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Imparare a ragionare. A Nord come a Sud

Il divario di competenze fra Nord e Sud si può riassumere più o meno in questi termini: problemi che al Nord sanno risolvere la metà dei ragazzi, al Sud vengono risolti da uno su cinque. (1) Secondo Bratti-Checchi-Filippin (2007), il 70 per cento del divario è dovuto al contesto (famiglia, legalità, servizi pubblici, infrastrutture) e il 30 per cento a problemi interni al governo della scuola. (2) Dunque, il divario è profondo, e solo in parte dovuto a carenze interne del sistema scolastico. D’altra parte, l’impegno politico sul problema è serio: nei programmi 2007-2013 di politica regionale per lo sviluppo ci sono 4,2 miliardi di euro destinati ad interventi sull’istruzione, a fronte di 1 miliardo nel 2000-2006 (www.dps.tesoro.it/qsn/qsn.asp).

Dal sapere al saper fare

Il governo sembra aver fatto proprio l’obiettivo del passaggio "dal sapere al saper fare" che è oggi il punto di riferimento degli standard internazionali di misurazione della qualità dei sistemi scolastici: è necessario sapere la regola di risoluzione di un’equazione algebrica, ma è importante capire quando un problema non algebrico si risolve con quell’equazione. Perché a questo "imparare a ragionare" si riferisce, da un lato, il ministero della Pubblica istruzione quando pone l’accento sull’importanza della matematica e dell’italiano; e dall’altro, il ministero dello Sviluppo economico, quando inserisce nel Programma sull’istruzione 2007-2013 obiettivi "vincolanti" definiti in termini di variabili misurabili, in particolare la frazione di studenti che acquisisce competenze superiori al primo livello Pisa.
Sull’aspetto fondamentale della realizzazione dei programmi del governo, il Quaderno bianco sulla scuola propone alcuni passi da attuare già nella attuale fase di avvio. In particolare:
(1) Costruire quanto prima una base ampia di informazioni sulle competenze degli studenti, sfruttando possibilmente i risultati di Pisa 2006 che arrivano a dicembre, oltre che sul contesto, al fine di orientare gli interventi in funzione delle necessità reali del territorio.
(2) Stabilire nei singoli istituti scolastici un collegamento diretto con l’Invalsi, che fornisca supporto nell’analisi della situazione e nella ricerca delle direzioni di miglioramento. A tal proposito, di grande utilità sarebbe a nostro avviso una "banca test" gestita dall’Invalsi contenente esercizi, problemi e test disciplinari che le scuole possano utilizzare quotidianamente.
(3) Sperimentare forme di incentivi agli istituti e ai docenti basati sui risultati ottenuti in termini di competenze, utilizzando i fondi addizionali 2007-2013.
Aggiungeremo qui un paio di considerazioni che assumono particolare rilevanza nella realtà del Mezzogiorno in cui bisogna produrre una discontinuità. Ma va premesso che il ministero ha senza dubbio individuato le criticità principali del sistema: infrastrutture, autonomia scolastica, contenuti dell’apprendimento, valutazione dei risultati, centralizzazione (almeno parziale) degli esami, tempo pieno, infanzia.

Autonomia, misurabilità, incentivi

È largamente confermata da ricerche empiriche, citate anche nel Quaderno, l’idea che la qualità della scuola dipende in larga misura dal lavoro degliinsegnanti, ai quali va garantita autonomia di gestione in un contesto di misurabilità dei risultati ottenuti (nel caso italiano, con funzioni manageriali dei dirigenti scolastici e di supporto dell’Invalsi). Il discorso è chiaro: la decentralizzazione delle scelte operative permette di sfruttare meglio l’informazione in possesso degli agenti locali, ma perché il sistema nel suo complesso si attesti su livelli accettabili occorre poter misurare i risultati raggiunti nei diversi centri di decisione. Altrettanto chiaro è però che la misurabilità dei risultati induce comportamenti volti a massimizzarli soltanto se questi vengono adeguatamente premiati. Nel Quaderno, la necessità della presenza di forti incentivi agli insegnanti non sembra essere sottolineata, forse per motivi "politici", con sufficiente fermezza. (3)

Infanzia e tempo pieno

Su entrambi i fronti il governo sta già intervenendo, il problema riguarda l’ordine dipriorità.
A nostro avviso, queste non sono due fra le mille cose che devono essere fatte: sono le più importanti. Perché se il divario di competenze è dovuto per il 70 per cento al contesto, una buona parte delle risorse dovrebbe servire a far vivere i bambini e i ragazzi svantaggiati in ambienti migliori di quelli familiari e sociali di provenienza. Si noti che per quanto riguarda l’infanzia, importanti ricerche indicano che una parte significativa del differenziale di capacità cognitiva fra figli di genitori con diverso grado di istruzione si determina prima dei cinque anni. (4)
Il tempo pieno, poi, è essenziale e uno sguardo alla figura 1.19 del Quaderno dà un’idea dei termini del problema nelle scuole primarie. Tuttavia, resta da chiarire cosa si va a fare a scuola di pomeriggio. L’obiettivo di "favorire l’ampliamento dell’offerta formativa e un pieno utilizzo degli ambienti e delle attrezzature scolastiche" (5) è ambiguo, laddove è fondamentale sfruttare il servizio addizionale precisamente per quel passaggio dal sapere al saper fare che permea tutto il programma. In altre parole, di pomeriggio si dovrebbero fare esercizi. Con il tutoraggio di insegnanti bravi che in tal modo potrebbero essere adeguatamente ricompensati.

Governo e opposizione

I processi di cui stiamo discutendo hanno orizzonti temporali lunghi, non si può pensare che il paese possa fare passi avanti se ogni governo disfa quello che il precedente ha realizzato. Quello attuale, in materia di istruzione, non sembra avere un atteggiamento disfattista verso chi l’ha preceduto, ma ha la responsabilità di non aver ancora aperto un confronto approfondito sulla questione. Per esempio, al centro del quadro tracciato nel Quaderno bianco si trova un Invalsi trasformato in un alto centro di competenza e ricerca, punto di riferimento di tutto il sistema: un soggetto di questo tipo o è di tutti o dura poco. E se dura poco è un guaio grosso.

(1) Vedi i dati dell’indagine Pisa, Programme for International Student Assessment, che nel 2003 si è incentrata sulle competenze in matematica.
(2) Bratti, M., Checchi, D., Filippin, A. (2007) "Territorial Differences in Italian Students’ Mathematical Competencies: Evidence from Pisa 2003", IZA Discussion Paper No. 2603 (February). Per il divario Nord-Centro, le quote sono rispettivamente 25 e 75 per cento.
(3) Per inciso, se alcuni insegnanti vanno pagati più di altri, dove si prendono i soldi quando finiscono i fondi addizionali? Una risposta possibile è: dalle paghe dei docenti universitari. Considerando lo sviluppo del nostro sistema universitario, che sarà sempre più marcatamente suddiviso in due livelli – uno inferiore delle lauree brevi, uno superiore che produce conoscenza –, viene subito da chiedersi perché un bravo insegnante di scuola debba guadagnare la metà di un docente universitario che ha prodotto ricerca mediocre e che da un certo punto in poi fa solo didattica elementare.
(4) Vedi Heckman, J.J., "The New Economics of Child Quality", 2007. E "Millennium Cohort Study", Center of Longitudinal Studies, www.cls.ioe.ac.uk
(5) Comunicato stampa del ministero dell’Istruzione del 31 agosto 2007.

Il Quaderno promuove la valutazione. Con qualche riserva

Il Quaderno bianco sulla scuola attribuisce una notevole rilevanza alla valutazione, sia nella prima parte di analisi, sia nella seconda, dedicata alle proposte di intervento e alle condizioni per la loro realizzazione. Si tiene conto di diverse prospettive teoriche e delle evidenze empiriche disponibili, delle esperienze realizzate a livello internazionale e nazionale, delle principali posizioni emerse nel dibattito su queste prospettive e su queste esperienze. Dalla lettura del testo e dal confronto tra le due parti emergono alcuni nodi critici, che richiedono ulteriori approfondimenti e specificazioni.

Ricerca valutativa ed educativa e attività di valutazione

Il Quaderno sottolinea l’esigenza e l’importanza di una distinzione tra ricerca valutativa e attività di valutazione, sostenendo l’opportunità di rilanciare la prima "in luoghi autonomi da quelli della sua finalizzazione esecutiva" (p. X). Si tratta di un punto qualificante della analisi e della proposta, perché riguarda una delle cause più importanti della scarsa diffusione di una cultura valutativa nel nostro paese, da cui deriva anche una certa dipendenza dalle indagini internazionali, soprattutto per quanto riguarda i modelli di riferimento e le metodologie adottate.
Nella parte dedicata agli interventi da realizzare nel breve e nel medio-lungo periodo, però, questa raccomandazione viene soltanto in parte sviluppata e rimane sullo sfondo. Vengono individuati in modo articolato gli ambiti in cui sviluppare la ricerca, ma poche sono le indicazioni relative ai "luoghi" all’interno dei quali collocarla. Ne vengono esplicitamente menzionati alcuni (Cnr, università e altri enti pubblici e privati), ma non vengono formulate proposte concrete. Probabilmente questo è in parte dovuto alle caratteristiche del Quaderno, ma la mancanza di indicazioni e la non individuazione delle possibili risorse su cui far leva e dei passaggi da compiere, rischia di privilegiare di fatto,, –le attività di "servizio" a scapito della ricerca.
Va detto che non è comunque facile formulare proposte in questo senso in un paese come il nostro, in cui la ricerca in campo educativo (accademica e non) è in forte ritardo rispetto a quanto avviene altrove, anche per responsabilità del mondo dell’educazione, ancora largamente ancorato a una concezione della riflessione educativa di tipo filosofico, parzialmente di tipo storico, ma sostanzialmente poco attenta alla ricerca empirica e sperimentale.

Il ruolo dell’Invalsi

La scelta che il Quaderno sembra suggerire per la realizzazione delle attività valutative è quella della loro concentrazione in un unico istituto, l’Invalsi, per il quale vengono indicati nuovi compiti, un nuovo status giuridico, una nuova articolazione organizzativa. All’istituto vengono assegnate molteplici responsabilità: la valutazione degli apprendimenti degli studenti, la valutazione delle scuole, la valutazione dei dirigenti scolastici, la realizzazione delle indagini internazionali di tipo valutativo. Oltre a una funzione di sostegno al ministero e alle scuole per le attività di miglioramento.
I problemi che sembrano delinearsi sono più di uno. Il primo riguarda l’opportunità di affidare a un unico soggetto questa molteplicità di funzioni. Altri paesi in cui la ricerca e le attività valutative hanno una tradizione molto più consolidata hanno operato scelte in direzione contraria.
Un secondo problema riguarda la opportunità/possibilità di individuare sempre nell’Invalsi la "casa" (per usare la terminologia del Quaderno) delle attività di sostegno e supporto alle scuole, a seguito degli esiti delle attività valutative. Il Quaderno stesso sostiene la necessità di garantire una forte separazione tra le due linee di attività. (1) È un punto che richiede una attenta riflessione e una approfondita discussione. Anche perché coinvolge le scelte da compiere nei confronti di ciò che ancora rimane del servizio ispettivo, rispetto al quale a più riprese nel Quaderno si ricorda la raccomandazione di potenziamento formulata in sede Ocse.
Un terzo problema è in che misura i compiti di ricerca e attività valutative tornano a essere compresenti all’interno dello stesso "luogo": al futuro Invalsi si riconosce esplicitamente anche una funzione di ricerca valutativa negli ambiti "statistici, econometrici, docimologici, e di valutazione delle pratiche pedagogiche" (p. 150). Evidentemente la questione richiede ulteriori approfondimenti e la necessità di sciogliere nodi ancora abbastanza aggrovigliati.

La costruzione dei "team di supporto" alle scuole

Nel Quaderno si fa costante riferimento all’intreccio tra valutazione e miglioramento delle scuole, tra valutazione e autovalutazione, in una prospettiva di integrazione e di reciproca complementarietà. Viene anche ipotizzata una struttura di supporto alle scuole e vengono indicati tempi e modalità per la costruzione dei "team" che dovrebbero svolgere questa attività. Al problema della loro collocazione istituzionale si è già fatto cenno. Quanto al processo di costruzione e alla loro composizione, sono forse da mettere in conto, al di là della qualità e della quantità delle risorse che vi si vorranno investire, tempi meno brevi per realizzare quanto il Quaderno propone. Le competenze e le figure richieste per un’attività di questo tipo sono molto articolate e complesse, così come lo sono quelle necessarie per la loro formazione. Non è chiaro dove queste competenze possano essere effettivamente costruite e sviluppate nei tempi relativamente brevi che vengono prospettati.

Lo status e la direzione dell’Istituto nazionale di valutazione

Nel Quaderno viene sottolineata la necessità di una maggiore autonomia dell’Invalsi, per il quale si propone la trasformazione in "Autorità, che riferisce del suo operato direttamente al Parlamento" (p. 150). Si indicano anche alcuni "requisiti" che dovrebbero contraddistinguere i componenti del comitato direttivo, per i quali si prospetta un impegno a tempo pieno: "qualificazione scientifica assai elevata, evidente prestigio internazionale, forte personalità e capacità di indirizzo, conoscenza riconosciuta dei sistemi di istruzione e valutazione in Italia e all’estero" (p. 151). Si tratta di indicazioni di cruciale importanza visti i compiti che attendono questo organismo, soprattutto in una prima fase di costruzione.
Allo stesso tempo, però, il loro numero e la distribuzione di compiti e responsabilità prospettati sembrano riflettere l’attuale situazione di commissariamento dell’istituto e non risulta chiaro come possano conciliarsi con l’organizzazione interna che in prospettiva lo dovrà caratterizzare.

(1) Nella forma di due diverse direzioni «separate da una appropriata "muraglia cinese"», p. 145.

Classifiche dettate dal contesto

Il Quaderno bianco sulla Scuola, pubblicato a cura del ministero della Pubblica istruzione e del ministero dell’Economia e delle Finanze, avanza una serie di proposte per il miglioramento della qualità della scuola italiana, definita come “il settore che farà la differenza fra ripresa o stagnazione della mobilità sociale e della produttività” nel nostro paese.

Alla scuola di qualità non bastano le risorse

Le variabili solitamente utilizzate nella letteratura economica per approssimare le risorse investite nella scuola sono la spesa per studente, il rapporto studenti/insegnanti e la numerosità delle classi. Il loro ruolo nell’influenzare il rendimento degli studenti è oggetto di aspre controversie fin dal 1966, quando negli Usa è stato elaborato il rapporto Coleman per spiegare i peggiori rendimenti scolastici che caratterizzavano alcune minoranze. Da allora, si sono susseguiti centinaia di contributi che, basandosi su metodologie non sperimentali, sono arrivati a conclusioni molto diverse tra loro. Per questo motivo, alcuni autori hanno scritto rassegne che avevano l’obiettivo di sintetizzare l’imponente mole di lavori disponibili. Tuttavia, anche le rassegne hanno raggiunto conclusioni opposte, in base al modo utilizzato per sintetizzare i contributi esistenti. Tutto ciò la dice lunga su quanto controverso sia il ruolo delle risorse.

Risorse e risultati

Ci sono anche ragioni teoriche che possono spiegare il fatto che non si trovi una relazione robusta tra risorse e risultati. Prendiamo la numerosità delle classi, ad esempio: una relazione negativa tra dimensioni delle classi e performance degli studenti potrebbe essere mascherata dal fatto che l’allocazione degli studenti in classi grandi o piccole non è casuale. Se gli studenti "peggiori" risultano concentrati con maggiore probabilità in classi di dimensioni ridotte, quelle più numerose possono anche risultare migliori. Recentemente, alcuni studi hanno fornito evidenza sperimentale sull’argomento e sembra esistere un effetto positivo, sebbene debole. Nel Tennessee l’esperimento Star ha assegnato in modo casuale una coorte di studenti, e i relativi insegnanti, a classi di diverse dimensioni: i risultati in test standardizzati sono migliorati di circa il 4 per cento durante il primo anno in cui gli studenti sono inseriti in classi più piccole, e dell’1 per cento in ciascun anno successivo. (1)
Pur in presenza di voci a volte molto discordanti, il dibattito in letteratura avviene in un ambito delimitato da alcuni punti fermi:
1) Un meccanismo automatico che leghi maggiori risorse investite nella scuola a migliori rendimenti degli studenti è tutt’altro che ovvio.
2) Anche gli autori che si mostrano più scettici sul ruolo delle risorse scolastiche non si spingono ad affermare che investire nella scuola sia inutile.

Il caso Italia

Il primo punto trova in Italia una immediata conferma. Come ben documentato nel Quaderno bianco sulla scuola (parte I, par. 4.2), l’Italia spende per l’istruzione più della media dei paesi Ocse. Particolarmente elevata risulta la spesa per il personale, in virtù dell’alto rapporto insegnanti/studenti. Ciò è dovuto, da un lato, al maggior impegno orario degli studenti, particolarmente nella scuola primaria e in misura minore nella scuola secondaria inferiore. Dall’altro, alla maggiore incidenza di alcune tipologie di insegnanti: di sostegno, di religione, e fuori ruolo. Anche al netto di queste figure, tuttavia, il rapporto è di 9,1 insegnanti per 100 studenti in Italia, contro una media di 7,5 nei paesi Ocse. Eppure, i risultati che emergono da indagini standardizzate internazionali, come ad esempio Pisa, pongono le competenze degli studenti italiani sistematicamente sotto la media. Anche all’interno del nostro paese non emerge una correlazione tra quantità di risorse investite, distribuite abbastanza uniformemente a livello territoriale, e risultati degli studenti, che mostrano un forte svantaggio delle regioni centro-meridionali. Inoltre, se la quota di spesa in conto capitale risulta correlata positivamente con le competenze degli studenti, non lo è altrettanto la spesa per insegnanti, mentre quella per altro personale e consumi intermedi mostra addirittura una correlazione negativa. (2)
L’assenza di sistematiche correlazioni positive tra quantità di risorse investite e risultati non esclude che esistano altri effetti sulle competenze degli studenti che le variabili elencate sopra non consentono di cogliere. E qui veniamo al secondo punto. Le differenze tra scuole potrebbero essere in parte spiegate da determinanti di tipo istituzionale anziché dall’ammontare delle risorse investite. O da altri fattori che influenzano la qualità della scuola, come il livello di preparazione e di motivazione degli insegnanti. La letteratura evidenzia fra questi la centralizzazione degli esami, il livello di autonomia scolastica, il livello di autonomia didattica degli insegnanti, l’esistenza di valutazioni da parte degli studenti e il livello di concorrenza da parte di scuole private.
In parole povere, la questione non è solo quanto spendere per la scuola, ma soprattutto come. E visto che in Italia la quantità di risorse investite non è inferiore a quella degli altri paesi sviluppati mentre sono inferiori i risultati ottenuti, è obbligatorio ripensare al modo in cui le risorse sono spese.
A proposito del decentramento delle responsabilità e delle competenze nel governo della scuola intrapreso in Italia dagli anni Novanta, sempre nel Quaderno Bianco (pag. 32) si legge che:
"È mancata l’assegnazione alla scuola di autonomia economico-finanziaria, ma anche la strumentazione per monitorarla; e, ancora, l’attribuzione alle scuole di poteri effettivi che consentano a ognuna di esse di attuare gli interventi necessari al miglioramento dei propri risultati".
Si tratta di una descrizione coincisa ed efficace di come una qualunque riforma sia destinata a rimanere incompiuta, finché al decentramento non si affianchi l’attribuzione di poteri effettivi e responsabilità in capo a chi è chiamato a gestire la fornitura del servizio. Se a questo aggiungiamo la già dimostrata avversione dei principali attori del sistema scolastico, ovvero gli insegnanti, alla loro valutazione e incentivazione su base meritocratica, risulta abbastanza facile prevedere che eventuali risorse addizionali da destinare alla scuola non sortiranno effetti di rilievo sulle competenze degli studenti.

(1) Krueger, A.B. (1999). "Experimental Estimates of Education Production Functions" Quarterly Journal of Economics 114(2): 497-532.
(2) Bratti, M., Checchi, D., Filippin, A. (2007) "Territorial Differences in Italian Students’ Mathematical Competencies: Evidence from Pisa 2003", IZA Discussion Paper No. 2603 (February) – Bonn: IZA.

I conti fatti senza i bambini stranieri

Quanti saranno gli studenti della scuola nei prossimi anni? Di quanti insegnanti avremo bisogno, e dove? Non è semplice rispondere a queste domande, fondamentali per ogni serio esercizio di pianificazione in un campo cruciale come l’istruzione pubblica. Nel Quaderno bianco sulla scuola un modello di simulazione cerca di farlo, ma sconta il mancato aggiornamento delle previsioni demografiche e una scarsa considerazione dell’effetto della recente “rivoluzione demografica” sulla presenza di alunni stranieri.

La giostra degli insegnanti

Il Quaderno bianco sulla scuola costituisce un’importante presa d’atto dei problemi e delle difficoltà del sistema scolastico italiano. La sua importanza è per più versi accresciuta dal suo essere un documento congiunto del ministero di spesa settorialmente competente e del ministero di controllo della spesa. In quanto tale, ben potrebbe rappresentare il punto d’avvio d’una riflessione sulla efficacia ed efficienza del sistema scuola in Italia. Riflessione tanto più opportuna alla luce del fatto che il nostro paese, anche nel confronto internazionale, spende tanto, in rapporto al numero di studenti, a fronte di risultati, in termini di competenze raggiunte dai nostri studenti, in media poco soddisfacenti e molto iniquamente distribuiti, con un forte divario tra Nord e Sud e tra scuole diverse, anche all’interno dello stesso ordine di scuole. (1)

I suggerimenti del Quaderno

La spesa è elevata soprattutto a causa di un elevato rapporto insegnanti/alunni, non per via di un’elevata retribuzione unitaria degli insegnanti. Il Quaderno sembra voler rappresentare una sterzata rispetto ai dibattiti abituali sulla scuola, molto centrati – soprattutto in questa stagione dell’anno, alla vigilia della predisposizione della legge Finanziaria – sulle quantità degli input (gli aspiranti insegnanti a cui trovare un contratto stabile) e poco sulla qualità dell’output – gli apprendimenti, alquanto differenziati tra scuole, nonostante l’uniformità di regole e trattamenti.
La direttrice suggerita per superare questo stato di cose sembra essere quella fornita dal combinato disposto di maggiore autonomia delle scuole (quella che viene definita l’attuazione di una "riforma già fatta") e maggiore capacità di governo e monitoraggio centrali del sistema (in termini di programmazione dei flussi di personale e di valutazione degli apprendimenti e quindi delle scuole da parte dell’Invalsi). La direttrice in questione pare in linea con le evidenze disponibili a livello internazionale, che nel binomio autonomia (e flessibilità operativa) e valutazione (omogenea e quindi in qualche misura centralizzata) vedono un’accoppiata vincente, l’una cosa senza l’altra rischiando di produrre più danni che benefici. Naturalmente, molti aspetti di dettaglio richiedono ulteriori precisazioni e approfondimenti, l’obiettivo del Quaderno sembrando esser proprio quello di aprire in proposito un vivace dibattito. Senza entrare nel merito delle proposte più specifiche contenute nel documento, qui ci si limita a sintetizzare alcune evidenze significative sul come regole omogenee e meccanismi centralizzati di allocazione del personale finiscano col produrre risultati fortemente differenziati. La centralizzazione, ancor prima che il loro non affidarsi a meccanismi programmatori pluriennali (quali quello esposto nel Quaderno), sembra infatti fonte di inefficienze.

Il "va e vieni" dei docenti

In Italia molti degli insegnanti annualmente incaricati presso le diverse scuole sono precari, con incarichi fino al termine delle attività didattiche o fine al termine dell’anno scolastico. Gli incarichi, circa il 15 per cento delle posizioni annualmente in essere, sono definiti annualmente ripercorrendo l’ordine in graduatoria di chi aspira a un contratto permanente da insegnante. (2) Di per sé, la natura centralizzata e amministrativa degli incarichi annuali porta a un notevole turnover del corpo docente delle singole scuole: anche se la gran parte dei precari con incarico annuale in un dato anno è poi occupata anche nell’anno scolastico successivo, molto spesso ciò accade in una scuola diversa.
Il turnover effettivo è poi ulteriormente innalzato da quegli insegnanti che, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, si muovono, su loro richiesta, da una scuola all’altra. Nel complesso, ogni anno circa un insegnante su cinque è un nuovo arrivato nella specifica scuola in cui si trova a operare. L’indicatore in questione, peraltro, sottovaluta l’instabilità del corpo docente perché considera la situazione assestata degli incarichi annuali, senza tener conto del fatto che spesso le assegnazioni definite a settembre vengono poi mutate nel corso dell’anno. Ma il fenomeno è plausibile fonte di difficoltà nello svolgimento e nella programmazione dell’attività didattica. La programmazione didattica è del resto in Italia affidata più al collegio dei docenti (e ai singoli docenti) che alle scuole in quanto tali, che in questo "va e vieni" di docenti sono un elemento alquanto passivo, non potendo "scegliersi" gli insegnanti. Il turnover, oltre a variare molto tra scuole, appare negativamente correlato con i risultati (nelle scuole secondarie superiori) dell’indagine Pisa.

Le scuole più desiderate

Approfondendo i processi sottostanti questa giostra del personale docente, in particolare per quanto riguarda la mobilità del personale di ruolo alla ricerca di una sede ritenuta più consona, si può evidenziare come le richieste di uscita da una particolare scuola siano alquanto diffuse. In media, il 17 per cento circa degli insegnanti di ruolo operanti in una data scuola vorrebbe in realtà andare altrove. Plausibilmente saranno ben poco motivati a ben operare in quella scuola. Confrontando le diverse scuole, questa percentuale, interpretabile alla stregua di un indicatore di mismatch e di insoddisfazione rispetto alla propria situazione lavorativa corrente, è più elevata nelle scuole del Sud, nella media inferiore e negli istituti professionali e, nel caso delle scuole secondarie superiori per cui si dispone dei risultati di Pisa, tra quelle peggio piazzate.
Un ultimo indicatore è ottenibile considerando non solo le scuole da cui molti docenti di ruolo vogliono andar via, ma anche quelle verso cui l’intera popolazione dei docenti di ruolo italiani vorrebbe andare. L’indicatore in questione coglie le preferenze rivelate dai docenti nei confronti di una data scuola, preferenze che plausibilmente colgono la minore o maggiore difficoltà di operare come insegnante in quel contesto, visto che le condizioni retributive in quanto tali non mutano tra scuole. Una scuola avrà valori positivi dell’indicatore laddove è desiderata da più docenti di quanti non siano quelli che dalla stessa vogliono andare via. L’indicatore denota una grande variabilità tra scuole – a riprova della natura sistematica dei flussi di docenti, evidentemente non governati solo da preferenze idiosincratiche – ed è positivamente correlato coi risultati Pisa. Sembra quindi che i docenti italiani (almeno loro) sappiano bene quali sono le scuole di qualità. Con pochi incentivi ad andare e a impegnarsi in quelle "difficili", quando capitano, nella marcia di avvicinamento verso la sede desiderata, esprimono preferenze alquanto marcate nei loro confronti.

* Le opinioni qui espresse sono esclusivamente personali e non necessariamente impegnano l’Istituzione di appartenenza.

(1) Il divario rispetto ad altri paesi in termini di competenze, per come misurato dall’indagine Pisa, sembra più marcato di quello in termini di conoscenze (le prime essendo definibili in termini di capacità di utilizzo delle seconde). Ciò potrebbe in parte discendere da un orientamento culturale più "scolastico" e tradizionale della scuola italiana, non ben rappresentato da misure originatesi in prevalenza nel mondo anglosassone. Più discusso è se ciò rifletta un problema – connesso ad esempio al rischio che la nostra scuola sottovaluti l’empirismo, la scienza e la tecnologia moderne. L’opinione di chi scrive è che, almeno in parte, nell’orientamento culturale della nostra scuola vi siano dei tratti problematici. Il punto che però qui più interessa è che una scarsa qualità media degli apprendimenti degli studenti italiani è comunque confermata anche da altre misure (ad esempio Pirls e Timms) una volta che si effettuino confronti su base omogenea con gli altri paesi. Se dal confronto tra le diverse indagini una conclusione deve trarsi è semmai che i ritardi degli studenti italiani crescono al procedere del corso degli studi, segnalando le difficoltà della scuola, in particolare di quella media inferiore. Soprattutto, quelle misure (e quelle definite dall’Invalsi a livello esclusivamente nazionale) confermano il pattern delle differenze interne all’Italia.

(2) Essi non esauriscono l’universo del precariato, in cui vanno anche ricompresi i soggetti incaricati per periodi più brevi. Sono le cosiddette supplenze
brevi, definite dalle singole scuole, la cui effettuazione poi consente, in assenza di qualsivoglia concorso e meccanismo di verifica di attitudini e capacità, di entrare nelle liste degli aspiranti al ruolo da cui sono anche tratti i docenti con incarichi annuali.

Correlazione tra mobilità dei docenti e risultati del test Pisa 2003 (a livello di scuola)

  Matematica letteratismo
Dati grezzi    

Turnover

-.238 -.27

Mismatch

-.281 -.353

Preferenze rivelate

.227 .318
Dati Pisa al netto degli effetti di genere e background familiare    

Turnover

-.159 -.200

Mismatch

-.228 -.323

Preferenze rivelate

.231 .369
Dati Pisa al netto degli effetti di genere, background familiare, provincia e tipo di scuola e indicatori di mobilità al netto degli effetti di provincia e tipo di scuola    

Turnover

-.265 -.325

Mismatch

-.485 -.580

Preferenze rivelate

.392 .534

Fonte: Gianna Barbieri, Piero Cipollone e Paolo Sestito: Labour market for teachers: demographic characteristics and allocative mechanisms, mimeo, luglio 2007

Corsi e ricorsi: Via l’Ici sulla prima casa?

A volte ritornano. Dal governo in affanno riemerge la proposta dell’abolizione dell’Ici lanciata, prima delle elezioni, dall’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Giusto quindi ricordare quanto scrivemmo in quell’occasione.”

Quelle economie di scala che fanno bene ai mercati

I fondi pensione agiscono normalmente in una prospettiva di lungo periodo. Sono quindi considerati i migliori candidati per l’afflusso di grandi risorse sul mercato con investimenti non puramente legati a logiche speculative. E la proposta di accorpare quelli con più bassi tassi di adesione può avere effetti positivi anche in questo campo. Generando operatori più forti e più ricchi, non solo interessati a utilizzare gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione, ma in grado di divenire loro stessi fonte di autoregolamentazione.

Indipendenti sono le Autorità o i numeri?

La relazione Covip documenta come circa 900mila lavoratori abbiamo espressamente deciso di destinare almeno parte del Tfr ai fondi pensione nel semestre in cui erano chiamati a farlo. Con un tasso di adesione di circa il 21 per cento. Ma il dato deludente si è trasformato in un successo nella presentazione del presidente, quando sono apparsi nuovi numeri, volti artatamente a portare il tasso di adesione assai vicino alla soglia del 40 per cento. Che tutti ci auguriamo sia raggiunta quanto prima. Ma i potenziali aderenti devono poter contare su di un’Autorità di vigilanza efficiente e non subalterna né a chi deve essere vigilato, né al potere politico.

La via stretta di Bernanke

La Federal Reserve abbassa i tassi di ben cinquanta punti base. Una sorpresa? Non proprio. La decisione è ampiamente giustificata, e non per ragioni di moderazione dei mercati monetari o del presunto panico di borsa. Ma perché ci sono segnali di rallentamento dell’economia Usa. Tuttavia, i tassi a lungo termine salgono. I mercati infatti si aspettano che le mosse attuali, unite a un forte rialzo del prezzo del petrolio, alimentino pressioni inflazionistiche. E quindi costringano presto la Fed a rivedere la propria strategia.

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