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DECALOGO PER UN CALCIO SENZA TRUCCHI

Sembra serpeggiare un’aria di rassegnazione tra i vertici dello sport italiano di fronte alle partite truccate dagli stessi calciatori per favorire gli scommettitori. Eppure qualcosa si può fare. soprattutto dall’interno del mondo del calcio. Ecco dieci proposte che potrebbero essere immediatamente sperimentate. Dalle sanzioni più severe per chi commette illeciti ai premi per chi ne denuncia il tentativo. Dalla riforma dei campionati alla revisione della ripartizione dei diritti tv, passando per autorità di controllo davvero indipendenti.

 

PERCHÉ IL CALCIO LITIGA SUI SOLDI DELLA TV

La Lega calcio si è spaccata sui criteri di ripartizione dei diritti tv. Con il ritorno alla contrattazione collettiva si tratta per il prossimo campionato di 805 milioni contro i 673 di quest’anno. Un’eccessiva perequazione rende magari avvincente il campionato italiano, ma nel medio-lungo periodo penalizza le squadre italiane in Champions League, dove si confrontano con rivali dalle risorse ben maggiori. Il modello della Superlega, rilanciato dai grandi club, comporterebbe una modifica radicale dell’intero sistema sportivo. E una regolamentazione forse ancora più stringente.

QUANDO GALLIANI DÀ LEZIONI DI CONFLITTO DI INTERESSI

Curiosa polemica tra il Ct della Nazionale italiana, Cesare Prandelli e il vicepresidente esecutivo del Milan, Adriano Galliani. Prandelli, in un’intervista, aveva dichiarato che quest’anno avrebbe visto con favore una vittoria del Napoli nel campionato di serie A. Galliani, coinvolto con la sua società nella lotta scudetto, si è molto risentito e ha chiamato il diretto superiore di Prandelli, il presidente della Fgci, Giancarlo Abete, dicendo che era inammissibile che il Ct tifasse per qualcuno. Prandelli ha fatto subito retromarcia, dichiarando di essere stato frainteso dai media. Ma perché il Ct non può tifare per qualcuno? Che danni può arrecare alla regolarità del campionato? Al massimo può far giocare in Nazionale qualche partita in più ad alcuni giocatori rispetto ad altri. Dato che il contributo del Milan alla Nazionale italiana è al momento limitato, Prandelli può fare ben poco per cambiare i valori in campo. Si dirà: non importa il numero di giocatori del Milan in Nazionale, è una questione di principio. Benissimo. Sorprendente però che questa difesa di sani  principi provenga da Galliani, che ha rivestito il ruolo di Presidente della Lega calcio dal 2002 al 2006. La Lega calcio, per chi non lo sapesse, organizza i tornei come la serie A e la Coppa Italia, stabilendo, ad esempio, anticipi e posticipi e vendendo anche alcuni diritti televisivi. La cosa notevole è che Galliani, nel periodo in cui è stato Presidente della Lega, ha mantenuto il ruolo di numero uno (almeno di fatto) del Milan. Quindi aveva, almeno in teoria, una capacità di incidere sullo svolgimento dei tornei ben più elevata di quella del Ct, a favore della sua squadra. Qualcuno obietterà: ma Galliani è stato eletto dai presidenti delle società che sapevano del suo conflitto di interesse. Poiché tutti sapevano del suo conflitto di interesse, Galliani non poteva fare nulla a favore del Milan. Chissà perché, questa mi pare di averla già sentita usare da qualcun altro.  

ANCHE I CAMPIONI VANNO IN PARADISO. FISCALE

Perché i calciatori, specialmente quelli bravi, scelgono la squadra di un paese invece che di un altro? Perché guardano il regime di tassazione in vigore e optano per quello più conveniente. Così quando la Spagna ha introdotto la legge Beckham nel 2004, la quota di calciatori stranieri nel campionato spagnolo ha iniziato a divergere immediatamente e in modo sostanziale dalla quota di calciatori stranieri presenti nel nostro. Più in generale, la tassazione ha un chiaro effetto sulla migrazione internazionale e un effetto di selezione del lavoro altamente qualificato.

Una normale domenica di sciopero

Lo sciopero proclamato dall’’associazione sindacale dei calciatori è una normale azione di lotta, messa in atto per protestare contro l’’atteggiamento della controparte che vuole imporre nuove regole, ritenute contrarie agli interessi dei lavoratori del mondo del calcio.

NON SONO TUTTI ETO’O

Nonostante il tentativo di mediazione della Federazione, si sono rotte le trattative tra la Lega di serie A e l’’Associazione italiana calciatori per il rinnovo del contratto di lavoro dei calciatori, da tempo scaduto. In particolare, il sindacato calciatori s’’è rifiutato di trattare su due materie, ritenendo del tutto irricevibili le proposte avanzate dalla Lega.
Ora, al di là del merito della questione, va sottolineata l’’assoluta normalità della vicenda se la si colloca sul giusto piano delle relazioni industriali e segnatamente del dialogo tra rappresentanze degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro. La risonanza mediatica di quest’’avvenimento deriva dalla circostanza che il calcio rappresenta lo sport nazionale e televisivo per eccellenza, che genera un enorme business. Ma non va trascurato che i calciatori sono dei lavoratori subordinati come tutti gli altri e come tutti gli altri hanno il diritto di difendere le loro aspettative, anche con lo strumento dello sciopero. È pertanto erronea la posizione di chi sostiene che i calciatori, in quanto “milionari”, non dovrebbero scioperare. Anzitutto, va messo in evidenza che non tutti i calciatori professionisti hanno ingaggi particolarmente elevati, tali da giustificare appunto l’appellativo di milionario. Peraltro, la lievitazione dei compensi dei calciatori è da imputare alle stesse società datrici di lavoro che, pur di accaparrarsi i soggetti più prestigiosi, non hanno badato a spese. E così è sorprendente che ora tanti presidenti di serie A gridino allo scandalo solo perché i calciatori non vogliono accettare regole ritenute peggiorative della loro condizione. Parafrasando la battuta di un celebre film, si potrebbe dire loro: “è il mercato, bellezza, e tu non puoi farci niente”.
Inoltre, non va trascurato che al di fuori dell’’area professionistica, definita in modo autonomo dalla Federazione, operano i cosiddetti calciatori dilettanti che, in realtà, dilettanti non sono, ma sono bensì professionisti di fatto. Nell’’area dilettantistica limitrofa a quella professionistica, gli sportivi svolgono l’attività alla stregua di un vero e proprio lavoro, come i colleghi della zona più elevata, anche se non hanno il riconoscimento del relativo status. E le tutele, per quanto limitate, di cui godono questi professionisti di fatto, sono state ottenute grazie alla pressione dell’’Associazione italiana calciatori e quindi dei calciatori professionisti riconosciuti come tali. In sostanza, secondo una tradizione consolidata delle relazioni industriali, la maggiore forza contrattuale di alcuni lavoratori ha permesso di difendere anche quelli più deboli. Ciò dimostra quanto sia ancora importante l’’azione collettiva e quindi il ruolo del sindacato per estendere e diffondere la solidarietà nel mondo del lavoro.

Perché il calcio chiude per sciopero

Nella vicenda del rinnovo del contratto dei calciatori, torti e ragioni non stanno da una sola parte. Per esempio, hanno ragione le società sugli allenamenti separati per i fuori rosa. Mentre appaiono corrette le obiezioni dei calciatori alle nuove regole sui trasferimenti. Lo sciopero forse può essere ancora evitato, ma occorre che entrambe le parti siano disposte a fare delle concessioni. Ma se sciopero sarà, come sarà calcolata la trattenuta sullo stipendio? Si possono considerare questi atleti alla stregua dei lavoratori?

 

Se il campionato si ferma per sciopero

La minaccia di uno sciopero pende sul campionato di calcio. In discussione c’è il nuovo contratto di lavoro e due sono i punti di disaccordo: il diritto dei calciatori che non rientrano più nei piani delle società di allenarsi insieme al resto della rosa e la rescissione del contratto in caso di rifiuto del trasferimento a un altro club nell’ultimo anno di contratto. E se non è facile per i normali cittadini comprendere le ragioni dei giocatori, è anche difficile avere simpatia per chi ha liberamente sottoscritto un contratto e vorrebbe poi uscirne senza pagare le conseguenze.

Nel calcio vince la diversità

Circola la tesi che la magra figura della Nazionale ai Mondiali sudafricani sarebbe dovuta alla presenza di molti giocatori stranieri nelle squadre italiane. Ma se si guarda ai dati dell’ultimo campionato si vede che i club più eterogenei in termini di nazionalità dei calciatori tendono a segnare più goal rispetto a quelli più omogenei. Insomma, se adeguatamente gestita, la diversità offre opportunità di interazione e complementarietà di approcci, culture e sensibilità diverse, con effetti virtuosi su creatività e risultati. E non solo nel calcio.

Mai dire dimissioni

Al Mondiale sudafricano, nessuno ha ancora vinto, ma molti hanno già perso. Italia e Inghilterra hanno fallito sul campo. La Fifa nel suo arroccamento contro l’introduzione di qualsiasi tecnologia che possa coadiuvare gli arbitri nelle decisioni su situazioni dubbie. E i risultati si sono visti domenica. Eppure, nessuno dei responsabili dei fallimenti si è dimesso. Non lo hanno fatto i vertici della Figc italiana, né Capello che ha sottoscritto un contratto milionario per allenare gli inglesi. Né tanto meno il capo della Federazione internazionale Blatter.

Italia fuori. E Calderoli nel pallone

Nell’ansia di semplificare, il ministro per la Semplificazione Calderoli ha trovato, immediatamente dopo l’eliminazione dell’Italia ai Mondiali di calcio, la diagnosi e la terapia dei problemi delle nostre squadre: troppi stranieri sui campi italiani e pochi giocatori allevati nei vivai nazionali. In realtà l’esperienza italiana e di altri paesi lo smentisce. I veri problemi del calcio italiano, seri e strutturali, sono gli stadi inadeguati e l’eccessiva dipendenza dei ricavi dalla televisione, aggravati da una mancanza di leadership a livello di Lega e Federazione.

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