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Categoria: Pensioni Pagina 24 di 38

LA REPLICA AI LETTORI

Le osservazioni del lettore sono estremamente acute e desidero ringraziarlo per l’apporto di riflessione che ha inteso offrire, partendo da alcune delle indicazioni contenute nel mio articolo.

1)         Per quanto riguarda l’informazione sul primo pilastro, già in passato ebbi ad esprimere perplessità su modalità e contenuti della campagna pubblicitaria svolta dal Governo nel semestre del “silenzio assenso”. Occorre premettere che una certa quale “improvvisazione” fosse inevitabile, data l’estrema ristrettezza del tempo intercorrente tra la decisione di anticipare di un anno l’avvio della riforma e l’attuazione della stessa. Abbiamo però tutti scontato un grave ritardo, che definirei politico-culturale, sull’identificazione degli argomenti da presentare per richiamare l’attenzione degli italiani in ordine all’importanza della previdenza complementare e sulle forme più appropriate di comunicazione da utilizzare a tal fine. In particolare, sembra vi sia ancora una certa ritrosia a rendere espliciti agli occhi dei nostri concittadini gli effetti della introduzione del metodo contributivo sull’ammontare finale della pensione che essi potranno attendersi nei decenni a venire dal sistema obbligatorio. Sarebbe oltremodo auspicabile che si sviluppasse nel Paese una campagna di educazione di massa sulle attuali caratteristiche del sistema pensionistico (pubblico e privato) per dare a tutti modo di conoscere in largo anticipo di quale copertura previdenziale si potrà beneficiare in futuro. E’ un’esigenza che discende da un interesse nazionale (giacché in causa è il destino previdenziale di milioni di italiani) che dovrebbe essere riconosciuto come tale da tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
2)         La proposta da Lei avanzata sull’allocazione di parte delle somme dovute per il riscatto a fini previdenziali degli anni di università pare senz’altro meritevole di attenzione. E’ forse inutile precisare che essa riguarderebbe una (pur importante) minoranza del mondo del lavoro dipendente, che non risulta sia quella meno disponibile all’investimento nei fondi pensione.

3)         La questione dei rendimenti e quella dei costi. Non è esatto dire che i rendimenti dei fondi pensione siano stati negativi in assoluto a seguito della crisi del 2001. Guardando ai dati, si osserva che l’impatto della crisi del 2001 è stato abbastanza rapidamente assorbito dalla industria dei fondi pensione italiana. All’interno di essa, peraltro, si riscontravano rendimenti diversi, soprattutto a causa dell’impatto dei costi sui rendimenti netti (ovviamente, nell’ambito di portafogli confrontabili). Purtroppo, la corrente crisi dei mercati finanziari mondiali ha generato uno shock che sta colpendo pesantemente anche il patrimonio dei fondi pensione. La durata della crisi non è di facile previsione, né si intende utilizzare per tranquillizzare il pubblico unicamente l’argomento, che pure ha una ragionevolezza empirica, riguardante il carattere di lungo periodo dell’investimento previdenziale. Altre componenti giocano un ruolo nel calcolo di convenienza: il contributo addizionale del datore di lavoro, la deducibilità fiscale, il regime impositivo di favore previsto nella fase dell’erogazione delle rendite. L’introduzione di una parziale detraibilità della contribuzione ai fondi avrebbe certamente un notevole impatto nel calcolo di convenienza e determinerebbe una redistribuzione dei benefici a favore delle classi a basso reddito. Sono peraltro d’accordo con l’affermazione che l’offerta di servizi accessori (soprattutto, il Long Term Care e la copertura caso morte) rappresenti un positivo elemento di differenziazione del prodotto fondo pensione rispetto al TFR. Occorre però ricordare che tali servizi hanno un costo aggiuntivo che potrebbe essere ridotto qualora fossero offerti (come già avviene in qualche caso) anche nell’ambito dei fondi ad adesione collettiva. Ritengo che un codice di autodisciplina potrebbe essere la sede adeguata anche per standardizzare l’offerta di tali servizi – e i relativi costi – in modo da evitare l’introduzione di un ulteriore elemento di confusione nella confrontabilità dei prodotti, a tutto scapito della trasparenza e della accountability dei fondi.

Riguardo a tale ultimo concetto, la proposta di favorire forme di aggregazione dei fondi negoziali è anche rivolta all’obiettivo di conseguire economie di scala che consentano ai fondi di minore dimensione (quelli più grandi potrebbero – e dovrebbero – farlo sin d’ora) un aumento delle spese volte a rafforzare l’organizzazione con figure professionali adeguate (a livello dei Consigli d’amministrazione e delle strutture amministrative), e a rendere più efficienti i servizi agli aderenti.

IL COSTO DEL CUMULO

Il pacchetto delle misure previdenziali varate dal governo contiene l’abolizione del divieto di cumulo tra rendite da lavoro dipendente o autonomo e prestazione da pensione di anzianità. Si potrà quindi lavorare e nello stesso tempo godere di una pensione di anzianità. Da notare che il divieto era sinora totale tra pensione di anzianità e lavoro dipendente e parziale tra pensione di anzianità e lavoro autonomo. Nell’ultimo caso era cumulabile un reddito corrispondente al minimo INPS più il 70% dell’eccedenza della pensione sul minimo, con una trattenuta comunque non superiore al 30% del reddito conseguito. Secondo le intenzioni del Ministro Sacconi  l’abolizione del cumulo mira a combattere il lavoro nero e far emergere il gettito sui redditi da lavoro ora sommerso. Ma la misura porterà anche a ridurre le entrate di coloro che al momento subiscono una trattenuta sui redditi da lavoro se pensionati. Inoltre l’abolizione del divieto di cumulo rende più appetibile l’opzione del pensionamento d’anzianità, abbassando l’età di pensionamento e facendo lievitare la spesa previdenziale. La Ragioneria Generale dello Stato stima un costo della totale cumulabilità pari a 390 milioni di Euro. Può essere una stima per difetto. Il provvedimento infatti si applica a tutte le pensioni di anzianità successive al 31 dicembre 2002. Secondo l’INPS lo stock di pensionati-lavoratori è di circa 2 milioni e 40mila, ma questo dato non  tiene conto di coloro che avrebbero comunque deciso di continuare a lavorare e in più potranno godere della loro pensione di anzianità. Se il flusso delle nuove pensioni di anzianità aumentasse del 40% (rispetto al flusso in assenza del cumulo), il costo potrebbe più che raddoppiare. E’ difficile fare delle previsioni accurate. Buona quindi l’idea della rimozione del divieto, ma andrebbe applicata in un sistema “neutrale”, quale il sistema contributivo, e non in un sistema in cui le pensioni di anzianità sono in media generose.

ANCORA MOLTO LAVORO DA FARE SUI FONDI PENSIONE*

Nel primo anno di attuazione della riforma, gli iscritti ai fondi pensione sono aumentati del 43,2 per cento. Un risultato positivo. Ma l’adesione riguarda ancora una minoranza dei lavoratori dipendenti del settore privato. Ed è particolarmente carente tra i segmenti a basso reddito della popolazione. Informazione sul primo pilastro, profilo fiscale, struttura dell’offerta, educazione previdenziale e codice di autodisciplina sono gli elementi dai quali partire per favorire un piio sviluppo della previdenza complementare nel nostro paese.

LE REGOLE DELLA BUONA EDUCAZIONE FINANZIARIA

L’educazione finanziaria va rafforzata in tutti i paesi e per tutte le fasce della popolazione. Per questo l’Ocse ha pubblicato un documento sulle buone pratiche internazionali. In una materia per sua natura trasversale, fondamentale la creazione di strutture operative dedicate, per promuovere e coordinare i diversi progetti. Tanto più in campo previdenziale. Dove sono particolarmente importanti le politiche che tendono a rendere più semplici le scelte e la previsione di opzioni di default ben disegnate. E una costante attenzione allaregolamentazione finanziaria.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molto interessante il commento di Carlo sul sistema inglese. Sembra un sistema molto flessibile, con la più ampia possibilità di scelta, un buon vantaggio fiscale e il contributo del datore di lavoro. Il “fai da te” per quello che riguarda la composizione del portafoglio può essere una soluzione per persone con una buona cultura finanziaria, anche perché consente di risparmiare sui costi di gestione.  Forse non è adatto a tutti, ma rende il mercato più concorrenziale e non vediamo motivi per vietarlo. Starà ai promotori delle diverse forme previdenziali convincere le persone che conviene affidarsi a gestori professionali. Ci sembra che l’idea meriti di essere presa in seria considerazione.

Riguardo al commento di Ivano, osserviamo che anche le forme individuali (Fip e fondi aperti ad adesione individuale) possono fruire del contributo del datore di lavoro. A differenza di quanto avviene nelle forme collettive, il lavoratore deve però ottenere di volta in volta il consenso del datore di lavoro. E deve essere correttamente informato: gli schemi Covip di Nota Informativa prevedono che venga richiamata l’attenzione del lavoratore sulla necessità di verificare se e a quali condizioni egli abbia diritto al contributo del datore di lavoro. Ivano ritiene che recuperare il contributo del datore di lavoro attraverso la performance del fondo sia “praticamente impossibile”. Ha ragione. Proprio per questo bisogna cambiare la legge, in modo che il contributo del datore di lavoro segua le scelte del lavoratore riguardo alla destinazione del Tfr. In un mercato concorrenziale non può esistere una discriminazione di questo tipo fra forme previdenziali, come ha argomentato Pietro Ichino su questo sito (7/11/2005), nonché, con formale comunicazione al Parlamento, l’Autorità Garante della Concorrenza (28/9/2005). Questa discriminazione che fa sì che nella stragrande maggioranza delle imprese, a meno di atti di liberalità del datore di lavoro, il lavoratore abbia una sola possibilità di scelta (il fondo negoziale); qualche volta, nelle piccole o medie imprese, oltre al fondo negoziale, c’è  un fondo aperto ad adesione collettiva. Di qui la segmentazione del mercato di cui parliamo nell’articolo. Non sembra un’architettura ragionevole, almeno per chi crede che alla lunga la concorrenza sia il modo migliore per fornire servizi efficienti a prezzi bassi.     

I budget, ossia obiettivi quantitativi sulla base dei quali vengono erogati incentivi a dipendenti e collaboratori, possono essere all’origine di fenomeni di mis-selling, per evitare i quali occorrono le regole (trasparenza, conflitto di interressi, responsabilità ecc.). Ma sono anche un formidabile strumento di efficienza utilizzati in tutte le imprese private. Anziché denigrarli, sarebbe utile pensare a come estenderli, ad esempio, alla pubblica amministrazione per renderla un po’ meno inefficiente. Robert Schiller dell’Università di Yale colloca gli incentivi ai venditori di prodotti finanziari e assicurativi fra le importanti  innovazioni della finanza, perché consentono di indurre le persone a intraprendere atti di previdenza, cui altrimenti dovrebbe pensare lo Stato, con costi più elevati a carico del contribuente (“Il Nuovo Ordine Finanziario”, Il Sole 24 Ore, 2003). L’obiettivo del venditore è ovviamente quello di vendere, ma per fare questo deve dedicare tempo al cliente per spiegargli le caratteristiche dei diversi prodotti, in relazione alle esigenze che gli vengono prospettate. Possiamo chiamare questa attività come più ci aggrada (consulenza o altro), ma è certo che si tratta di un’attività utile, anzi necessaria. Naturalmente deve essere svolta secondo regole di correttezza e trasparenza. 

FONDI E CASSE: LA FRAMMENTAZIONE COSTA

Gli alti costi delle pensioni integrative potrebbero ridursi grazie a un disegno più intelligente dei fondi non profit. I costi fissi di gestione potrebbero essere ammortizzati su un ammontare di contributi più elevato. Le autorità competenti dovrebbero perciò prevenire la proliferazione di schemi pensionistici di dubbia utilità e di costo sicuro e promuovere le fusioni di quelli già esistenti. In questo difficile compito, dovrebbero essere aiutate dalle rappresentanze di professionisti e di altre categorie di lavoratori.

FONDO CHE SCEGLI, COSTO CHE TROVI*

Si torna a parlare di introdurre per legge una forma di controllo dei prezzi dei prodotti previdenziali. Le scorciatoie non servono, lo ha dimostrato il Regno Unito. Invece la normativa dovrebbe garantire condizioni di partenza meno diseguali fra le diverse forme previdenziali, per avere un minimo di concorrenza nelle grandi e medie imprese. Non solo si ridurrebbero gli attuali differenziali, forse si riuscirebbe anche a raggiungere a costi contenuti quel gran numero di italiani che vuole ragionare delle proprie scelte di investimento con un consulente di fiducia.

PENSIONI

PARTITO DEMOCRATICO

La proposta principale del Pd in tema di pensioni è successiva alla presentazione del programma e prevede:

– Bonus medio annuo di 400 euro annui per le pensioni sotto ai 25mila euro; dai 250 ai 100 euro per pensioni tra 25mila e 55mila euro. Si effettua attraverso l’applicazione di maggiori detrazioni fiscali.

Non ci sono provvedimenti per coloro che hanno pensioni inferiori agli 8.675 euro (età maggiore 64 anni) perché il governo Prodi ha già previsto una somma aggiuntiva tra 336 e 504 euro dal 2007, denominata quattordicesima.

– Estensione della quattordicesima alla fascia dagli 8.675 ai 25mila euro.
– Indice del costo della vita calcolato dall’Istat per le famiglie di pensionati per monitorare l’adeguamento al costo della vita delle pensioni. Adeguamenti sulla base di un indice “di sostenibilità” dato dal rapporto tra monte salari dei lavoratori dipendenti e numero dei pensionati.

Per l’invecchiamento attivo: agevolazioni alle imprese che assumono gli over 50 a tempo indeterminato, incentivi ai lavoratori che prolungano l’attività lavorativa oltre l’età pensionabile, abolizione del divieto di cumulo tra pensione e retribuzione

Il costo è di 2,5 miliardi di euro l’anno; la copertura si dovrebbe avere attraverso la riduzione della spesa primaria e la valorizzazione del patrimonio.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

Il programma si riassume nella dichiarazione di Silvio Berlusconi del 25 marzo 2008: “Interverremo sulle pensioni più basse e le adegueremo al carovita”.

UDC

– Recupero potere d’acquisto delle pensioni dei dirigenti, dei quadri dell’industria del commercio e trasporti eccetera e dei dirigenti pubblici.
– Abolizione del provvedimento che azzera la perequazione delle pensioni nel 2008 (dell’ultima finanziaria), recuperando nel tempo l’importo dovuto
– Abolizione completa divieto di cumulo tra salari e pensioni
– Possibilità di versare volontariamente la contribuzione ordinaria per dirigenti che a causa di ristrutturazioni aziendali restano senza lavoro
La copertura si ha con il recupero di risorse attraverso risparmi dovuti, ad esempio, all’abolizione delle province.

SINISTRA ARCOBALENO

– Garantire una pensione netta non inferiore al 65 per cento dell’ultima retribuzione e comunque non inferiore ai 600 euro mensili (dal 2008). Tale cifra andrà rivalutata annualmente sulla base dell’inflazione reale.
– Incrementare attuali pensioni minime e basse fino a 800 euro netti.
– Rivalutare tutte le pensioni collegandole alla crescita della ricchezza del paese e calcolo dell’inflazione di riferimento sulla base di un paniere di beni essenziali.

– Tenere conto dell’anzianità e non solo dell’età nei criteri di accesso alla pensione.
– Riconoscimento di pensione anticipata ai lavori usuranti.
– Versamento volontario del Tfr all’Inps per tutti i lavoratori. Conferimento del Tfr ai fondi pensione reso reversibile.

COMMENTO

Il Pd, la Sinistra Arcobaleno e l’Udc hanno toccato un fenomeno importante: la progressiva erosione del potere d’acquisto delle pensioni che sono indicizzate al costo della vita, ma non alla crescita salariale. Problema, questo, particolarmente sentito per le pensioni più basse. Non ci sono chiare indicazioni sulla copertura della spesa addizionale.
In merito alle proposte, il Pd propone da una lato di dare dei bonus alle pensioni più basse e dall’altro di legare l’andamento delle pensioni, al rapporto tra monte salari e spesa pensionistica, correggendo per gli andamenti demografici.
Anche l’Udc si preoccupa degli adeguamenti al costo della vita, ma stranamente solo per alcuni gruppi di lavoratori, mentre la Sinistra Arcobaleno si spinge a riconsiderare la formula stessa del calcolo della pensioni proponendo l’inserimento di elementi “retributivi” nel sistema contributivo.
Ci sembra molto pericoloso reintrodurre elementi di spesa addizionali (come proposto dalla Sinistra Arcobaleno) che non sono necessariamente perequativi e che minano alla base l’equilibrio sostenibile del sistema contributivo che lentamente sta andando a regime.
Occorrerebbe anzi fare menzione dell’adeguamento più diretto alla accresciuta longevità, come previsto dalla legge del 1995.

TANTE NUOVE PROMESSE E UN’IDEA INNOVATIVA

Dopo la pausa pasquale e nonostante il visibile rallentamento della nostra economia, la campagna elettorale è ripresa a pieno ritmo all’insegna di nuove promesse, onerose per la finanza pubblica. Riusciranno mai i nostri politici a formulare proposte a costo zero per le casse dello Stato? La settimana scorsa l’Ocse ci aveva detto che, nel 2008, l’economia italiana crescerà dello 0,6 per cento circa; Questo significherebbe arrivare, senza toccare nulla, a bocce ferme, ad un rapporto deficit pil intorno al 2,5 per cento e quindi vicino a quella soglia del 3 per cento, parametro che non dobbiamo superare. Malgrado questi sviluppi, ecco immediatamente arrivare promesse di nuovi piani di spesa. Ieri Veltroni ha annunciato l’incremento delle pensioni, che peraltro non era nel programma del Partito Democratico; gli ha fatto subito eco Berlusconi anche lui promettendo aumenti delle pensioni. Bisognerebbe stare molto di più con i piedi per terra e quando si fanno delle promesse spiegare come verranno finanziate. C’è comunque un aspetto innovativo nella proposta del Pd, vale a dire l’idea di legare l’andamento delle pensioni, che oggi sono indicizzate al costo della vita, al rapporto tra monte salari e spesa pensionistica. E’ un’idea innovativa perché vuol dire che d’ora in poi i pensionati non si interesseranno soltanto di come vanno i prezzi, ma cercheranno anche di sostenere quelle riforme che dovessero aumentare l’occupazione e la produttività nel nostro paese.  E si potranno pagare pensioni più alte in termini reali solo nella misura in cui aumenta la produttività o il numero degli occupati o gli italiani lavorano più a lungo. Saranno incrementi, in altre parole, sostenibili, coerenti con l’equilibrio di lungo periodo dei nostri conti previdenziali.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La problematica dei rendimenti dei fondi pensione è strettamente intrecciata a quella dei costi dal momento che i rendimenti sono espressi al netto dei medesimi. In linea di massima, i rendimenti storici dei fondi pensione italiani sono stati abbastanza soddisfacenti. Se poi si tiene conto delle agevolazioni fiscali e della contribuzione addizionale del datore di lavoro la convenienza dei fondi rispetto al Tfr (che, non dimentichiamolo, in periodi di inflazione superiore al 6 per cento dà rendimenti negativi..) mi pare difficilmente confutabile. Certo, in una fase di turbolenza come quella che stiamo vivendo i rendimenti risentono pesantemente dell’andamento negativo dei mercati. Tuttavia, non esistono investimenti sicuri (pensiamo al mercato immobiliare statunitense…) e anche le regole della previdenza pubblica sono soggette a cambiamenti, a volte molto radicali e penalizzanti.
L’intento non deve essere dunque quello di demonizzare la previdenza privata, ma piuttosto di orientarla nella giusta direzione dal punto di vista:

a)      della trasparenza per quanto riguarda costi e rendimenti;
b)      della capacità di offrire strumenti di affinamento della consapevolezza degli aderenti (ad esempio, il progetto esemplificativo che stima annualmente la pensione complementare e che ora è divenuto obbligatorio), affiancati da opportuni meccanismi di guida alle scelte individuali, anche mediante default options;
c)      della necessità di regole di autodisciplina che gli operatori si impegnino a rispettare, soprattutto dal lato del contenimento dei costi.

Per quanto riguarda la gestione del portafoglio, il ricorso a forme di garanzia finanziaria è senz’altro auspicabile, soprattutto nelle fasi di caduta del mercato e in ogni caso quando l’aderente si avvicina alla pensione. Per i “silenti” la soluzione migliore, piuttosto che le forme di  garanzia oggi previste, sarebbe quella di prevedere per essi linee di default life cycle,  così come avviene negli Stati Uniti.
Tornando al tema dell’articolo, la tabella dell’Indicatore sintetico dei costi cui ho fatto richiamo  dimostra in tutta evidenza che è possibile trovare sul mercato prodotti assai convenienti a fianco a prodotti estremamente costosi. Non dimentichiamo, peraltro, che anche per i fondi negoziali la gestione finanziaria è svolta dagli stessi operatori di mercato (banche assicurazioni,SGR…) che offrono fondi aperti e PIP e pertanto i costi di gestione in un mercato concorrenziale dovrebbero essere destinati ad allinearsi. La vera differenza la fanno, salvo prova del contrario, i costi di distribuzione dei diversi prodotti. E’ un tema aperto e che meriterebbe ulteriori riflessioni.

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