Per il 2007 il “patto per la salute” siglato da esecutivo e regioni prevede un maggiore esborso dello stato in cambio dell’impegno dei governatori a stabilizzare la spesa sanitaria al 6,7 per cento del Pil e del mantenimento delle sanzioni automatiche per gli inadempienti. Ma perché la sanità è una spina nel fianco di tutti i governi? E come uscirne? Dovremmo superare i limiti di una programmazione puramente finanziaria della spesa. E definire i livelli essenziali di assistenza sulla base delle risorse disponili. Legandone la quantificazione ad analisi empiriche e best practice.
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Il Ddl presentato dal ministro per lo Sviluppo economico riporta la capacità di competere dell’industria al centro dell’attenzione della politica economica italiana, riconosce la natura strutturale delle difficoltà dell’economia e predispone gli strumenti di supporto perché le imprese la affrontino. Ma, nella stesura attuale, coinvolge troppi soggetti ed elenca troppi obiettivi. Inoltre, privilegia gli incentivi, che hanno poca presa sulle piccole aziende, rispetto alla riduzione delle tasse sulle società .
Le notizie che arrivano dal fronte della spesa pubblica sono meno incoraggianti di quelle sul gettito delle imposte. Nel 2006 il rapporto tra spesa e Pil crescerà ancora. Si spende più del previsto soprattutto nelle aree collegate al funzionamento della macchina amministrativa e all’attività del settore pubblico come produttore e fornitore di servizi: il personale e i consumi intermedi, la sanità e le amministrazioni locali. La previsione tendenziale per il 2007 è ottimistica: una parte della manovra nella prossima Finanziaria dovrà servire a renderla realistica.
Non sono cambiate le regole del calcio e prevale un atteggiamento assolutorio nei confronti dei principali protagonisti di calciopoli. Bisogna trovare un modo di punire i dirigenti colpevoli degli illeciti sportivi. Per evitare di dover coinvolgere la giustizia ordinaria e intentare lunghe e incerte cause patrimoniali, si potrebbero inserire clausole nei contratti di lavoro stipulati tra gli amministratori e i club: se la società è punita dalla giustizia sportiva per fatti commessi dai suoi dirigenti, questi dovranno versare una penale alla società , graduata in base all’entità della sanzione comminata dalla giustizia sportiva. Almeno non saranno i soli tifosi a pagare, ma anche chi ha commesso gli illeciti.
Per incorrere nel reato non è necessario un vero e proprio abuso diretto o indiretto dell’informazione privilegiata. E’ sufficiente il semplice fatto di comunicarla a soggetti non legittimati a riceverla. Né fa eccezione la comunicazione al governo, in funzione dell’eventuale esercizio dei “poteri speciali” riconosciuti dalla legislazione sulle privatizzazioni. Nelle relazioni fra imprenditori e politici alcune abitudini che ai tempi dello “Stato-imprenditore” potevano apparire normali, oggi potrebbero rischiare di sconfinare nell’illiceità penale.
La golden share può ostacolare la circolazione dei capitali all’interno del mercato comune europeo. Per questo la Corte di giustizia impone ai paesi che la contemplano di circoscriverne il raggio dÂ’azione. Non sembra quindi ipotizzabile che il nostro governo possa esercitare il diritto di veto sulle operazioni Telecom di scorporo della rete fissa e mobile. Al massimo, può esigere che lo statuto della società cui è conferita la rete fissa contenga una golden share. Per mantenere gli stessi poteri di salvaguardia che ha oggi in caso di pericolo. Niente da fare invece per Tim.
La vicenda Telecom ha reso ancora più evidenti le debolezze del nostro sistema politico ed economico. Ma offre qualche insegnamento per le necessarie future privatizzazioni e liberalizzazioni: dall’importanza di un’efficace regolamentazione all’alta probabilità di fallimento del mercato italiano degli assetti proprietari. Se la Cassa depositi e prestiti dovesse diventare proprietaria delle maggiori infrastrutture a rete, occorrerebbe ripensarne i compiti. Per ora, il governo non sembra aver definito un adeguato disegno di policy making.
Se per ipotesi il riassetto di Telecom non fosse nell’interesse della società , ma solo del gruppo di controllo, quali speranze avrebbe un azionista di minoranza di bloccare il piano o almeno di ottenere il risarcimento del danno? E’ tutto nelle mani degli amministratori e, in particolare, di quelli indipendenti. Se questi approvano la proposta, agli azionisti di minoranza restano solo due strade. Possono coalizzarsi in una maggioranza alternativa nella successiva assemblea. Oppure cercare una tutela in giudizio. Entrambe appaiono decisamente impervie.
La riunione annuale del Fondo monetario non ha indicato come aumentare l’influenza dei paesi in via di sviluppo senza ridurre quella degli americani e degli europei. Non c’è da stupirsene. Ora, si continuerà a negoziare e si correggerà leggermente il sistema delle quote. Ma una vera redistribuzione dei poteri sarà ancora rinviata. E ciò non cambierà la determinazione dei grandi a conservare il loro potere. Intanto alcuni paesi potrebbero decidere di organizzarsi tra loro e di ignorare l’Fmi. E’ un’idea molto in voga in Asia.
Ha senso lamentarsi della inefficienza delle reti private in Italia? Intanto, solo due sono davvero private: telecomunicazioni e autostrade. La prima non è scadente, mentre per la seconda va ricordato che la privatizzazione è avvenuta in assenza di un’autorità di regolazione. Nelle Tlc il confine tra infrastruttura e servizio è labile: separare la rete dal servizio implica il rischio di bloccare future innovazioni. A tutto danno dei consumatori. Né una eventuale proprietà pubblica della rete dà molte garanzie sul piano degli investimenti.