Diventa sempre più ampio il divario tra dottorato italiano e estero. Troppi gli anni necessari nel nostro paese per conseguirlo e insufficiente il bagaglio di strumenti offerto agli studenti per svolgere ricerca avanzata. Per competere a livello internazionale, una soluzione possibile è proporre programmi modellati sugli standard stranieri, rinunciando ai finanziamenti ministeriali per cercarli nel settore privato. Ma serve coraggio, da parte delle università, dei dottorandi e delle imprese.
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Alla maggiore autonomia concessa agli atenei non è corrisposto un adeguato rafforzamento delle competenze e delle capacità di indirizzo del centro del sistema. Se rimane immutato lattuale meccanismo di autogoverno delle università, basato sulla rappresentanza democratico-corporativa, intervenire su vincoli e incentivi non è sufficiente per ottenere una vera riforma. È necessario invece mettere in discussione gli assetti istituzionali, come dimostra anche lesperienza di altri paesi europei.
In Italia il ruolo della sola ricerca e sviluppo nellaccelerazione del processo di sostituzione di lavoro poco qualificato con quello qualificato è marginale. Più impatto ha invece linnovazione organizzativa, ovvero lintroduzione di significativi cambiamenti nelle funzioni interne allimpresa. Servono perciò maggiori investimenti in tecnologie digitali, che consentono innovazioni di prodotto e di processo, ma anche organizzative. E va promosso il riorientamento del sistema scolastico verso competenze generaliste e capacità logiche e relazionali.
Continua sul nostro sito il dibattito sull’ Iit. Riproponiamo per i nostri lettori i contributi di Aberto Alesina e Francesco Giavazzi, Luigi Spaventa, Giovanni Peri, Massimiliano Tani,Tullio Jappelli e Marco Pagano, Renato Bozio e Guglielmo Weber e Daniele Checchi assieme ai numerosi commenti pervenuti.
Una riforma radicale è certo necessaria, ma sostenere che il sistema universitario deve essere abbandonato al suo destino di mediocrità serve solo a scoraggiare lopera dei tanti che continuano a dedicarsi alla formazione degli studenti con passione e dedizione, come testimoniano le brillanti carriere estere di molti laureati italiani. Mentre nutrire qualche dubbio sullIstituto italiano di tecnologia è legittimo, se non altro per la vaghezza della legge che lo istituisce.
Comunicazioni e collegamenti più rapidi e più facili rendono meno definitive le fughe di scienziati e studiosi dal paese di nascita. E più che allemigrazione, dovremmo guardare allinterscambio di capitale umano tra un paese e laltro e alla mobilità delle idee. Per beneficiare delle innovazioni e delle conoscenze generate a livello internazionale e necessarie al suo sviluppo economico, lItalia potrebbe allora favorire il passaggio di ricercatori stranieri sul proprio territorio.
I tentativi di modificare in meglio luniversità italiana si sono trasformati in altrettanti fallimenti. E continuare a credere che il sistema sia riformabile è unillusione che avvantaggia chi vuole conservare lo status quo. È necessario invece puntare su istituzioni nuove, come lIit, che possano contare su finanziamenti adeguati, ma soprattutto siano libere da ogni legame con lattuale establishment accademico. Solo così avremo il rigore, i controlli e gli incentivi necessari alla ricerca scientifica di livello internazionale.
Levidenza empirica dimostra un grave ritardo dellItalia nella ricerca scientifico-tecnologica. Perché il sistema non riesce a generare i giusti incentivi e investimenti. La nascita dellIstituto di tecnologia potrebbe perciò avviare un benefico processo di competizione con i centri di eccellenza già presenti nel nostro Paese. A patto che, sullesempio di altri Institutes of Technology di successo, sappia attrarre finanziamenti dai privati e sia gestito in modo autonomo da scienziati.
Il progetto Iit nasce zoppo. Troppo esigue le risorse assegnate per incidere sul divario degli investimenti in ricerca e sviluppo che separa lItalia dagli altri paesi. Troppa la distanza dal sistema di ricerca preesistente per costruire soluzioni alternative ai mali cronici che affliggono la ricerca nazionale, come lassenza di meritocrazia, ma anche per costituire un reale effetto di incentivo in grado di attivare maggior concorrenza. Difficile che riesca ad attivare un intreccio virtuoso tra formazione avanzata e ricerca.
LIstituto italiano di tecnologia potrà avere un ruolo positivo se saprà trovare finanziamenti importanti anche al di fuori del settore pubblico. E se saprà interagire con il sistema delle imprese e i centri di eccellenza già esistenti in Italia. Determinanti anche la scelta della sede e la struttura organizzativa. Se queste condizioni saranno soddisfatte, potrà raggiungere lobiettivo di sviluppare ricerca di altissimo livello e di generare nel medio periodo ricadute tecnologiche interessanti per lindustria.