Il primo ministro britannico ha provato a utlizzare il bilancio per imporre una profonda riforma dell’Unione Europea. Non ci è riuscito e ora assistiamo ai soliti mercanteggiamenti venati di nazionalismo. Eppure, la Commissione va liberata dalle procedure burocratiche pesantissime che le impediscono di agire. Così come bisogna rinunciare alla distribuzione a pioggia delle risorse. Pac e ai fondi strutturali non sono altro che enormi spechi di denaro. Eliminarle non avrebbe alcun effetto sul recupero e sulla coesione dei paesi all’interno dell’Unione.
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Il testo della Finanziaria prevede l’istituzione di un fondo per indennizzare i risparmiatori danneggiati dai crack finanziari, obbligazioni argentine comprese. Molto probabilmente finirà per risolversi in una distribuzione generalizzata delle risorse. Una scelta sbagliata perché non tiene conto di principi base fondamentali per il fisiologico funzionamento di un mercato finanziario, come l’oggettiva rischiosità di alcune operazioni. Accantonata invece la class action, lo strumento più adatto per far valere le ragioni dei risparmiatori “traditi”.
La posta in gioco alla Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio non è tanto la conclusione del Doha Round, che in ogni caso richiederà ancora parecchi mesi, quanto la credibilità dell’organizzazione che ha già dovuto affrontare diversi momenti di crisi. Ma gli scenari di un commercio senza uno strumento di governance internazionale sono preoccupanti. I maggiori paesi industrializzati potrebbero sviluppare le proprie politiche commerciali a livello bilaterale facendo pesare maggiormente il loro peso politico ed economico.
Il testo di legge sulla tutela del risparmio approvato al Senato non affronta i veri nodi del sistema finanziario italiano. Non ha un disegno efficiente delle autorità di vigilanza, in campo bancario non scalfisce una disciplina assolutamente discrezionale e nemica del mercato, non uniforma il modus operandi della Banca d’Italia al modello europeo. Il centrosinistra ha buone idee in proposito. Se vincerà le elezioni, dovrà essere capace di metterle in pratica, incidendo su problemi delicati che sul piano politico hanno costi certi e vantaggi aleatori.
La Commissione Preda è impegnata ad aggiornare il codice italiano di corporate governance. Intanto, i risultati di una recente ricerca rivelano che il codice non è solo inadeguato rispetto agli standard europei. E’ anche molto poco rispettato. Eppure, gli amministratori indipendenti sono uno dei principali strumenti per prevenire comportamenti in danno agli azionisti di minoranza, l’ostacolo principale per lo sviluppo del mercato azionario. Ma chi deve verificare quanto dichiarato dalle società quotate sulla indipendenza dei propri amministratori?
In Italia la corruzione “percepita” è al livello dei paesi emergenti, con costi enormi per la nostra economia. Il problema non è disgiunto da quello della supervisione bancaria. I due schieramenti politici dovrebbero porre la lotta alla corruzione come tema prioritario della campagna elettorale, insieme alla questione morale e alla governance della Banca d’Italia. Non solo per motivi etici. Ma perché la corruzione diffusa è un ostacolo allo sviluppo e una determinante della sempre più bassa competitività del nostro paese.
L’articolo 19 del disegno di legge per la tutela del risparmio contiene disposizioni sull’organizzazione della Banca d’Italia. Ma non rimuove le cause delle degenerazioni dell’operato dell’autorità di vigilanza e si presta a obiezioni di merito. Modifiche incisive sono indispensabili. Se anche le approvasse la Camera, difficilmente passerebbero l’esame del Senato. Meglio allora stralciare l’articolo e rinviare alla prossima legislatura una riforma più organica, che comprenda anche una revisione della legislazione sui poteri e sulle competenze dell’Istituto.
Con la riforma della legge elettorale non ci sarà nessun passo avanti verso una maggiore stabilità e governabilità . Sarà un sistema con tutti i difetti del proporzionale, ma senza i suoi pregi. Avremo un bipolarismo più debole, con le stesse coalizioni “acchiappattutto” di oggi, altrettanto frammentate ed eterogenee, ma senza il forte vincolo rappresentato dal collegio uninominale. Aumenterà il potere di ricatto dei partiti più piccoli. Mentre il Senato potrebbe avere una maggioranza diversa da quella della Camera. Con prospettive neo-centriste contrarie all’interesse del paese.
Nella legge elettorale italiana c’è una grave anomalia tecnica nel meccanismo di assegnazione dei seggi per la parte proporzionale. Per alcuni esiti delle votazioni, la procedura può dare un risultato contraddittorio. Può infatti attribuire a una lista più (o meno) seggi di quelli che la lista ottiene per effetto di altre disposizioni della stessa legge. La riforma proposta dalla maggioranza non risolve il problema. Anzi, le probabilità di errore aumentano. E le “correzioni” ipotizzate, ammesso che siano efficaci, non bastano a garantire il requisito di proporzionalità .
E’ difficile valutare la partecipazione alle primarie nazionali. Tuttavia, si può provare a calcolare quale percentuale del proprio elettorato potenziale i diversi candidati siano riusciti a chiamare alle urne. Si scopre così che Prodi, nonostante il successo indiscusso in termini di preferenze ricevute, ha mobilitato solo il 24,16 per cento dei suoi elettori potenziali. Meglio di lui ha fatto lo “sconfitto” Bertinotti, con quasi il 34 per cento. Se poi i calcoli si fanno sugli elettori delle Europee, il vero trionfatore è Mastella, con oltre il 45 per cento.