Il populismo – vincente nell’era dei social network – si alimenta del negazionismo economico, la dottrina che considera l’economia un “pensiero unico”, diffida degli esperti e confeziona scorciatoie illusorie e senza fondamento. Riflettiamo su quello che possono fare economisti e giornalisti per sradicare questi pregiudizi. Uno dei compiti più urgenti è migliorare l’analisi e la comprensione delle disuguaglianze economico-sociali, oggi – più di ieri – ai primi posti nell’agenda di chi fa ricerca.
Sotto il tiro incrociato di Lega e M5s, la riforma previdenziale Fornero rischia di essere presto stravolta. Si potrebbe pensare di offrire la possibilità di uscita anticipata dal lavoro corrispondendo pro rata la parte contributiva della pensione e rimandando la parte retributiva al compimento dell’età pensionabile.
Nel Regno Unito da sette anni le scuole possono diventare autonome dal governo. L’esperienza di queste “academy” suggerisce che per migliorare la qualità dell’istruzione più dell’indipendenza conta il modello di governance adottato. La nostra Buona scuola – per meritarsi l’aggettivo “buona” – dovrebbe tenerne conto.
Gli italiani creano ogni anno migliaia di startup innovative. Il loro sviluppo rimane però appeso a un filo, non tanto perché manchino incentivi mirati su di loro (ci sono) quanto perché il paese non offre un ambiente più favorevole per le imprese. Ne beneficerebbero soprattutto quelle più giovani.
I membri della generazione X – nata tra il 1966 e l’80 – hanno beneficiato della diffusione dell’istruzione ma rischiano di invecchiare in condizioni peggiori dei baby boomer. Anche perché subiranno le conseguenze della crisi degli ultimi anni. Serve che la politica cominci a pensare a loro per tempo.
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Uno studio appena pubblicato indica che si possono calcolare con precisione gli effetti del contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs act. Più flessibilità ha portato le imprese sopra i 15 addetti a un +50 per cento di assunzioni a tempo indeterminato rispetto alle piccole. In parallelo, però, anche i licenziamenti sono saliti della metà, anche se a partire da una base ben più bassa. Al netto l’occupazione è cresciuta. Il M5s vuole invece affrontare il problema del lavoro con un sostegno alla disoccupazione mascherato da reddito di cittadinanza. Si vuole aumentare il Pil potenziale e ottenere dalla Ue il permesso di fare più deficit. Il rischio è quello di un inefficace artificio contabile. La proposta di soluzioni semplici a problemi complessi è una delle caratteristiche del populismo, di destra e di sinistra. Come spiega bene un volume in questi giorni in libreria, gli opposti populismi hanno ora trovato un nemico comune: le élite globali che si richiamano alla meritocrazia. Un altro esempio di ricorso a semplificazioni? Di Maio, quando dice che si possono aggirare i parametri europei aiutando le imprese con banche pubbliche. Non è proprio così, chiarisce il fact-checking de lavoce.info.
Sempre parlando di scorciatoie, l’America di Trump vuole i dazi per ridurre i 375 miliardi di deficit commerciale verso la Cina e per far capire a Pechino che il trasferimento tecnologico forzato oggi in corso con le licenze deve finire. Magari si arriverà a un accordo. Comunque a scapito delle logiche Wto.
La valutazione della ricerca e le classifiche delle università che ne derivano influenzano le scelte d’iscrizione degli studenti, soprattutto al Nord. Senza misure che promuovano la mobilità dei docenti, si rischia di rafforzare le disuguaglianze tra giovani che hanno o non hanno i mezzi per andare negli atenei più gettonati. Nati nel 2010 per offrire istruzione tecnica post-maturità, gli Its – istituti tecnici superiori – hanno suscitato grandi aspettative. Un raffronto sulle competenze acquisite e tasso di occupazione tra chi esce da un triennio universitario analogo e chi da un Its dice però che, per ora, il secondo ha un forte svantaggio.
Per due anni consecutivi le leggi di bilancio hanno previsto deroghe alle regole del pareggio di bilancio per gli enti territoriali. Perché ostacolano l’utilizzo degli avanzi di bilancio per finanziare investimenti pubblici locali (in tutto 2 miliardi nel 2016). La strada per ottimizzare la spesa può essere quella di intese regionali.
Lega e M5s hanno vinto le elezioni con ambiziosi programmi di rifiuto delle politiche europee. Pie illusioni. Se non vogliamo essere oggetto di decisioni altrui, il nostro prossimo governo si dovrà sedere al tavolo di Bruxelles e disegnare con gli altri la strada per riprendere la costruzione dell’Unione coinvolgendo i cittadini.
Luigi Marattin, deputato Pd, sostiene che gli investimenti per il Sud superano già abbondantemente il 34 per cento del totale indicato come obiettivo dal M5s. Non è così, come mostra il fact-checking de lavoce.info.
Fino a che punto si possono usare per scopi politici e commerciali i dati che affidiamo a Facebook e ad altri “social”? Qui il terreno è scivoloso perché ci sono in ballo libertà e identità dei cittadini ma anche tecniche psicologiche e di marketing non facilmente censurabili dal punto di vista legale.
La web tax – già parte della legislazione italiana dal 2019 – arriva anche in Europa. La Ue propone di istituire la Dst (Digital services tax) non su utili difficili da misurare ma sul 3 per cento dei ricavi delle attività internet delle grandi società. A incassare il tributo sarà il paese in cui l’utente utilizza il servizio. Intanto, negli anni si è progressivamente erosa la base imponibile della tassazione delle persone fisiche, sia per l’introduzione d’imposte sostitutive sia per nuove esenzioni. Una simulazione indica che il 70 per cento degli sconti fiscali vanno ai più ricchi. E la progressività va a farsi benedire.
C’è poca trasparenza nella vigilanza della Bce sulle banche dell’Eurozona. Periodicamente esamina le attività dei maggiori istituti, la governance e i sistemi di controllo, i rischi per il capitale e la liquidità, alla luce dei risultati degli stress test. Se il processo fosse più chiaro anche la Bce stessa ne gioverebbe.
I mali del nostro paese hanno in comune l’insufficienza di capitale sociale, base del rispetto delle regole. È l’analisi di Carlo Cottarelli, ex-commissario alla spending review, in un suo libro che sta riscuotendo un grande successo. I rimedi partono dalla creazione di un – oggi assente – consenso dell’opinione pubblica verso le riforme.
Mentre noi siamo senza governo, l’Europa accelera – in modo scoordinato tra Bce e Commissione – sulle regole bancarie in materia di crediti deteriorati. Istituiti severi obblighi di accantonamento (fino al 100 per cento del valore) per vecchi crediti che diventino sofferenze e per nuovi impieghi. Guai in vista per le nostre banche. Europa e Italia dovranno dire la loro anche sul Global compact presentato da Onu e Unhcr in merito alla gestione di migrazioni regolari e rifugiati. Sono proposte di accordi multilaterali su diritti umani, sviluppo sostenibile, sovranità nazionale, legalità. Da tradurre in politiche e fatti. Senza gli Usa di Trump che hanno già detto no.
La flat tax e il reddito di cittadinanza andrebbero rispettivamente nelle tasche degli abitanti del Nord e Sud Italia in misura molto vicina alle percentuali di voti ottenuti da Lega e M5s. È una conferma dell’Italia spaccata in due dal punto di vista politico e socio-economico.
Con l’insediamento del nuovo Senato entra in vigore il regolamento riformato a fine legislatura. Potrà nascere un’assemblea più efficiente nella quale l’astensione non varrà più come voto contrario e il lavoro delle commissioni sarà rafforzato.
L’uso del metodo contributivo mette in equilibrio i sistemi pensionistici ma provoca malumori. Contro la sua adozione stanno scioperando i dipendenti delle università britanniche. Il problema di fondo è che la rapida crescita degli atenei del Regno Unito richiede risorse che il governo non vuole più garantire.
L’analisi costi-benefici su sei autostrade costruite negli ultimi anni offre un ventaglio di risultati, per metà positivi e per l’altra metà negativi. La politica può decidere che un’opera si fa anche se non è profittevole. Ma la quantificazione di ritorni e spese relative rimane indispensabile per la trasparenza.
Lega e M5s vogliono cancellare la riforma Fornero e chiudere le frontiere ma non sanno cosa fare insieme in positivo. Così l’Italia si spacca tra la flat tax che piace a chi ha un lavoro e il reddito di cittadinanza che piace ai senzalavoro. Meglio sarebbe alzare i salari troppo bassi al Nord e ridurre il costo del lavoro troppo alto al Sud. Intanto l’indagine Bankitalia sulle famiglie mostra una povertà assoluta in lento calo e più alta tra gli immigrati, mentre cresce la povertà relativa che riflette l’aumento delle disuguaglianze.
La politica su migranti e profughi in Francia sta diventando più stretta e rigorosa perché il presidente Macron starebbe copiando il programma di Marine Le Pen: così ha sostenuto Matteo Salvini al passo d’addio dal Parlamento di Strasburgo. Non è vero, come si capisce dal fact-checking de lavoce.info. Tende invece a gonfiare i numeri Pasquale Tridico, il ministro del Lavoro designato da Luigi Di Maio, quando attribuisce al Jobs act un costo di 23 miliardi. Una stima estrema, puntualizza il nostro fact-checking.
Una legge recente ha messo ordine nel terzo settore, cresciuto rapidamente negli ultimi anni. Definisce le organizzazioni no profit e le agevolazioni fiscali a loro favore. Peccato che nel campo – molto importante – degli enti per servizi alla persona rimandi a linee guida che non si sa bene a chi spetti determinare. Una delle fonti di finanziamento delle Ong è la devoluzione del 5 per mille dell’Irpef. Da un esperimento su un campione di popolazione emerge quanto la diffusione tempestiva dell’informazione sociale (su come donano gli altri) influenzi le scelte individuali di contribuire a un’organizzazione piuttosto che un’altra.
A dieci anni dal fallimento di Lehman Brothers, gli stati dell’Eurozona non riescono ancora ad adottare riforme condivise anche perché la narrazione della crisi è stata diversa nei diversi paesi, come documentato in uno studio relativo a quattro quotidiani: La Stampa, Le Monde, Süddeutsche Zeitung e El Paìs.
I politici sono refrattari alla valutazione degli investimenti di denaro pubblico che decidono. Perché gli scopi principali spesso non sono efficienza e efficacia, ma – ovviamente inconfessato – la massimizzazione della spesa.
Nel paese spaccato tra Di Maio e Salvini, uno studio dei risultati provinciali delle ultime elezioni mostra che l’Italia dove manca il lavoro ha votato M5s mentre quella che il lavoro ce l’ha ha votato Lega. Altre variabili come grado di istruzione, percentuale d’immigrati e demografia sembrano meno rilevanti. Visto che se ne parla tanto meglio ricordare che il cosiddetto reddito di cittadinanza è più che altro un sostegno ai poveri simile al reddito d’inclusione (Rei) varato dal governo Gentiloni. Solo che rispetto a quest’ultimo ha una struttura rozza ed è insostenibile economicamente.
I dazi annunciati da Donald Trump vogliono ridurre il deficit commerciale Usa, riportando produzione e lavori meno qualificati dentro i confini americani. In effetti un recente studio mostra che la globalizzazione ha finora beneficiato maggiormente i lavoratori più istruiti, sia in termini di reddito che di potere d’acquisto. A livello globale, però, le nuove barriere commerciali sull’import di acciaio e alluminio causano un danno di almeno 10 miliardi dollari. I più colpiti: Canada, Ue, Sud-Corea, Messico, Brasile, Russia. Meno la Cina. Deboli le giustificazioni legali presentate da Washington al Wto.
Si fa un gran parlare di flat tax e aumenti di Iva da scongiurare. Il sipario è sceso invece sulle riforme dell’amministrazione tributaria, a partire dall’Agenzia delle entrate. Un peccato: meno imposte e meno evasione arrivano se il fisco ha efficaci strumenti giuridici e tecnici.
Nel nuovo accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, ci sono novità importanti su busta paga, contrattazione e politiche del lavoro. Le parti hanno trovato soluzioni di equilibrio. Che tuttavia si rivelerebbero poco stabili se il nuovo governo volesse incidere in profondità nel sistema di relazioni industriali. Sullo sfondo pesano problemi strutturali. Come le competenze della forza lavoro troppo basse per le sfide di un sistema produttivo che cambia. Mentre molti laureati sono sovra-qualificati per le mansioni che svolgono.
Infine, come se la caverebbero i pentastellati aspiranti ministri? Un primo assaggio: il loro esperto di turismo dice che le Baleari hanno dieci volte più turisti della Sicilia. Al fact-checking de lavoce.info risulta che avrebbe dovuto dire “sei volte”. La foga retorica porta a esagerare un po’.
I due aspiranti premier Salvini e Di Maio sono ambigui sull’euro. “Valuta cattiva” per il primo, che vuole rivedere i trattati Ue, mentre il secondo dice che non è il momento di uscirne ma lascia intendere che bisogna cambiarne le regole. E se le regole rimangono come sono o cambiano in modo sfavorevole all’Italia? Sì o no alla moneta unica? Chi andrà al governo troverà, secondo i dati di Silvio Berlusconi, una situazione molto peggiore del 2011, quando lui lasciò Palazzo Chigi. Non è così. Come risulta dal fact-checking de lavoce.info.
C’è poco rosa nel Rosatellum. Questo sistema, che ha introdotto nella composizione delle liste per le elezioni politiche la quasi parità di genere, ha poi consentito solo piccoli progressi nella rappresentanza femminile sia alla Camera che al Senato. Lo abbiamo saputo proprio l’8 marzo. Un altro effetto – scontato – del sistema elettorale è che permette di formare solo maggioranze “contronatura”, tra forze politiche con programmi incompatibili, cioè l’ingovernabilità. Potrebbe invece dare esiti certi l’introduzione di un secondo turno. Non alla francese, ma quasi.
Grandi manovre sulla rete: Disney, Comcast e Fox si contendono Sky, fresca di alleanza con Netflix per il mercato europeo. Siamo all’inizio di una ridefinizione complessiva e radicale del campo da gioco su scala globale – con gli altri player globali Amazon, Facebook, Apple – che si concluderà solo nei prossimi anni.
Il governo di Pechino prevede per la Cina nel 2018 una crescita del 6,5 per cento, in frenata rispetto al 6,9 dell’anno scorso. All’obiettivo contribuiranno consumi e investimenti ma non sappiamo quanto. Per ora ci indicano solo i settori in cui programmano di diventare leader mondiali entro sette anni.
SPECIALE 8 MARZO
Nella Giornata internazionale della donna (auguri a tutte!) finalmente registriamo progressi nella riduzione dei divari di genere anche in Italia. Cresce l’occupazione femminile (lavora quasi la metà delle donne in età lavorativa, miglior dato di sempre) e si restringe (poco) al 14,5 per cento la forbice tra le retribuzioni di uomini e donne. Tutto bene? Non proprio. Le differenze di stipendio che rimangono aumentano molto con l’anzianità aziendale e l’età. E la scarsa mobilità verso imprese diverse non aiuta. Ci vogliono politiche incisive per aiutare le donne a conciliare tempo di lavoro e tempo di cura (della casa, dei bambini, degli anziani) che cade ancora sproporzionatamente su di loro. Incredibilmente, la nascita del primo figlio ancora implica una penalizzazione salariale per un periodo fino a 15 anni. Anche per questo l’Italia è fanalino di coda in Europa per nuovi nati. La politica può fare molto per sostenere le mamme lavoratrici o le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Per ora non sappiamo cosa i vincitori delle elezioni (M5s e Lega) pensino di questi temi perché in campagna elettorale hanno parlato d’altro: flat tax, reddito di cittadinanza, cancellazione della legge Fornero. Come se le donne non ci fossero.
Le elezioni del 4 marzo (e la grande recessione) cancellano il principio fondatore delle politiche attuate dagli anni Novanta, l’idea che fosse possibile conciliare l’efficienza del mercato con la tutela dei più deboli. Oggi invece prevalgono – e dureranno a lungo – le richieste di protezione. E così dopo il voto l’Italia si ritrova con un Parlamento in mano a Lega e M5s, cioè con una maggioranza di euroscettici che però non è una coalizione. Un terremoto che lascia al presidente Mattarella il problema più difficile: dare l’incarico di governo al partito o alla coalizione che ha preso più voti?
In ogni caso il governo che verrà dovrà occuparsi dei nostri piccoli grandi problemi quotidiani. Come quelli della rete ferroviaria, andata in tilt per la neve nei giorni scorsi. Un confronto internazionale mostra che in Italia gli investimenti pubblici in questo campo sono più ingenti che altrove. E ci vorrà anche più attenzione per i modi e i luoghi dove finisce la vita. Una volta erano gli ospedali. Da 35 anni, invece, grazie al movimento per le cure palliative, ora si muore spesso a casa propria o in un hospice, assistiti da familiari e specialisti che riducono le sofferenze.
Alla vigilia del voto il governo ha firmato con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto l’accordo preliminare per l’allargamento delle competenze di queste regioni. Su politiche del lavoro, istruzione, salute, ambiente ed ecosistema, rapporti internazionali e con l’Ue. Col nuovo governo si passerà al secondo atto dei negoziati.
La diversità nei consigli d’amministrazione crea valore? Pare di sì, secondo i molti studi che identificano una relazione tra buoni risultati aziendali e varietà di genere e nazionalità nei board. Ma rimane da chiarire con maggiore precisione quale sia la causa e quale l’effetto.
Durante la campagna elettorale, in quasi 50 articoli di commento e fact-checking, abbiamo analizzato le proposte dei partiti, lasciando perdere i toni da stadio. Il miglioramento di economia e finanza pubblica consente di votare con maggiore serenità. Facendo attenzione a non sprecare i risultati raggiunti. I tifosi che affollano la rete dimenticano che la valutazione dei risultati delle politiche è un esercizio utile ma complesso e rigoroso. Mette punti fermi nel dibattito politico e può evitare di spendere denaro pubblico in scelte inefficaci. Da noi si fa troppo poco. Valutando di più e meglio forse salirebbe la nostra stima verso chi ci governa, oggi molto bassa, almeno a giudicare dai risultati di un nuovo metodo di misurazione della fiducia coordinato dall’Ocse.
Quanto sia importante per la credibilità della politica ragionare su dati certi lo abbiamo visto ripetutamente con i nostri fact-checking. Oggi verifichiamo le parole del ministro Minniti sul numero di Ong rimaste attive nel Mediterraneo dopo la stretta imposta dal nostro ministero dell’Interno. La nostra analisi e raccolta di dati mostra che il calo c’è stato, a differenza di quel che ha detto il ministro. Anche Pietro Grasso, leader di Leu, parla di 200 miliardi di evasione fiscale. Al nostro fact-checking ne risulta circa la metà. E non è neanche vero che, come sostiene il presidente del Senato, non ci sia mai stata la volontà di recuperarla.
Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno siglato il Patto della fabbrica che definisce meglio la misurazione della rappresentanza (per combattere sigle sindacali inattendibili) e riafferma il sistema di contrattazione a due livelli. Molte le cose mancanti, a partire dal salario minimo – che non piace a nessuna delle parti sociali. L’Istat ci dice che a gennaio c’è stato un lieve aumento dell’occupazione, soprattutto giovanile, trainato ancora una volta dai contratti temporanei. Nel corso del tempo, hanno perso importanza i contratti di apprendistato. Alla loro perdita di popolarità hanno contribuito – finché ci sono stati – gli sgravi contributivi che hanno accompagnato l’entrata in vigore del Jobs act.
Da destra e da sinistra si è invocata la soppressione della riforma Fornero che ha alzato l’età pensionabile. Senza dire che dovremmo rinunciare a 330 miliardi di risparmi cumulati fino al 2045. A un costo molto più basso si potrebbe invece ipotizzare un’uscita dal lavoro flessibile, un misto di pensione e lavoro part-time.