La decisione della Commissione europea di estendere dazi anti-dumping per due anni sulle importazioni di scarpe dalla Cina e dal Vietnam è stata salutata da più parti come una vittoria contro il commercio sleale dai produttori di scarpe. In realtà è una misura che solleva diverse perplessità sia nel merito che per la sua efficacia nel dare alle nostre imprese margini di manovra per riorganizzarsi e fronteggiare la concorrenza internazionale. In ogni caso, l’esistenza di un sistema di regole globali garantisce soluzioni relativamente ordinate e contenute.
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Quarantamila. A tanto ammonta il numero degli iscritti alla newsletter de lavoce.info. Questo nuovo traguardo è stato raggiunto nei giorni scorsi in concomitanza con la pubblicazione di alcuni nostri articoli sulla Legge Finanziaria. Una conferma che nei momenti topici della vita economica e politica del paese cè un pubblico che vuole capire il nocciolo dei problemi, che cerca approfondimenti, ed è poco interessato allo spettacolo rissoso spesso offerto dai media. La quota quarantamila raggiunta, a quattro anni dalla nascita del sito, ci dà un motivo in più per andare avanti e per cercare di rendere lavoce.info più incisiva e tempestiva.
I contribuenti con oltre 35mila euro di imponibile pagheranno più imposte. Ma chi beneficerà dell’intervento sull’Irpef? Saranno coloro che hanno redditi tra 10 e 35mila euro, più i lavoratori dipendenti degli autonomi e chi ha figli rispetto a chi non ne ha. Ma leffetto redistributivo non è intenso, perché la manovra poggia solo sulla progressività dellimposta. Importanti gli aspetti di razionalizzazione, con il ritorno al sistema di detrazioni. Forse si poteva fare di più nel disegno degli istituti di sostegno alle famiglie e verso luniversalità dei beneficiari.
La Finanziaria prevede che il flusso di Tfr non destinato dai lavoratori ai fondi pensione venga versato su un fondo, istituito presso la Tesoreria centrale dello Stato e gestito dall’Inps, che dovrebbe servire a finanziare le infrastrutture. Il Governo si attende di ottenere da questo intervento 5,2 miliardi di euro. E’ un modo di fare cassa ai danni dei lavoratori più giovani, un’operazione di finanza creativa che speriamo non venga accettata da Bruxelles. Si tratta di soldi dei lavoratori e i debiti sono debiti.
Levasione e la pressione fiscale (il rapporto delle entrate pubbliche sul Pil) sono da sempre ingredienti fondamentali della politica economica. Le discussioni inerenti la legge Finanziaria, tanto per citare lattualità, non fanno altro che ribadire il concetto. Daltronde, limportanza attribuita dal legislatore a questi indicatori è ben meritata e si vuole qui porre laccento su certe loro interrelazioni che potrebbero aiutare a chiarire alcuni dei temi di politica fiscale sul tappeto. La pressione fiscale a carico degli “onesti” Il primo tratto comune che viene in mente è che le attività non dichiarate al fisco incidono su entrambi i fattori della pressione fiscale, poiché riducono sia il gettito sia il Pil (o, quantomeno, riducono laffidabilità della stima del Pil). La pressione consueta deriva dalla divisione del gettito incassato dalla pubblica amministrazione per il Pil complessivo. Per spiegare gli altri due indici, va detto che lIstat pubblica due diverse stime dellevasione: una minima, laltra massima. Questultima comprende, oltre allevasione minima, anche una somma che potrebbe non essere collegata a redditi irregolari. (2) Orbene, il denominatore delle misure “media” e “massima” è, rispettivamente, il Pil complessivo al netto della versione minima e massima della stima dellevasione. Chiaramente, a parità di Pil totale, il Pil regolare più basso è quello connesso allevasione massima e, altrettanto ovviamente, esso genera laliquota massima poiché il gettito è uguale per tutti gli indici. In altre parole, nellevento banale e limite in cui non esistesse evasione, allora sia il rapporto massimo che quello medio collasserebbero al valore consueto. Una crescita senza ostacoli Nella tabella 2 riporto i tassi di variazione del gettito e dellevasione (nelle due versioni, massima e minima, dellIstat). Scorrendo le colonne (b) e (c) ci si rende conto che, nonostante gli interventi e la tolleranza zero, la crescita dellevasione ha trovato pochi intralci. Non solo. La crescita complessiva (vedi ultima riga) ci informa che, negli ultimi dieci anni, una delle “industrie” trainanti del nostro sistema economico è stata proprio levasione fiscale; specie quella che, secondo lIstat, è certamente evasione. Vedasi la colonna (c). Confrontando evasione e gettito (colonne (a-b) e (a-c)), risulta che i primi anni Novanta sembrano essere stati un periodo particolarmente drammatico: levasione aumentava e il gettito non riusciva a tenerne il ritmo. In seguito qualcosa è migliorato, anche se il risultato consolidato nel corso del decennio permane negativo. La correlazione tra la crescita del gettito e quella dellevasione è positiva (molto, 65 per cento, nel caso dellevasione massima; poco, 19 per cento, nel caso dellevasione minima), il che a parole vuol dire che è risultato difficile implementare politiche in grado di perseguire, contestualmente, aumenti di gettito e riduzioni dellevasione. (1) Per saperne di più, cfr. Maurizio Bovi (2006), “Evasione e sommerso nella Contabilità nazionale”, in Guerra M.C. e A. Zanardi, Rapporto di Finanza Pubblica. Bologna, il Mulino.
Merita qui di essere ricordato che lIstat corregge il Pil aumentandolo dellevasione fiscale che, con varie tecniche, riesce a quantificare. (1) Cioè, il Pil ufficiale (che è anche una somma di redditi) contiene anche i redditi non dichiarati. Viceversa, i conti pubblici non sono corretti per levasione, per cui la pressione fiscale comunemente riportata e commentata (chiamiamola “consueta”), potrebbe non essere quella “vera”.
Questultima è molto probabilmente superiore a quella solitamente discussa poiché, evidentemente, le tasse sono pagate solamente dai redditi emersi. LIstat pubblica i dati del Pil dichiarato e non, può essere interessante perciò chiedersi qual è la pressione fiscale a carico dei contribuenti onesti. Loperazione è assai semplice: il gettito va diviso per il solo Pil regolare. La tabella 1 dà conto dei risultati, affiancando tre tipi di pressione fiscale.
Si può anche osservare che variazioni di gettito per motivi del tipo “aumento/diminuzione del senso civico” (nel secondo caso si può pensare alleffetto di condoni reiterati), dovrebbero impattare meno sul quoziente massimo che su quello consueto: a parità di mutamenti negli incassi fiscali, il denominatore “tutto dentro” di questultimo resta relativamente più stabile. Va poi considerato che i valori di cui alle colonne (b) e (c) sono una sovrastima dellaliquota “vera” poiché è più facile nascondere il reddito che il consumo. Cioè, parte delle imposte indirette è pagata dai redditi irregolari. In questo caso lindicatore consueto, tenendo conto anche dei redditi evasi, è meno impreciso degli altri due.
Ancor più singolare è limpatto sulla pressione fiscale dei redditi provenienti dalle attività illegali. Da un lato, vengono (almeno in parte) spesi nel circuito legale, in ciò incrementando le entrate pubbliche mentre, dallaltro, non entrano nel Pil totale stimato dallIstat. In entrambi i casi, leffetto è una sovrastima della pressione fiscale: una parte degli incassi della pubblica amministrazione deriva da redditi non conteggiati nel Pil ufficiale. Comunque, tutto considerato, è probabile che la percentuale “vera” sia situata allinterno dei due valori estremi riportati nella tabella 1 la quale, anche perciò, appare generosa di utili indicazioni.
Entrando nel merito delle cifre, sembra che il 1997 sia stato, fiscalmente parlando, un annus horribilis : tutti i valori segnano un massimo. Daltronde, quello, era lanno delleurotassa.
Forse ancora più intenso è limpatto, anche emozionale, dellaliquota che storicamente grava sui redditi dichiarati al fisco: non di rado si è superato il 50 per cento anche nella versione più conservativa di cui alla colonna (c). Infine, losservazione dei valori del decennio suggerisce che la pressione fiscale, specie nelle due versioni non consuete, è maggiore negli anni più recenti che nei primi anni Novanta.
Evidentemente, ed è la speranza di molti, non è detto che la storia debba per forza ripetersi. Tuttavia, in base a queste informazioni, si possono tentare due considerazioni di politica fiscale.
La prima riguarda i condoni degli ultimi anni che, se fatti con lintenzione di far emergere base imponibile in modo permanente, avrebbero dovuto produrre sia maggior gettito sia minore evasione. Nei dati aggregati qui analizzati, simili dinamiche non trovano riscontri.
La seconda interpretazione normativa è che in Italia la gestione delle entrate pubbliche appare particolarmente complicata. Dal lato emerso, devono confrontarsi con rigidi vincoli sovranazionali, con un debito abnorme, con una spesa (nel breve termine) sempre meno comprimibile e (nel lungo termine) sempre più decentrata; dal lato sommerso, sembrano subire vigorose reazioni ai tentativi di reperire incassi aggiuntivi.
Insomma, il quadro prospettato dovrebbe far intuire perché, nei dibattiti di politica fiscale, si sente spesso dire che i) la (più che trentennale) “stagione” dei condoni è ormai finita e che ii) la lotta allevasione fiscale è un prerequisito per la riduzione della pressione fiscale.
* Le opinioni qui espresse sono personali e non necessariamente impegnano lIsae.
(2) Il fatto è che lIstat non è in grado di discriminarne la parte che, con maggiore certezza, proviene da attività sommerse.
LItalia ha un problema di spesa pubblica eccessiva. Nellultimo decennio quella primaria (al netto degli interessi) è cresciuta di 3 punti rispetto al Pil. Il Governo ne era ben conscio, e lo aveva indicato nel Dpef. Ma la Finanziaria varata dal Consiglio dei Ministri aumenta le entrate anziché tagliare le spese. Secondo le nostre stime, la copertura della manovra è composta fino all84% da entrate aggiuntive. Servirà a farci rientrare nellambito dei parametri di Maastricht. Ma non eviterà che tra dodici mesi gli stessi problemi si ripresentino. Inquietante poi l’operazione sul Tfr
Serve all’Italia un nuovo servizio pubblico televisivo che garantisca ai cittadini l’accesso a contenuti di interesse pubblico di qualità, la sostenibilità economica dei servizi e un sistema di regolamentazione improntato alla trasparenza e all’indipendenza degli organi di governo da quelli di controllo. Utile perciò guardare all’esperienza britannica del “Communication Act”, che ha ridefinito la nozione stessa di televisione pubblica e, di conseguenza, di quella commerciale. Ma ha anche rivisto struttura, organizzazione e funzionamento della Bbc.
Il settore dei media si conferma anche in questa legislatura crocevia di fortissime tensioni politiche Le ipotesi di revisione della legge Gasparri circolate finora suggeriscono un approccio prudente da parte del governo. Si abbandona il Sic, passando a un sistema di misurazione basato sul fatturato che sopravvaluta le pay-tv e non incide sulla concentrazione degli ascolti in capo a due soli gruppi editoriali. Eppure il problema di pluralismo in Italia sta tutto lì. E la cura non può essere che la cessione sul mercato di una rete Rai e di una Mediaset.
Lo spettro televisivo italiano è affollato, sotto-utilizzato e gestito da centinaia di operatori di rete con interessi contrastanti. Dobbiamo razionalizzarlo, per rispettare gli accordi internazionali, ma soprattutto perché è nell’interesse del paese e del suo sviluppo. Altrimenti, rischiamo di essere gli unici a non accendere in tempi brevi le nuovi reti wireless o a non poter utilizzare le frequenze migliori. Che sono il modo più economico per ridurre la disparità nell’accesso. Privandoci così del cosiddetto dividendo digitale.
Le media company nascono perché le aziende di telecomunicazioni fisse e mobili cercano di offrire nuovi servizi che sfruttino la crescente capacità di trasporto della rete in segmenti dove la concorrenza di prezzo è meno forte. I contenuti video si prestano bene allo scopo. Ma i ricavi delle Iptv derivano quasi esclusivamente dalla sottoscrizione degli abbonamenti. Sono quindi decisamente inferiori a quelli della telefonia fissa. La riconversione richiede poi grandi sforzi organizzativi e culturali per le competenze richieste.