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IL FABBISOGNO DIMEZZATO: A VOLTE RITORNA

Anche questa legislatura, come quella precedente, si apre all’insegna di stime del fabbisogno eccessivamente pessimistiche. Per fine anno il Dpef lo indica a 46,1 miliardi contro i 23,5 miliardi di euro registrati a giugno, quando, come documentiamo, il fabbisogno cresce nei primi sei mesi dell’anno, per poi assestarsi su quei livelli a fine anno. Ma si tratta di errori di stima o di un pessimismo ricercato per escludere a priori misure anticicliche, che servirebbero ad allontanare lo spettro di una recessione? In ogni caso fondamentale rafforzare il servizio bilancio di Camera e Senato. Il Parlamento non può approvare queste stime a scatola chiusa.

UN COLPO ALL’INDIPENDENZA DELLE AUTORITÀ

L’economia vacilla sotto l’effetto di uno shock petrolifero di dimensioni impensate e i mercati più che mai avrebbero bisogno di punti di riferimento. Ma il governo non esita a cambiare in corsa l’intera Autorità di regolazione dell’energia, per scopi futili, introducendo ulteriori elementi di incertezza in operatori e consumatori. La legge è molto attenta a garantire l’indipendenza delle Authority, non solo dagli operatori economici dei settori regolati, ma anche dalla politica. E la certezza della durata in carica dei componenti ne è il prerequisito.

UNA CASA POPOLARE, MA NON PER TUTTI

Le misure previste dal governo rafforzano e indeboliscono al tempo stesso l’edilizia pubblica. La scelta di vendere le case popolari agli assegnatari è solo apparentemente una soluzione per le difficoltà, anche finanziarie, degli Iacp. In realtà, la liquidazione del patrimonio e la convivenza forzata di proprietari e di inquilini che appartengono invece a fasce sociali problematiche finiranno per creare le premesse per l’ingovernabilità del sistema. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, dove più acuti sono i problemi e maggiori i bisogni.

MEDITERRANEO SENZA UNIONE

Il Progetto d’Unione per il Mediterraneo è nato come iniziativa francese e rispondeva a finalità della Francia, all’indomani dell’elezione di Sarkozy. Ora è diventato europeo. Nonostante il carattere pragmatico di una cooperazione su progetti e l’aver sottolineato la loro natura e non il loro finanziamento, l’Ump ha ben poche possibilità di successo. Perché manca una risposta reale allo squilibrio tra le due rive del Mediterraneo. Che può arrivare solo da strategie di sviluppo dei paesi del Sud e non dall’Europa.

NON SERVE GRIDARE ALL’UNTORE

Le economie occidentali sono state colpite da due shock gravi, ma abbastanza tradizionali: un aumento del prezzo delle materie prime e una crisi bancaria. Si prefigura un periodo di forte rallentamento dell’economia americana. Negli Stati Uniti potrebbero prevalere le obiezioni politiche alle ricapitalizzazioni pubbliche delle banche private e dei loro azionisti. Ma in una recessione severa il protezionismo attecchisce facilmente. E se i politici europei pensano che per proteggersi basti gridare all’untore vanno incontro a una forte delusione.

UN ANNO ALLA CONSOB

Bilancio dell’attività della Consob nella tradizionale relazione al mercato. E’ stato un anno ricco di interventi destinati a cambiare radicalmente le regole del mercato finanziario. A partire dall’attuazione della Mifid, con un indubbio aumento del grado di tutela degli investitori. Importante nel merito e nel metodo il documento sulle operazioni con parti correlate, soprattutto per la valorizzazione degli amministratori indipendenti. Meno si è fatto sulla formazione di una diffusa cultura finanziaria e sull’annoso problema dell’informazione economica.

GIOVANNI CASTELLUCCI RISPONDE ALL’INTERVENTO DI BERGANTINO, PONTI E RAGAZZI

L’articolo pubblicato solleva riserve sull’approvazione per legge, con la conversione del D.L. 59/2008 "Salva-infrazioni", della Convenzione Unica di Autostrade per l’Italia (ASPI) firmata con ANAS in applicazione della legge 286/06.
Ritengo opportuno intervenire direttamente sull’argomento, in considerazione degli obblighi di trasparenza che avverto nei confronti di tutti gli "stakeholders", precisando quanto segue.
La genesi dell’approvazione per legge della Convenzione Unica di ASPI
Il lungo contenzioso con il Governo italiano sulla legittimità della legge 286/06 ha portato la Commissione Europea (C.E.) a chiedere, per l’archiviazione della relativa procedura di infrazione, l’abolizione della legge e la conferma della vigenza dei contratti precedentemente in essere oppure l’entrata in vigore (senza possibilità di modifiche unilaterali fino alla loro scadenza) dei nuovi contratti di concessione liberamente sottoscritti tra ANAS e i Concessionari.
Il Governo uscente ha mantenuto la legge 286/06 ed ha cercato di dare efficacia alle nuove Convenzioni ritenendole migliori delle precedenti. Il nuovo Governo ha semplicemente confermato, per legge, la volontà del precedente Governo e gli impegni assunti da questo di fronte alla C.E., per non rischiare che un articolato iter approvativo amministrativo di durata incerta potesse mettere a serio rischio di infrazione lo Stato italiano.
L’approvazione per legge delle Convenzioni Uniche può sollevare perplessità, ma nessuno sollevò obiezioni quando con la legge 286/06 si cancellarono le convenzioni precedenti, due delle quali (ASPI e Strada dei Parchi) oggetto di privatizzazioni.
Forse il motivo di questa "asimmetria" è racchiuso nel terzo capoverso della introduzione dell’articolo, dove si imputa al D.L. 59/2008 di aver "cancellato in un colpo solo anni di dibattito e di faticosi tentativi di dotare il Paese di una moderna regolamentazione delle tariffe autostradali".
Per chi ha investito al momento della privatizzazione il contratto non poteva che essere il prodotto ultimo del pensiero regolatorio al momento. Tutti i "faticosi tentativi" di modificare il quadro regolatorio possono incidere sul futuro, non sui contratti già stipulati. Ciò fu sancito in occasione della revisione della Direttiva CIPE n. 1/07, ora n. 39/2007, che chiariva che le nuove regole tariffarie non si sarebbero applicate alle Concessioni in essere (salvo eccezioni ben definite). Restava però "per legge" la necessità di stipulare una nuova Convenzione Unica sulla base di un quadro complessivo che, nel frattempo, come da parere NARS presentava "particolari profili di complessità, in considerazione sia della molteplicità e stratificazione delle normative di riferimento nel settore autostradale, sia della concomitante applicazione di differenti parametri di regolazione rinvenibili nelle norme".
La Convenzione Unica di ASPI è stato il tentativo di dare una soluzione negoziata alla sopracitata stratificazione generatasi successivamente alla privatizzazione.
Il contratto oggetto di privatizzazione
Non corrisponde alla realtà dei fatti che il vecchio contratto di Concessione del 1997 oggetto di privatizzazione fosse un price cap addomesticato ad un meccanismo di Rate of Return.
Il contratto stabiliva che il tasso di miglioramento del costo operativo per km delle concessionarie del settore (circa 0.5%-1.0% all’anno) si sarebbe trasferito nel quinquennio successivo come obiettivo recupero produttività e che solo per causa accertata di forza maggiore (e non quindi per scostamenti su traffico e ritardi negli investimenti) sarebbe stato possibile il riequilibrio del Piano Finanziario. In tal caso però si sarebbe rideterminato il livello delle tariffe a quello necessario a garantire una remunerazione del capitale investito pari al rendimento consuntivato nell’ultimo quinquennio, perpetuando nel futuro tale sovra-rendimento. Ne consegue che lo Stato vendette con procedura competitiva una "rendita monopolistica", che poteva eccedere la congrua remunerazione del capitale investito di libro.
Sarebbe stato altrimenti impensabile un prezzo di collocamento sul mercato di Autostrade nel 1999 ad un valore (8 miliardi di euro) di 4.5 volte superiore al valore di libro, quando le società sottoposte al vincolo del congruo ritorno del capitale investito vengono valutate al massimo con un premio del 30%.
Il caso della Pennsylvania Turnpike (PT)
Nell’articolo a dimostrazione, per via induttiva, di una supposta modifica radicale della natura del contratto di ASPI, si prende a riferimento la PT, che con regole tariffarie analoghe a quelle di ASPI è stata privatizzata per 13 miliardi di dollari, circa 35 volte l’EBITDA 2007.
Si ipotizza che qualora Autostrade fosse stata privatizzata nel 1999 con le regole attuali avrebbe generato un ricavo per lo Stato molto superiore rispetto a quanto pagato allora (circa 15 volte l’EBITDA inclusi gli impegni di investimento).
Ma la PT opera in condizioni molto diverse, con una durata doppia della concessione e beneficiando di maggiori tariffe, minori impegni di investimento, tax rate più favorevole.
Un’altra verità
Se fosse vera la tesi riportata nell’articolo, bisognerebbe chiedersi allora:
– Perché, se il vecchio Contratto consentiva già la possibilità di riallineare le tariffe al Rate of Return sul capitale netto di libro, sarebbe stato necessario intervenire con la legge 286/06 per "forzare" nei contratti tale modifica alla regola tariffaria?
– Perché ASPI avrebbe dovuto difendere in tutte le sedi l’intangibilità del precedente contratto battendosi contro tale legge?
– E perché il precedente Governo, constatata l’impossibilità di modificare forzosamente le regole tariffarie inserite nei contratti, non ha deciso di abrogare la legge n. 286/06 ripristinando la vecchia Convenzione?
La spiegazione più semplice è un’altra.
Ovvero che le novità introdotte nella Convenzione Unica garantiscono l’equilibrio delle esigenze della collettività (penali e sanzioni in caso di ritardi sugli investimenti, tariffe più basse del 6% nei primi 6 anni, nuovi investimenti in nuove opere per circa 7 miliardi di euro, trasferimento integrale di tutti i rischi al concessionario, inclusi extracosti della Variante di Valico) e quelle dell’investitore privato (chiara regola tariffaria fino alla fine della concessione), in linea con i migliori standard europei.
L’andamento di Borsa, stabile da tre anni, ne è una ulteriore conferma.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

I commenti dei lettori appuntano la loro attenzione sui tre principali ordini di questioni che la crisi dell’Alitalia solleva: i dati che questa crisi caratterizzano, le circostanze che ad essa hanno portato, e gli sbocchi verso i quali essa può (convenientemente o di necessità) dirigersi.
I primi due ordini di questioni sono tali da poter trovare, almeno sul piano dei lineamenti generali, risposte pronte e agevolmente argomentabili. In breve e sommariamente: la crisi dell’Alitalia è drammatica, e lo dicono gli andamenti delle grandezze economiche e finanziarie rilevanti; a determinare questa crisi è stata una situazione di political economy che ha prodotto, persistentemente, influenze, decisioni e comportamenti distorti ad opera dei vari interessi e organismi coinvolti – governo e parlamento, enti locali, amministrazione pubblica, management aziendale, sindacati dei lavoratori.
Il terzo ordine di questioni tocca invece una materia (molto più) controversa: del tutto naturalmente, dato che sono presenti sfaccettature numerose, e, soprattutto, sono richieste valutazioni tali da chiamare in causa, spesso, trade-offs sfumati e criteri soggettivi. Nell’opinione degli scriventi: è possibile (probabile) che la crisi dell’Alitalia finisca per sboccare nella liquidazione, ma a questo punto non sembra esservi ragione per forzare – nel percorso e nei tempi – quello sbocco. È in corso un tentativo di privatizzazione che, se è poco promettente, è anche di molto prossima risoluzione; data la rapidità del processo di erosione delle disponibilità liquide, è anche molto prossima l’insolvenza dell’azienda (che è la premessa all’avviamento di una procedura concorsuale); e, infine, l’onere sostenuto dallo stato (dai contribuenti) per il mantenimento in attività dell’Alitalia può essere considerato, agli effetti pratici, non più ricuperabile. Dunque, da questi punti di vista, l’attesa non sarà lunga, e potrà produrre soltanto danni limitati; nel frattempo, però, potrebbero essere presi con vantaggio i provvedimenti utili a facilitare le evoluzioni successive: non solo, o non tanto, quelli, dei quali si discute adesso, di modificazione dei termini delle leggi Prodi bis e Marzano, quanto quelli di riorganizzazione dell’azienda, via efficientamenti, chiusure e cessioni di rami di attività, nella prospettiva dell’amministrazione straordinaria (più probabile e del resto più coerente con quanto già fatto), o, eventualmente, della liquidazione.

PIU’ ALTI I TASSI, PIU’ FORTI LE CRITICHE

La Bce rialza i tassi nonostante le pressioni dei politici europei. Perché cedere a quelle richieste equivarrebbe a una perdita netta di credibilità. Ma anche dai tecnici sono arrivate critiche. Eppure il modo migliore di condurre la politica monetaria è muovere i tassi oggi affinché le previsioni di inflazione da qui a 18-24 mesi appaiano in linea con determinati obiettivi. A condizione, però, che la banca centrale spieghi con chiarezza come e perché le sue decisioni di oggi influiscono sulla elaborazione delle previsioni stesse. Proprio quello che la Bce non fa.

DOVE PORTA L’ATTIVISMO DEGLI HEDGE FUND

Arrivato da poco in Italia, l’attivismo degli hedge fund è ben conosciuto nel mondo anglosassone. Dati statunitensi rivelano che generano incrementi di valore medi delle azioni del 6 per cento circa. Nella maggior parte dei casi, sensibilizzando il management e gli altri grandi azionisti sull’opportunità di modifiche nell’azienda. Acquisizioni e dismissioni, riserve di cassa, miglioramenti nella governance, cambiamenti nel business plan sono gli aspetti su cui generalmente si focalizzano. Per lo più in piena collaborazione con la gestione e gli altri azionisti.

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