E’ terminata ormai la vertenza tra i tassisti e il Ministro Bersani; inutile negare l’evidenza, hanno vinto i tassisti. L’articolo 6 del decreto legge è stato sostituito da un emendamento che prevede vari tipi di accordi fra comuni e associazioni di categoria. Il cuore dell’accordo peraltro è l’istituzione del doppio turno facoltativo, il ricorso a bandi straordinari e la concessione di licenze temporanee.
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Dopo tante promesse elettorali, di politiche per la famiglia si parla poco. Eppure, se ci si mette in un’ottica pragmatica, qualcosa si può già fare e senza costi aggiuntivi. Una liberalizzazione degli orari della distribuzione darebbe maggiori opportunità di conciliare i tempi della vita. Le imprese dovrebbero assumere misure family-friendly su orario di lavoro e offerta di servizi. Mentre le scuole dovrebbero “aprirsi” anche oltre l’orario di lezione. A parità di spesa, si potrebbero razionalizzare i benefici finanziari a favore delle famiglie.
Disoccupazione, sottoccupazione, bassi redditi e precarietà del posto di lavoro sono un freno che spinge i giovani italiani a rimandare ben oltre i trent’anni l’uscita dalla famiglia di origine. Che resta l’unico vero ammortizzatore sociale, spesso anche quando si è conquistata l’autonomia. Ma la combinazione tra solidarietà familiare forte e welfare pubblico debole è iniqua. E comprime il dinamismo sociale. Lo stesso sistema politico sembra lo specchio di una società poco mobile e caratterizzata da scarsa valorizzazione delle risorse giovanili.
I dati sembrano confermare che la gran parte delle collaborazioni nasconde rapporti di lavoro subordinati. Molte imprese si avvalgono di questa possibilità non per contrastare eventuali cali della domanda o per rispondere a esigenze di flessibilità produttiva, ma per ridurre il costo del lavoro. E’ davvero questo il terreno su cui misurarsi? Un’accorta politica economica dovrebbe, al contrario, spingere le aziende italiane verso gli elementi chiave della competizione globale: investimenti, riorganizzazione produttiva, innovazione, formazione.
Negli ultimi cinque anni, la crescita dei redditi per alcune fasce della popolazione è stata molto limitata, accompagnata da una dinamica inflativa non uguale per tutti. La combinazione dei due fenomeni ha generato consistenti effetti redistributivi. Si spiega così la perdita di potere d’acquisto lamentata da molte famiglie. Se è vero che la bassa crescita dei redditi dipende da cause strutturali legate alla competitività italiana, è altrettanto vero che la mancanza di concorrenza in una larga parte dei servizi ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale.
Il 9 luglio è morto Sergio Steve, all’età di novantuno anni. Sino alla fine è stato dotato di lucidità e memoria critica, come dimostra il “colloquio autobiografico” appena pubblicato su Economia Pubblica. Esso contiene la descrizione di un lungo percorso intellettuale dalla fine degli anni trenta del secolo scorso ai giorni nostri, e dà conto della varietà e ricchezza di interessi, al di là del campo delle scienze economiche e sociali, di Sergio Steve e di alcuni altri intellettuali e artisti della sua generazione.
Un cambiamento radicale, cominciato però con un passo falso. Infatti la riforma della fiscalità degli immobili entrata in vigore il 4 luglio col decreto legge 223/06 sta per essere corretta dal Governo: alcune proposte su come dovrebbe essere rettificata la normativa fiscale appena entrata in vigore.
La politica fiscale deve coniugare flessibilità di breve periodo e disciplina di lungo periodo. Dovrebbe perciò essere controllata da un Fiscal Council indipendente che fornisca stime veritiere delle variabili macroeconomiche su cui si fondano le previsioni delle entrate e delle spese e monitori il raggiungimento degli obiettivi di risanamento. Anche il Dpef raccomanda trasparenza e monitoraggio dei conti pubblici. Perché allora non adottare una legge di responsabilità fiscale, come hanno fatto altri paesi?
Due critiche principali hanno accompagnato il processo sugli scandali del calcio: colpe di pochi dirigenti ricadono su calciatori e tifosi incolpevoli e sommarietà procedurale. Ma il fatto che le società possano essere chiamate a rispondere degli illeciti commessi da propri esponenti è norma generale del nostro ordinamento dal 2001. Per impedire che gli stakeholder si avvantaggino di comportamenti scorretti dei manager a danno dei concorrenti. E forse, dovrebbe essere la giustizia ordinaria a imitare quella sportiva, almeno in tema di celerità .
Un Dpef di inizio legislatura può essere un documento molto utile perché può avere un orizzonte programmatico relativamente lungo. Ma bisogna riempirlo di contenuti. Non e’ il caso del Dpef approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì 7 luglio. Speriamo che a settembre, quando presenterà gli interventi promessi ma non specificati, il Governo mostri lo stesso coraggio avuto col decreto sulle liberalizzazioni. Servirà per coniugare risanamento e crescita, freno e acceleratore. Altrimenti si rischia di inchiodare l’economia. Come quando si guida una macchina senza marce col piede sinistro.