infine, mi trovo amaramente d’accordo con un altro commento, che legge in questa vicenda il sintomo di un degrado più generale dell’intero paese, e della sua classe dirigente in particolare. Davvero, vi è “un disprezzo per la scienza, la conoscenza in generale, per cui si può dire tutto senza necessità di parlare di metodi e tecniche”, senza suffragare le proprie affermazioni con l’evidenza informata, anzi avanzando accuse tanto infondate quanto destabilizzanti, “mettendo tutto sul ridere [ed] elevando le chiacchiere da bar a verità”.
Provo un profondo disagio per la situazione di un paese che vede i sondaggi – non importa di che qualità – branditi come argomenti se fa comodo; le stime e le proiezioni serie, che dovrebbero servire come riferimento (certo, da vagliare e da aggiornare) per l’azione, irrise – e i loro autori invitati al silenzio; l’assenza di uno sforzo pubblico per informare correttamente ed educare a un uso consapevole dei dati. E vedo con preoccupazione il suo futuro.

(1) Informazioni essenziali su contenuti, disegno e modalità di svolgimento dell’indagine sono nella nota Rilevazione sulle forze di lavoro. Le caratteristiche dell’indagine sono presentate in modo più dettagliato nel volume La rilevazione sulle forze di lavoro: contenuti, metodologie, organizzazione.
(2) Vedi Brandolini A., P. Cipollone e E. Viviano, “Does the ILO definition capture all unemployment?”, Journal of the European Economic Association, 2006, vol. 4 (1), pp. 153-179, e Battistin E., E. Rettore e U. Trivellato, “Choosing among alternative classification criteria to measure the labour force state”, Journal of the Royal Statistical Society – Series A, 2007, vol. 170 (1), pp. 5-27.

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Giornali che offendono le donne

Le versioni on-line delle maggiori testate italiane mostrano ogni giorno immagini offensive delle donne. Evitarle è quasi impossibile perché spesso sono più centrali delle notizie del giorno. Eppure, le donne leggono più degli uomini e almeno quanto loro usano Internet. Sotto il profilo economico, conviene allora insistere con foto destinate a solo una parte della massa dei consumatori? Anche i quotidiani che giustamente criticano il governo per ragioni di carattere etico, non sembrano voler opporre valori diversi da quelli che sono alla radice del malcostume denunciato.

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