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Categoria: Pensioni Pagina 21 di 39

DUE ANNI DI GOVERNO: PREVIDENZA E AMMORTIZZATORI SOCIALI

Alcune note positive per chi ritiene che l’età media di pensionamento in Italia debba essere aumentata: costretto dalla Corte di giustizia, il governo ha parificato l’età della pensione per le donne a quella degli uomini, ma solo nel settore pubblico; nel 2010 sono entrati in vigore i coefficienti di adeguamento delle prestazioni previdenziali alle aspettative di vita; nel 2015 scatterà il meccanismo di adeguamento alle aspettative di vita anche dell’età pensionabile. La spesa sociale resta tuttavia molto squilibrata nel senso del sostegno alle pensioni: circa 70 miliardi ogni anno versati dall’Erario per tenere in equilibrio il bilancio dell’Inps, nonostante che questo si avvalga di qualche decina di miliardi di attivo della gestione separata (quella che fra un quarto di secolo pagherà pensioni da fame ai giovani di oggi) e della gestione delle prestazioni temporanee e in particolare della cassa integrazione guadagni: un’assicurazione il cui “premio” pagato da imprese e lavoratori continua così a configurarsi, di fatto, per tre quarti come una tassa sul lavoro finalizzata al pagamento delle pensioni ai sessantenni, se non ai cinquantottenni.
La stessa cassa integrazione guadagni – che ora può essere attivata dalle Regioni anche “in deroga” rispetto ai limiti posti dalla vecchia disciplina ‑ continua a essere largamente utilizzata, in modo del tutto improprio, anche per il sostegno del reddito dei lavoratori che sicuramente non riprenderanno a lavorare nella stessa azienda. La riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione, che dovrebbe universalizzare il relativo trattamento e al tempo stesso far cessare l’abuso della Cig e consentire una immediata attivazione delle misure per la ricollocazione dei lavoratori interessati, è rinviata a tempi migliori; né il governo sembra avere le idee chiare sulle sue nuove linee portanti.

MEDIA BUGIARDA ANCHE PER I PENSIONATI

I dati della Banca d’Italia segnalano che nel 2008 il reddito delle famiglie di pensionati è aumentato del 3,2 per cento, in controtendenza con la riduzione del 4,2 per cento rilevata per il complesso dei nuclei familiari italiani. Ma le famiglie non sono tutte uguali. Per capire come stanno veramente le cose bisogna andare oltre le medie e analizzare la distribuzione dei redditi. Si scopre allora che per le famiglie di pensionati più poveri il reddito scende del 4,4 per cento, mentre cresce del 5,9 per cento in quelle dei più ricchi.

INDICIZZARE LE PENSIONI ALLA CRESCITA ECONOMICA

In Italia oggi non c’è una forte constituency a favore di riforme che favoriscano la crescita anche perché le pensioni sono una variabile indipendente, la cui dinamica prescinde completamente dall’andamento dell’economia. Quando l’economia va bene, i pensionati non partecipano ai guadagni di produttività e, dunque, le pensioni perdono valore rispetto ai salari, dando origine al fenomeno delle cosiddette “pensioni d’annata”. Quando le cose vanno male, invece, la spesa previdenziale aumenta ulteriormente la sua quota sul prodotto interno lordo, sottraendo risorse a politiche di contrasto alla povertà e alla disoccupazione. Nel 2009, ad esempio, la quota delle pensioni sul pil è aumentata di quasi un punto. Era già la più alta quota in Europa. Lo sarà ancora di più.
Eppure il benessere degli anziani dipende molto dalla crescita dell’economia. La mancata crescita comporta, ad esempio, un progressivo ridimensionamento dei servizi sanitari. Quindi senza crescita anche i pensionati finiranno per stare peggio.  Bene che ne siano consapevoli fin da subito.
E’ fondamentale che questa crescente fascia di popolazione partecipi in modo ancora più evidente ai vantaggi della crescita economica e sostenga quelle politiche che servono a migliorare la qualità e quantità dell’assistenza sanitaria pubblica e a permettere che pensioni relativamente generose possano essere pagate nonostante i cambiamenti demografici in atto.
Un modo per far lo è indicizzare le quiescenze in essere alla crescita economica. In Svezia, che ha adottato un regime pensionistico molto simile al nostro, le quiescenze in essere crescono di anno in anno in base al tasso di inflazione più la differenza fra il tasso di crescita potenziale dell’economia (che viene utilizzato nel calcolare il livello iniziale delle pensioni quando ci si ritira dalla vita attiva) e il tasso di crescita effettivo. Da noi si potrebbe prendere come riferimento la crescita del monte salari contributivo, la base con cui si finanziano le pensioni. E’ un modo al contempo per rendere il sistema sostenibile, quindi equo dal punto di vista intergenerazionale, e di favorire politiche che ci facciano tornare a crescere.

QUANTO COSTA NON RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO

Le mancate riforme del percorso di ingresso nel mercato del lavoro possono costare ai giovani fino al 30% della loro pensione futura. Secondo il presidente del Consiglio, il 2010 sarà l’anno delle riforme. Bene che cominci subito a varare quella del percorso di ingresso nel mercato del lavoro, il modo migliore per difendere le pensioni dei giovani. E se non ha il coraggio di farlo, almeno li informi su quanto varrà la loro pensione fra 40 anni.

RITORNO ALLA FLESSIBILITÀ

Il governatore della Banca d’Italia esorta ad aumentare l’età effettiva di pensionamento. E il governo risponde che la riforma del sistema previdenziale è già stata fatta. E’ vero però che sulla legge Dini del 1995 sono intervenute modifiche che ne hanno modificato l’impianto. Una nostra proposta di gennaio 2009 prevede il ritorno alla flessibilità di uscita dal mondo del lavoro, spostando in avanti le finestre di età. Dunque, rispecchia in pieno gli auspici del governatore. Oltre a essere equa sotto il profilo intergenerazionale e a comportare notevoli risparmi.

CHI PENSA ALLA PENSIONE

Stati Uniti e Regno Unito sono i due paesi con la previdenza privata più sviluppata. Eppure, all’indomani dello scoppio della crisi finanziaria, si sono impegnati a rafforzare il settore, anche operando forzature di tipo paternalistico. Il tutto preceduto, però, da una prolungata riflessione sulle modalità di funzionamento del sistema e sui correttivi che possano renderlo davvero credibile agli occhi dei lavoratori. Anche in Italia si ipotizza la riproposizione del silenzio-assenso. Ma prima occorre pensare alle precondizioni necessarie al suo successo.

CONSIGLI PER IL RISPARMIO

Una proposta di legge del Presidente Obama mira a rendere più semplice il risparmio previdenziale degli americani. Prevede l’iscrizione automatica ai piani pensionistici anche nelle piccole imprese. E potranno andare ad aumentare i contributi previdenziali anche i compensi per ferie e permessi non goduti. Per trasformare in risparmio i rimborsi fiscali basterà un tratto di penna sulla dichiarazione dei redditi. Intanto, il Tesoro prepara una guida al risparmio. Insomma, il paese più consumista del mondo riscopre i vantaggi di mettere da parte almeno una parte di reddito.

UNA RIFORMA CHE VALE QUANTO KAKÀ

Anche la manovra d’estate rimanda ai posteri gli interventi sull’età pensionabile. Solo per le donne che lavorano nel pubblico impiego cambia qualcosa: dal 2010, i requisiti anagrafici per andare in pensione saliranno gradualmente da 60 a 65 anni, equiparandosi a quelli degli uomini. E’ una ennesima scelta contro il pensionamento flessibile. Ma soprattutto è una riforma destinata ad avere un effetto molto limitato sui conti pubblici: negli anni in cui questo Governo sarà in carica, i risparmi saranno dell’ordine di 100 milioni.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nella maggior parte i commenti non si soffermano sugli aspetti toccati nell’articolo ed esprimono opinioni molto tranchant. Ciò è tanto più significativo in quanto avevo tentato di mettere a fuoco problemi specifici in un’ottica tutt’altro che “di promozione”. E’ un dato su cui riflettere. Non che mi dispiaccia confrontarmi con visioni “radicali” del problema della previdenza privata in Italia e nel mondo, ma è difficile rispondere alle osservazioni di questi lettori senza cadere in una logica da tifoserie contrapposte. Ci provo lo stesso, anche se non so quanto sia costruttivo.
I fondi pensione sono uno strumento ambivalente; così come il TFR, la pensione pubblica, le pensioni di invalidità civile (se distribuite su base clientelare)…
Il TFR negli anni 80 (quelli con l’inflazione a due cifre) era considerato uno “scippo” a danno dei lavoratori dipendenti; non era affatto ritenuto un istituto “progressista”.
La pensione pubblica sembrava lo strumento ideale per garantire una vecchiaia dignitosa, tuttavia oggi non lo è più perché la demografia ha costretto la politica a introdurre cambiamenti sostanziali nel sistema della previdenza obbligatoria e a ridurne la copertura.
I fondi pensione rappresentano un’opportunità di diversificazione dei rischi (compreso quello “politico”) che comunque ricadono sul risparmio previdenziale. Se correttamente gestiti, a costi contenuti e tenendo conto delle caratteristiche reddituali, anagrafiche, patrimoniali degli iscritti, possono rappresentare un valido strumento (volontario) a disposizione dei lavoratori.
Si denuncia che oggi, nel contesto di una crisi per certi versi epocale, i fondi pensione accusino rendimenti molto negativi; ciò è indubitabile, ma sarebbe sbagliato dedurne che questa sia una tendenza intrinseca, come sarebbe stato altrettanto sciocco esaltare in assoluto i rendimenti positivi degli anni scorsi. La sfida è garantire ai lavoratori un rendimento netto superiore nel lungo periodo al TFR e la mia opinione è che tale obiettivo sia alla portata dei fondi pensione (anche grazie al contributo addizionale dei datori di lavoro e ai benefici fiscali) purché essi adottino metodologie gestionali efficienti, meccanismi perequativi, forme di garanzia, strumenti di trasparenza e consulenza e tutta un’altra serie di strumenti da utilizzare nell’esclusivo interesse degli iscritti.
Penso sia giusto tentare di far funzionare al meglio ciò che abbiamo e evitare gli anatemi.
Quanto all’unico commento riferito davvero all’articolo e all’obiezione in esso contenuta sulla “contraddittorietà” della mia affermazione secondo cui persone prossime al pensionamento non dovrebbero essere iscritte a linee a elevato rischio finanziario, posto che, correttamente, non mi viene attribuita la paternità della seconda affermazione, non vedo in quale contraddizione sarei caduto. Peraltro, al di là della nota di stile, non capisco, caro lettore, il suo ragionamento. Indipendentemente dalla bontà e razionalità delle scelte fatte a venti, trenta, quaranta anni di età, (alcune sue notazioni sulle criticità di tali scelte sono anche condivisibili), negli ultimi anni della fase di accumulazione occorre consolidare il montante e porlo al riparo da fattori di rischio, perché, in caso di shock, non si ha il tempo per recuperare perdite che decurtano l’intero capitale accumulato.

PS
I gestori in Italia non possono “scappare con la cassa” perché i patrimoni dei fondi sono affidati in custodia – per legge – a una banca depositaria.
 

PREVIDENTI NELLA CRISI

I dati Covip indicano una sostanziale tenuta del flusso di adesioni alla previdenza complementare. Aumenta però il numero dei riscatti per perdita dei requisiti e degli iscritti silenti o che interrompono i versamenti. Si ridimensiona così il livello di copertura del sistema. Preoccupanti appaiono poi le decisioni di investimento dei lavoratori più anziani, che spesso hanno aderito a fondi azionari o bilanciati. Necessario che i fondi pensione si dotino di strumenti adeguati per aiutare gli iscritti a operare scelte razionali.

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