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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 70 di 71

La lunga marcia verso il dottorato

Diventa sempre più ampio il divario tra dottorato italiano e estero. Troppi gli anni necessari nel nostro paese per conseguirlo e insufficiente il bagaglio di strumenti offerto agli studenti per svolgere ricerca avanzata. Per competere a livello internazionale, una soluzione possibile è proporre programmi modellati sugli standard stranieri, rinunciando ai finanziamenti ministeriali per cercarli nel settore privato. Ma serve coraggio, da parte delle università, dei dottorandi e delle imprese.

Guardare al centro

Alla maggiore autonomia concessa agli atenei non è corrisposto un adeguato rafforzamento delle competenze e delle capacità di indirizzo del centro del sistema. Se rimane immutato l’attuale meccanismo di autogoverno delle università, basato sulla rappresentanza democratico-corporativa, intervenire su vincoli e incentivi non è sufficiente per ottenere una vera riforma. È necessario invece mettere in discussione gli assetti istituzionali, come dimostra anche l’esperienza di altri paesi europei.

La sfida dell’innovazione organizzativa

In Italia il ruolo della sola ricerca e sviluppo nell’accelerazione del processo di sostituzione di lavoro poco qualificato con quello qualificato è marginale. Più impatto ha invece l’innovazione organizzativa, ovvero l’introduzione di significativi cambiamenti nelle funzioni interne all’impresa. Servono perciò maggiori investimenti in tecnologie digitali, che consentono innovazioni di prodotto e di processo, ma anche organizzative. E va promosso il riorientamento del sistema scolastico verso competenze generaliste e capacità logiche e relazionali.

Dibattito sull’Iit

Continua sul nostro sito il dibattito sull’ Iit. Riproponiamo per i nostri lettori i contributi di Aberto Alesina e Francesco Giavazzi, Luigi Spaventa, Giovanni Peri, Massimiliano Tani,Tullio Jappelli e Marco Pagano, Renato Bozio e Guglielmo Weber e Daniele Checchi assieme ai numerosi commenti pervenuti.

Che fare dell’università

Una riforma radicale è certo necessaria, ma sostenere che il sistema universitario deve essere abbandonato al suo destino di mediocrità serve solo a scoraggiare l’opera dei tanti che continuano a dedicarsi alla formazione degli studenti con passione e dedizione, come testimoniano le brillanti carriere estere di molti laureati italiani. Mentre nutrire qualche dubbio sull’Istituto italiano di tecnologia è legittimo, se non altro per la vaghezza della legge che lo istituisce.

Cervelli in transito

Comunicazioni e collegamenti più rapidi e più facili rendono meno definitive le “fughe” di scienziati e studiosi dal paese di nascita. E più che all’emigrazione, dovremmo guardare all’interscambio di capitale umano tra un paese e l’altro e alla mobilità delle idee. Per beneficiare delle innovazioni e delle conoscenze generate a livello internazionale e necessarie al suo sviluppo economico, l’Italia potrebbe allora favorire il passaggio di ricercatori stranieri sul proprio territorio.

La riforma impossibile

I tentativi di modificare in meglio l’università italiana si sono trasformati in altrettanti fallimenti. E continuare a credere che il sistema sia riformabile è un’illusione che avvantaggia chi vuole conservare lo status quo. È necessario invece puntare su istituzioni nuove, come l’Iit, che possano contare su finanziamenti adeguati, ma soprattutto siano libere da ogni legame con l’attuale establishment accademico. Solo così avremo il rigore, i controlli e gli incentivi necessari alla ricerca scientifica di livello internazionale.

Iit, un buon primo passo

L’evidenza empirica dimostra un grave ritardo dell’Italia nella ricerca scientifico-tecnologica. Perché il sistema non riesce a generare i giusti incentivi e investimenti. La nascita dell’Istituto di tecnologia potrebbe perciò avviare un benefico processo di competizione con i centri di eccellenza già presenti nel nostro Paese. A patto che, sull’esempio di altri “Institutes of Technology” di successo, sappia attrarre finanziamenti dai privati e sia gestito in modo autonomo da scienziati.

Perché anche l’Iit non cambierà nulla

Il progetto Iit nasce zoppo. Troppo esigue le risorse assegnate per incidere sul divario degli investimenti in ricerca e sviluppo che separa l’Italia dagli altri paesi. Troppa la distanza dal sistema di ricerca preesistente per costruire soluzioni alternative ai mali cronici che affliggono la ricerca nazionale, come l’assenza di meritocrazia, ma anche per costituire un reale effetto di incentivo in grado di attivare maggior concorrenza. Difficile che riesca ad attivare un intreccio virtuoso tra formazione avanzata e ricerca.

L’Iit, opportunità o pericolo?

L’Istituto italiano di tecnologia potrà avere un ruolo positivo se saprà trovare finanziamenti importanti anche al di fuori del settore pubblico. E se saprà interagire con il sistema delle imprese e i centri di eccellenza già esistenti in Italia. Determinanti anche la scelta della sede e la struttura organizzativa. Se queste condizioni saranno soddisfatte, potrà raggiungere l’obiettivo di sviluppare ricerca di altissimo livello e di generare nel medio periodo ricadute tecnologiche interessanti per l’industria.

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