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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 58 di 71

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo per i commenti ricevuti, davvero molto numerosi. Questo articolo fornisce una replica complessiva, affrontando le critiche che sono state più frequentemente sollevate.

L’obiezione più ricorrente è quella secondo cui “anche altri” sono i problemi dell’università italiana. Indirettamente, questa critica conferma che il punto da noi sollevato merita attenzione. Siamo del resto ben consapevoli che ci siano altri nodi da risolvere nell’Università italiana. L’articolo aveva però la finalità di concentrarsi su un solo di questi aspetti: il numero di volte in cui un esame può essere sostenuto. La preparazione dei docenti, la qualità della didattica e della ricerca, l’adeguatezza delle strutture, l’eccessivo numero di corsi, la sovrapposizione dei programmi, la dubbia coerenza di taluni insegnamenti sono tutti temi già ampiamente dibattuti, anche su questo sito. Non averli menzionati non significa pensare che non siano parte del problema. A nostro avviso, però, una riforma del sistema degli esami nella direzione da noi indicata sarebbe una di quelle riforme a costo zero (anzi a risparmio) che indurrebbe infine vantaggi anche e soprattutto per gli studenti. Ci teniamo particolarmente ad enfatizzare il seguente punto. Crediamo che il circolo vizioso in cui ci ha trascinato la possibilità di appello infinito sia il seguente: il basso costo di ripetizione dell’esame induce molti studenti a tentare diverse volte l’esame senza davvero prepararsi adeguatamente per passare al primo colpo; questo, a sua volta, causa un ingolfamento nelle sessioni di appello, al quale molto spesso (purtroppo) molti professori reagiscono abbassando la qualità dell’esame: per non rivedere “le stesse facce” negli appelli successivi, agli studenti viene concesso poco tempo per dimostrare la loro preparazione e a volte essi sono promossi con il famoso 18 politico; questo alla fine genera frustrazione, senso di arbitrarietà e disaffezione verso lo studio: un problema che molti studenti intervenuti nei commenti hanno denunciato. Cosa cambierebbe con un sistema con pochi appelli? Noi crediamo che si innesterebbe un circolo virtuoso tra studenti più preparati e docenti più motivati, generando risultati negli esami che riflettono più fedelmente la preparazione di ciascuno.

Poiché però siamo parte in causa, cogliamo l’occasione per arricchire il “carnet delle riforme a costo zero”, come quella dell’esame unico, con la proposta della pubblicazione on line obbligatoria delle valutazione degli studenti al corso e al docente. Proprio perché auspichiamo un aumento della qualità dell’università italiana, siamo favorevoli alle valutazioni della nostra didattica e della nostra ricerca e non contrari. Come tanti altri giovani ricercatori, sogniamo – e ci aspettiamo – una progressione della nostra carriera basata sul merito. E la misurazione del merito deve passare necessariamente attraverso determinate valutazioni (degli studenti e anche ministeriali). Ci aspettiamo che gli studenti stessi si battano per promuovere il merito nelle Università. Certo, sarebbe auspicabile che anche il sistema di remunerazione dei docenti assecondasse in parte i “meriti didattici” degli stessi. Ad oggi nelle università dove le cose funzionano bene, i docenti trovano motivazioni (in termini di progressione di carriera, di accesso a fondi, etc.) nel fare ricerca mentre in quelle dove le cose vanno male i docenti non hanno alcun incentivo se non la propria volontà e senso del dovere. In entrambi i casi la qualità della didattica non trova spazio. Bisognerebbe trovare delle formule che incentivino i docenti ad essere sia dei bravi ricercatori che dei bravi insegnanti, con tutte le tensioni che un simile trade-off si porta appresso.
Alcuni commenti sottolineano poi che non sia possibile fare confronti con le realtà all’estero perché la realtà nostra è peculiare. Pur facendo salve le specificità del nostro sistema non possiamo però rinunciare a guardare cosa fanno gli altri (tutti gli altri) solo perché il confronto è imbarazzante. Senza scomodare il mondo anglosassone, sistemi universitari molto più vicini al nostro, come quelli tedesco e francese, non hanno l’anomalia dell’esame ad libitum che abbiamo noi. Da questo dato di fatto emerge la domanda: questa peculiarità è un vantaggio o uno svantaggio per gli studenti? Noi pensiamo che sia decisamente uno svantaggio.
Lo studente che si prepara seriamente all’esame dimostra capacità di apprendimento e senso di responsabilità. Questo studente non teme l’appello unico; egli potrebbe però temere la cattiva organizzazione degli appelli e siamo sorpresi che pochi commenti abbiano evidenziato questo fatto. Avere a distanza di pochi giorni (addirittura nello stesso giorno) esami molto impegnativi può essere scoraggiante o psicologicamente pesante per ogni studente (i patiti dei confronti con l’estero sappiano però che in Gran Bretagna – per esempio – questo è la norma). Crediamo che gli studenti debbano pretendere una distribuzione degli esami più razionale.

La critica secondo cui l’appello unico rischia di penalizzare troppo gli studenti è immotivata. Paradossalmente, anzi, rischia di favorirli fin troppo. Il timore è il seguente: se trovo il docente con la luna storta, verrò sicuramente bocciato. Questo ragionamento vale ovviamente per tutti gli studenti. Il risultato sarebbe un appello senza promossi. Cosa potrebbe accadere l’anno seguente? Nota la severità (o lunaticità) del docente, il suo corso, se non addirittura la sua facoltà, non raccoglierebbero più iscritti. Per evitare questo rischio, i docenti potrebbero forse rendere addirittura fin troppo semplice l’esame, per non scoraggiare i nuovi studenti. In mezzo a questi due estremi, crediamo che con l’appello unico si avrebbero una buona percentuale di studenti promossi e piccole percentuali di studenti bocciati e promossi con lode.

Molte obiezioni riguardano gli studenti lavoratori. Lo studente lavoratore in genere è fuori corso non perché prenda poco seriamente gli esami (per la nostra esperienza infatti, l’impegno e la motivazione di uno studente lavoratore sono mediamente superiori a quelli di uno studente non-lavoratore) ma perché spesso i corsi di laurea sono pensati ed organizzati solo per studenti a tempo pieno.  A nostro avviso la strada da percorrere è quella battuta dall’università di Trento che chiede agli studenti diverse modalità di iscrizioni a seconda che essi siano studenti full o part time. Da questi ultimi ci si aspetta ovviamente ritmi di progressione più lenti, ma questo ha poco o nulla a che fare con la cadenza degli appelli e la possibilità di ripetere gli esami all’infinito e rifiutare i voti positivi. Un’obiezione simile vorrebbe che una riforma siffatta bloccasse l’accesso delle classi meno abbienti all’università. Francamente ci sembra un passaggio ardito. Crediamo che chiedere agli studenti di prepararsi bene per l’esame e programmare con un po’ più di anticipo questa preparazione sia benefico in primo luogo per gli studenti stessi, che infine riuscirebbero, nella maggioranza dei casi, a finire il loro percorso in minor tempo. Sono anzi gli studenti delle classi più abbienti quelli che possono concedersi di rimanere parcheggiati in Università ed espugnare infine un titolo con la strategia della stanchezza solo perché l’istituzione non vede l’ora di liberarsi di loro. A questo ultimo punto si collega una metafora usata in uno dei commenti che ci è piaciuta molto: la metafora sullo studio universitario inteso come “corsa” opposta allo studio visto come “tiro al bersaglio”. Facciamo solo notare che anche nelle gare di tiro al bersaglio vi è un tempo massimo oltre al quale l’avere fatto centro o meno perde di significato.

LA LOTTERIA ITALIA DEGLI ESAMI

In Italia è molto semplice per gli studenti ripetere più volte un esame universitario finché non lo  passano, magari con un buon voto. Ma tutto ciò ha costi alti. Per gli stessi studenti perché si allunga il percorso di studio. Per i docenti che all’esamificio devono dedicare tempo e risorse. E alla fine, poi, si toglie ogni contenuto informativo al voto di laurea. La soluzione è una riduzione drastica degli appelli. Ma potrebbe funzionare anche un innalzamento delle tasse per i “ripetenti” e i fuoricorso.

GLI ITALIANI PREFERISCONO LE HOSTESS

Mi spiegate il mistero? Sull’Alitalia si sono versati fiumi di inchiostro, migliaia di ore di interviste, i sindacati combattono come gli ultimi giapponesi nella giungla, i politici si scannano e ci costruiscono sopra campagne elettorali. I media volteggiano frenetici. Eppure, stiamo parlando di una compagnia decotta da anni, che è costata fiumi di denaro ai contribuenti, che offre un pessimo servizio e che oltretutto coinvolge relativamente poco i cittadini. La metà degli italiani un aereo probabilmente non l’ha mai preso, e gli altri quando possono evitano Alitalia, visto i prezzi. Quanto ai lavoratori in esubero poi, con tutto il rispetto per la loro situazione, si tratta infine di poche migliaia di persone, oggettivamente privilegiati prima e ora comunque protetti dalla rete degli ammortizzatori sociali rafforzata dal governo proprio per loro. In più, molti sono altamente specializzati, e non avranno eccessivi problemi a trovare un nuovo lavoro. Negli stessi giorni dello psicodramma Alitalia, è stata annunciata la riduzione di 90.000 insegnanti in un triennio (dicesi, novantamila). Già è una categoria mal pagata e bistrattata, ora il taglio colpirà soprattutto i precari. Ammortizzatori sociali? Nessuno, nonostante i costi sociali siano multipli interi rispetto al caso Alitalia. E sì che si tratta di lavoratrici (sì, perché sono quasi tutte donne) impegnate in un servizio fondamentale che direttamente o indirettamente coinvolge, tra utenti, figli, e nipoti, la quasi totalità delle famiglie italiane. Eppure i sindacati pigolano debolmente, i politici al più scrollano le spalle, e i media vi dedicano qualche annoiato servizio, tra l’antipasto e la cena. Al di là del giudizio sulle scelte di politica economica, non è un po’ strano? Non sarà un altro esempio dello strabismo dell’opinione pubblica italiana? Oppure, è che il glamour delle insegnanti non può competere con quello delle hostess?

SE IL DECENTRAMENTO VA A SCUOLA

La bozza Calderoli menziona esplicitamente l’istruzione tra le competenze regionali da finanziare con la nuova riforma. Contenuti degli insegnamenti e altre norme generali del servizio scolastico restano funzioni esclusive dello Stato, alle Regioni sarebbe devoluta la spesa per il personale. Si potrebbero così risolvere i gravi problemi di coordinamento tra livelli di governo. E nel lungo periodo arrivare a una definizione territoriale degli stipendi più in linea con l’effettivo costo della vita. Ma tutto ciò dovrebbe essere accompagnato da un sistema di sanzioni adeguato e effettivamente perseguito.

IL MAESTRO UNICO? NON TORNI PER DECRETO

La controriforma proposta dal ministro Gelmini con il maestro unico, è meritevole di una discussione non preconcetta. Soprattutto, ricordando che del tutto inadeguata fu invece la riflessione sui costi e benefici della riforma introdotta con la legge 148/90, essenzialmente per motivi occupazionali. Nulla giustifica, tuttavia, il ricorso al decreto legge.

ELEMENTARE, GELMINI!

Pedagogisti e scienziati dell’educazione discutono da decenni vantaggi e svantaggi del maestro unico. Ed è vero, come dice Bossi, che “Se c’è un solo insegnante è più facile che si rovini il bambino”. Ma sulla scuola bisogna comunque rifiutare l’immobilismo e intervenire per migliorarla. Tenendo conto del livello qualitativo attuale. Ecco in che modo.

COME DARE RISORSE AI MIGLIORI

Dalla premessa condivisibile che l’università italiana disperde risorse preziose e le utilizza in modo inefficiente, avrebbe dovuto seguire un piano per stimolare l’impegno dei docenti e istituire incentivi adeguati. Invece, ancora una volta si è deciso di distribuire i tagli in modo uniforme tra tutti gli atenei. Ecco alcune proposte concrete per incidere sul potere delle lobby accademiche. Se attuate, darebbero almeno la speranza che in futuro la distribuzione delle risorse premierà il merito.

QUANDO SI TAGLIA LA SPESA DELLE UNIVERSITÀ

La manovra economica del governo ha ridotto il Fondo di finanziamento ordinario delle università del 19,7 per cento in cinque anni. Le strategie che gli atenei potranno adottare per sopperire alla diminuzione delle risorse avranno ripercussioni sull’accesso agli studi universitari e sulla ricerca. Se l’obiettivo era limitare la spesa per il personale, si poteva intervenire solo sulle sedi che ne hanno in eccesso. Nel frattempo, l’annuncio dei tagli ha provocato una vera e propria corsa alla spesa.

LA SCUOLA ITALIANA TRA NOSTALGIE E CRISI DI IDENTITÀ

Grazie a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sulla crisi di identità della scuola italiana e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola italiana. Non che siano particolarmente promettenti. Oscillano tra passatismo e irrilevanza. Speriamo in qualche ripensamento. Senza dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al suo futuro.

 

I NUMERI DELL’UNIVERSITA’ DI MASSA

In quarant’anni il rapporto tra laureati e coetanei è passato in Italia dal 5,7 al 40,6 per cento. Aumentato in assoluto e ancor più in rapporto alle coorti di popolazione di pari età il numero di coloro che conseguono la maturità. Mentre la quota di maturi che si iscrive all’università non cambia molto nel tempo. La quota di matricole che consegue la laurea si avvicina oggi al 73 per cento. Un ruolo fondamentale l’hanno avuto le evoluzioni dell’offerta universitaria. E sistemi di finanziamento legati al numero di iscritti e laureati. Ora è tempo di pensare alla qualità.

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