Il provvedimento sulla competitività prevede un aumento dell’entità e della durata dei sussidi di disoccupazione, che oggi in Italia sono molto bassi. Quale sarà l’effetto di questo intervento su disoccupazione, livello medio dei salari e disuguaglianza salariale? La riforma, seppur indirizzata nella direzione giusta, non porterà cambiamenti significativi. Un impatto ben maggiore si otterrebbe riformando l’intera materia delle provvidenze finanziarie e normative conseguenti ai licenziamenti, in particolare la cassa integrazione.
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I risultati della sperimentazione del reddito minimo di inserimento non sono mai stati resi noti ufficialmente. Un’occasione persa dal punto di vista politico e scientifico, perché il dibattito su povertà ed esclusione sociale non può prescindere da un’accurata analisi della situazione effettiva e delle possibili soluzioni. Anche se i valori di uscita dall’assistenza non dovrebbero essere l’elemento esclusivo di valutazione dei progetti, solo la disponibilità di dati individuali consente una verifica approfondita. Come dimostrano i casi di Genova e Rovigo.
Il fondo nazionale è lo strumento per potenziare l’intervento verso i cittadini non autosufficienti. Servirebbe a incrementare le risorse, ma anche a razionalizzare gli interventi. Dopo un’iniziale attenzione al problema, il Governo non ha fatto seguire interventi concreti. Mentre l’opposizione deve chiarire come intende trovare le risorse per finanziare il fondo di cui sostiene oggi la necessità. D’altra parte, i bisogni sono sempre più diffusi e dunque un progetto politico orientato ai problemi concreti dovrebbe fare dei non autosufficienti una priorità.
Cambia la visione delle politiche sociali: non necessariamente un “onere” per il sistema economico, ma un ausilio essenziale all’esigenza di conciliare crescita economica e sviluppo sociale. A patto di privilegiare i problemi dell’infanzia e il sostegno ai genitori per coniugare responsabilità famigliari e professionali. Varare misure che facilitino il passaggio dall’assistenza al lavoro. Legare la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici a maggiori opportunità di lavoro e partecipazione sociale per gli anziani. Soprattutto in Italia.
La proposta di legge sull’affidamento condiviso dei figli in caso di separazione ha una chiara portata “culturale” in un paese come l’Italia, dove le responsabilità dei coniugi sono distribuite in misura ineguale e in forme spesso inefficienti, i padri affidatari sono pochi, mentre sono tanti quelli che non corrispondono l’assegno o lo fanno saltuariamente. Ma l’affidamento congiunto non può essere semplicemente imposto per legge. Meglio sarebbe stato adottare normative più pragmatiche ed eque al tempo stesso, come la legislazione sull’affidamento olandese o quella tedesca.
La riforma fiscale rafforza la tendenza a utilizzare la via fiscale come strumento principale di politica della famiglia e di sostegno ai redditi più modesti, mostrando tutti i limiti di questa scelta. E tra nuova Ire e Finanziaria, niente si dice della riforma degli ammortizzatori sociali, che avrebbe dovuto accompagnare la legge Biagi. Né del Rui, reddito di ultima istanza. L’Italia rimane così, con la Grecia, l’unico paese dell’Europa a quindici a non avere una misura di garanzia del reddito per i poveri, tra i quali ci sono anche molti minori.
La riforma fiscale del Governo e la proposta alternativa del centrosinistra non sembrano tenere conto di tre principi fondamentali. La redistribuzione si fa anche sul lato della spesa e non solo su quello del prelievo. In alcuni casi, come quello dei più poveri, si può fare solo sul lato della spesa. Un sistema che redistribuisce fortemente sul lato della spesa, può redistribuire di meno sul lato del prelievo e viceversa. Infine, la progressività di un sistema fiscale si misura sul complesso dei tributi e contributi, non solo sull’imposta sulle persone fisiche. Vincenzo Visco commenta l’articolo; la controreplica degli autori. Il mancato commento all’articolo da parte di Ermanno Gorrieri, scomparso da pochi giorni.
La riduzione fiscale a vantaggio delle famiglie con figli dovrebbe essere al centro della riforma fiscale. Più che una riduzione generalizzata delle aliquote, serve un misura permanente che incentivi la partecipazione femminile alla forza lavoro e la natalità. Per esempio attraverso una imposta negativa: una detrazione fiscale condizionata alla presenza di figli, a un reddito congiunto al di sotto di un limite da definirsi e al fatto che entrambi i componenti della coppia siano occupati.
Il processo di integrazione sociale europeo, varato a Lisbona, registra grandi progressi, soprattutto nella capacità di misurare e analizzare i fenomeni della povertà e della disuguaglianza. Timidi miglioramenti si sono avuti anche nei tassi di povertà e nei livelli di disuguaglianza. Rimane tuttavia molto lavoro da fare: ancora troppi cittadini europei vivono in condizioni di disagio. E nuovi fenomeni, come la povertà dei bambini e degli occupati, meritano di essere affrontati rapidamente e con efficacia.
Qual è l’impatto del processo di orientamento al mercato dei servizi pubblici sul bilancio delle famiglie italiane? In termini di tariffe, le riforme sembrano avere funzionato in modo imperfetto, ma almeno ragionevole. Crescono molto i prezzi dell’acqua. Mentre la spesa maggiore va in riscaldamento e varia notevolmente da Regione a Regione. Anche la quota di famiglie che ha “problemi di sostenibilità” per una o più delle utility di base sembra diminuire. Almeno finché l’Autorità dell’energia continuerà a proteggere i consumatori dai rincari del petrolio.