E’ recente l’invio ai nati nel 2005 della lettera del presidente del Consiglio che annuncia il bonus di mille euro. La missiva è stata ampiamente pubblicizzata con spot televisivi e pagine intere sui quotidiani. Mentre Romano Prodi promette, in caso di vittoria, 2.500 euro a bambino. Ci siamo già occupati dei limiti di questa misura una tantum per le famiglie. Ora torniamo sull’argomento, ma lo facciamo con tono “semiserio”, anche per stemperare i toni accesi della campagna elettorale, provando a immaginare la possibile risposta di un neonato ai leader delle due coalizioni.
Categoria: Argomenti Pagina 992 di 1104
- Banche e finanza
- Concorrenza e mercati
- Conti Pubblici
- Disuguaglianze
- Energia e ambiente
- Famiglia
- Fisco
- Gender gap
- Giustizia
- Immigrazione
- Imprese
- Informazione
- Infrastrutture e trasporti
- Internazionale
- Investimenti e innovazione
- Lavoro
- Mezzogiorno
- Moneta e inflazione
- Pensioni
- PovertÃ
- SanitÃ
- Scuola, università e ricerca
- Società e cultura
- Stato e istituzioni
- Turismo
- Unione europea
Un assegno da 2.500 euro l’anno per ogni bambino, fino ai diciott’anni. La proposta di Prodi anticipa la necessaria riforma degli istituti di sostegno dei redditi familiari. La misura riunifica assegni familiari e deduzioni, ha carattere strutturale, è universale e selettiva allo stesso tempo. Nell’immediato, l’onere per lo Stato è contenuto, mentre gli effetti distributivi sono virtuosi: l’incidenza percentuale del beneficio è più elevata per i decili inferiori della distribuzione e decresce all’aumentare del reddito. Più problematica la copertura a regime.
Le concentrazioni dei gruppi energetici potrebbero essere negoziate e gestite a livello europeo. Invece, si preferiscono le soluzioni nazionali. Accade perché l’Europa ha fallito. Il suo modello di liberalizzazione puntava a rompere i monopoli nazionali verticalmente integrati, ma non a costituire una piattaforma europea integrata per sviluppare interconnessioni al di là delle frontiere. Si può però ripartire con una diversa politica, che concili l’intensificarsi della concorrenza, la sicurezza energetica e l’uscita graduale dallÂ’economia del carbone.
Potremmo definirla la “Grande gara di resistenza alle file per immigrati extracomunitari”. E’ invece la procedura che regola i flussi annuali di ingresso in Italia per motivi di lavoro di cittadini stranieri. La prima manche è la corsa per accaparrarsi i kit di domanda, seguita poi da quella per consegnare i documenti. Perché il rilascio del permesso seguirà l’ordine di arrivo delle richieste, fino a esaurimento. Il tutto “cronometrato” dagli uffici postali italiani. Una procedura incivile e insensata. Meglio sarebbe fare come gli americani, ricorrere a una lotteria.
Italia e Francia litigano sulla vicenda Enel-Suez. C’è invece assoluta necessità di riprendere l’iniziativa a livello continentale sui temi dell’energia. Perché l’Europa ha un pesante deficit in campo petrolifero e per quanto concerne il gas. Mentre l’Unione Europea potrebbe essere un negoziatore potente e gestire molto meglio i rischi. Rinunciare alle potenzialità di tale asset è semplicemente irrazionale. E proseguire su strade nazionali o al massimo di contrattazione bilaterale ci condanna a inefficienze che poi sono pagate dai consumatori.
La vicenda Enel-Gdf-Suez ha scatenato le critiche contro il protezionismo francese. Ma anche i nostri politici, di maggioranza e di opposizione, non hanno mai perso l’occasione di difendere l’italianità di questa o quella impresa. Basta guardare al caso Edf-Edison o all’ingresso delle banche straniere. Eppure, i più importanti studi sul grado di apertura dei sistemi economici nazionali dimostrano inequivocabilmente che ogni volta che si proteggono dalla concorrenza internazionale i mercati interni, sono le imprese locali, oltre che i cittadini, a perderci.
I dati diffusi dall’Istat sull’andamento dell’economia nel 2005 spengono ancora una volta i facili ottimismi. A evitare una caduta del Pil contribuiscono le voci meno virtuose: i consumi collettivi e l’accumulazione di scorte. Gettando un’ombra sulle prospettive per il 2006. Per i conti pubblici, rispetto alle previsioni di settembre, peggiora l’avanzo primario. Il miglioramento dell’indebitamento netto è dovuto a una diminuzione imprevista della spesa per interessi, agevolata da operazioni di finanza straordinaria. E aspettiamo la Trimestrale di cassa.
Lo spoil system funziona solo in presenza di una dirigenza pubblica di grande professionalità e in grado di resistere alle pressioni politiche. Ma in Italia manca un’Ena capace di formare i quadri alti della burocrazia. Né esiste un mercato dei dirigenti pubblici. E la valutazione dei risultati è rimessa a una discrezionalità assai ampia. Per uscire da questa situazione serve un progetto condiviso di lungo periodo. Intanto, in ogni amministrazione, l’applicazione del sistema dovrebbe essere ristretta a poche posizioni apicali tassativamente identificate.
In Italia il fenomeno della costituzione di società controllate dalle Regioni e dagli enti locali si è allargato a macchia d’olio, con il rischio di creare nicchie protette dalla concorrenza. Il fenomeno dell’affidamento in house va invece circoscritto entro stretti limiti, seguendo i criteri già indicati dalla Corte di giustizia europea. Non a caso il diritto comunitario lo caratterizza come una modalità eccezionale di acquisizione di forniture, servizi e lavori da parte delle amministrazioni, in deroga alle regole generali di trasparenza e concorrenza.
Se si vuol discutere seriamente di crescita, dobbiamo parlare di istituzioni e di regole, non di politica industriale. Dobbiamo intervenire incisivamente per separare la politica dall’economia. Un decalogo dei buoni rapporti fra politica e affari: servono legalità e buona giustizia, rapida e prevedibile negli esiti; chiare e semplici regole per l’avvio e l’esercizio dell’attività economica; tutela della concorrenza. Ma i primi a dover cambiare i loro comportamenti sono proprio i membri delle assemblee elettive e i pubblici amministratori.