Prima di rifinanziare i progetti di incentivazione alla diffusione della cultura informatica tra i giovani italiani, andrebbero valutati i risultati ottenuti con le iniziative già attuate. L’effetto di alfabetizzazione addizionale sembra infatti aver riguardato solo il 3 per cento dei sedicenni. Se invece gli incentivi fossero assegnati casualmente a persone “simili”, non solo per età, ma anche per background familiare e livello di istruzione, l’eventuale variazione delle abilità informatiche potrebbe essere ascritta più rigorosamente alla partecipazione al programma.
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In Italia la transizione dalla fine della formazione al primo impiego è tra le più lunghe fra i paesi Ocse. Né risultati migliori si hanno nelleducazione permanente. Così come sono pochi gli studenti che lavorano. Perché manca nel nostro paese una cultura che leghi formazione e attività lavorativa. Occorre perciò ripensare limpostazione dellinsegnamento secondario superiore, per valorizzare listruzione tecnica e professionale. E le modalità di alternanza tra scuola e lavoro vanno concepite e gestite con le aziende.
La riforma degli ordinamenti didattici per l’università voluta dal ministro Moratti perpetua gli errori del precedente governo. Resta intatto il disegno tecnocratico e razional-sinottico. Così come rimane la complessità e inutilità dei troppi adempimenti burocratici. Cambiano solo alcune regole che non riescono però a permettere una valutazione dei corsi di studio basata sull’analisi delle reali capacità di offrire contenuti formativi. Né garantiscono un sistema dei crediti trasparente e capace di incentivare la mobilità degli studenti.
In Gran Bretagna si rafforzano i meccanismi competitivi che negli ultimi quindici-venti anni hanno portato grandi benefici al sistema universitario, permettendo alle risorse di essere allocate laddove sono più produttive. Anche in Italia, alle università dovrebbe essere concessa piena libertà sulle rette e sul modo di utilizzarle, con lunico obbligo di pubblicizzare la destinazione dei fondi aggiuntivi. Si creerebbe così una benefica competizione non solo fra atenei, ma anche fra dipartimenti di una stessa sede.
Secondo dati desunti dallinchiesta sulle famiglie della Banca dItalia, il 24 per cento degli studenti universitari italiani proviene dal 20 per cento più ricco delle famiglie. Solo l8 per cento appartiene al 20 per cento più povero. Nel Sud la disparità è ancora più evidente. Nel sistema attuale la fiscalità generale finanzia prevalentemente lo studio dei ricchi. Un aumento delle tasse universitarie, accompagnato da meccanismi di finanziamento per i meno abbienti, servirebbe anche ad accrescere lefficienza degli atenei.
Si occuperà di bio-nanotecnologie, scienze neurali, automazione e robotica, settori di frontiera e ad alta ricaduta applicativa. Sarà una struttura snella, de-burocratizzata e autonoma, basata su criteri meritocratici, che dovrà contare anche su finanziamenti privati. Perché la sfida dellIstituto italiano di tecnologia è innovare il sistema della ricerca nel nostro paese, stimolando la competizione e mettendo in rete le realtà di eccellenza. Così da consentire allItalia di mantenere un ruolo primario nel gruppo dei paesi più avanzati anche prossimi decenni.
Concludiamo la pubblicazione delle risposte di partiti e coalizione ai quesiti che avevamo formulato in vista delle elezioni europee. La scheda su Università e ricerca chiedeva quali strumenti dare alla ricerca europea per consentirle di svolgere il ruolo di stimolo alla crescita di lungo periodo: creare centri di eccellenza sopranazionali o finanziare le università dei singoli paesi, come è stato finora? E sui finanziamenti, quali voci del bilancio dell’Ue ridurre per aumentare gli stanziamenti alla ricerca? Come incoraggiare lintervento dei privati?
La valutazione del sistema scolastico è un tema caro allattuale ministero dellIstruzione. Eppure la legge di riforma mette in secondo piano il controllo esterno dei risultati raggiunti da studenti e scuole. Affida infatti agli insegnanti la verifica delle competenze, lasciando allInvalsi solo quella sulle conoscenze. Il rischio è una sostanziale autoreferenzialità di docenti e istituti scolastici. Rilevare e misurare in modo oggettivo le competenze è complesso, ma è lunica strada per affermare una cultura della valutazione seria e scientificamente fondata.
La Riforma Moratti non nega la validita’ di principi generali, ribaditi dal piu’ recente dibattito pedagogico. Come l’integrazione fra insegnamento delle materie di base con quelle le attivita’ laboratoriali, la costruzione di relazioni continuative e stabili, la garanzia di una pluralita’ dei modelli cognitivi e di una molteplicita’ degli stili di insegnamento. Abbandona pero’ il tempo pieno non modularizzato e con l’insegnante unico introduce un modello organizzativo che ne impedisce la concreta attuazione.