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Categoria: Il Punto Pagina 83 di 147

Il Punto

Uno dei progetti su cui Matteo Renzi ha investito molto capitale politico nei suoi primi due anni è la riforma della scuola. Sulla quale per ora il giudizio rimane sospeso. Sono aumentate le risorse ma gli effetti del cambiamento devono ancora manifestarsi. Di sicuro rimangono da sciogliere alcuni grovigli: dalla redistribuzione degli insegnanti sul territorio al processo di valutazione degli istituti. Per promuovere la partecipazione femminile al mercato del lavoro il governo si è mosso nella direzione giusta, ma con provvedimenti di modesta portata. Ci vorrebbero più asili e vantaggi fiscali. Intanto il tasso di occupazione femminile rimane al 47 per cento dal 2000 e il gender gap è tornato a salire. Per l’occupazione, archiviati numeri soddisfacenti per il 2015, il dimezzamento degli incentivi nel 2016 apre scenari molto diversi da qui al 2018. Il rischio è che le tante assunzioni di oggi si sgonfino come una bolla. Oppure potrebbe consolidarsi la trasformazione dei precari in occupati di lungo termine. Solo così – con lo scenario virtuoso – il Jobs act sarà stato un successo.
Al summit di Bruxelles si discute e ci si scontra sull’accoglienza dei rifugiati. Viene fuori un’Europa stretta tra princìpi di solidarietà affermati solennemente e disponibilità inadeguata (o vero e proprio rifiuto) degli stati di fronte all’emergenza infinita dei disperati in fuga da guerre e persecuzioni.
Cosa c’è in comune tra le (brusche) uscite degli amministratori delegati di Generali e Luxottica? Un modo di gestire il governo societario che rischia di allontanare gli investitori internazionali. Opaco in un caso, padronale nell’altro.
Stavolta l’Italia ha uno dei migliori posti in classifica: nello sviluppo delle fonti rinnovabili e nell’efficienza energetica. Consumiamo meglio e meno. Soprattutto grazie alla recessione, molto più pesante da noi che altrove. Se l’economia riparte (come ci auguriamo!) ci sarà da mettersi sotto per mantenere le posizioni acquisite. M’illumino di meno, ma solo per ora.

Una precisazione del Gruppo Generali all’articolo di Salvatore Bragantini con risposta dell’autore.

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Continuiamo ad analizzare i primi due anni del governo Renzi. In realtà l’anno degli interventi importanti sul mercato del lavoro è stato il 2015, sul quale ci sono freschi freschi i dati Inps. Le 600 mila assunzioni nel privato, prevalentemente a tempo indeterminato sono in buona parte effetto del Jobs act e della decontribuzione per i nuovi assunti (con i risultati visibili nel grafico pubblicato qui). Rovescio della medaglia: la crescita economica (0,7 per cento) rimane tra le più basse d’Europa e quest’anno la decontribuzione non c’è quasi più. Sulla concorrenza il governo aveva presentato subito un disegno di legge (in attuazione di una legge del 2009 rimasta lettera morta sotto Berlusconi, Monti e Letta). Poi però il ddl, il cui iter parlamentare è ancora in corso, ha perso i pezzi sotto i colpi delle lobby. Mentre lo sviluppo della banda larga sembra decollare dopo diversi cambi di programma. Risultati a metà anche sulla promessa diminuzione di tasse. Il bonus di 80 euro, la decontribuzione temporanea sulle assunzioni a tempo indeterminato, l’abolizione della Tasi sulla prima casa sono tagli veri ma poco coerenti tra loro e fatti in deficit sotto la coperta delle clausole di salvaguardia. Sui beni culturali i fiori all’occhiello del biennio sono il progetto Pompei e 20 nuovi direttori di musei dotati di ampia autonomia. L’inversione di tendenza si scontra però con l’esiguità degli interventi (rispetto al patrimonio archeologico e artistico da gestire) e – in modo meno visibile – con una poco meritocratica assegnazione dei fondi per lo spettacolo. Mentre il Parlamento discute una revisione della legge sullo scioglimento dei comuni per mafia, vale la pena ricordare gli effetti dei commissariamenti compiuti: riduzione di spese, selezione più dignitosa della classe politica, punizione elettorale dei partiti coinvolti, influenza positiva sui territori limitrofi.

Il Punto

Da oggi e nei prossimi giorni proviamo a valutare nel dettaglio i primi due anni del governo Renzi tracciando un bilancio di quanto fatto, delle occasioni mancate, di quel che c’è da fare. La ricetta del premier – ridare fiato all’Italia con un misto di riforme fatte e da completare e in più soldi pubblici per aiutare la ripresa – per ora non è bastata a far tornare una ripresa visibile e diffusa: produzione industriale e vendite al dettaglio rimangono al palo. Sul fronte delle banche l’attivismo di Renzi si è visto negli ultimi 12 mesi. Le riforme delle popolari e quella – fresca di approvazione – degli istituti di credito cooperativo dovrebbero rafforzare la struttura del sistema. Rimane controversa e ancora irrisolta la gestione di due patate bollenti: i crack delle quattro banche regionali e il negoziato con l’Europa per creare le bad bank dove far confluire i crediti incagliati. Tra i successi che il governo si attribuisce c’è l’Italicum, legge elettorale per la Camera, votata ma non funzionante finché non sarà compiuta la riforma del Senato. È un farraginoso compromesso che rimpiazza l’indecoroso “porcellum” ma esibisce capilista bloccati e la possibilità di candidature multiple. Dove si è un po’ tagliata la spesa (rispetto all’aumento tendenziale) è nella sanità, destinata forse a ridursi sotto il 7 per cento del Pil. Va bene disciplinare le regioni sprecone. Ma il governo dovrebbe chiarire quanta autonomia vuole lasciare loro, presentando una visione chiara di cosa sarà della sanità pubblica.
È partita la corsa degli enti territoriali ad adeguarsi ai sistemi contabili entrati in vigore a inizio anno. Prevedono un rendiconto semplificato per il cittadino con sintesi del bilancio, risorse finanziarie e umane utilizzate, risultati in termini di quantità e qualità dei servizi alla popolazione. Tutto sul sito internet.

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Sulle borse che crollano incombe anche il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dalla Ue (Brexit). Sul suo esito regna la nebbia più fitta. Favorevoli e contrari sono gruppi definiti ma minoritari mentre il grosso degli elettori è indifferente. Decisivi saranno gli elettori meno informati, forse influenzati da eventi marginali. E l’Europa paga pegno.
La legge sulla concorrenza in lettura (attenta, a giudicare dai tempi) al Senato consente di costituire srl semplificate con scrittura privata, risparmiando i salati costi notarili. Il tira-e-molla tra governo e notai continua. Sullo sfondo una direttiva europea che prevede la possibilità di costituire società unipersonali anche solo online.
Siamo all’ultimo posto in Europa per numero di laureati e calano drammaticamente le immatricolazioni all’università. Non è solo la demografia. Le riduzioni sono più contenute al Nord e spesso marcate al Centro-Sud. Per controbilanciare sarebbe ora di fare di più per attrarre studenti stranieri nel nostro paese.
Prorogate le detrazioni Irpef per il recupero edilizio e l’efficientamento energetico. Bene, perché hanno dato buona prova. Capita spesso, però, che la classificazione comunale degli interventi crei un accavallamento di regole tutt’altro che chiaro. Cercasi un po’ di riordino. Anche perché i bizantinismi diventano facilmente iniquità. Lo si è visto con le norme approdate in Parlamento per limitare l’uso di terreni agricoli per fini diversi dalla coltivazione. I meccanismi contorti rischiano di consolidare la mappa disegnata a livello locale, premiando i comuni che più hanno cementificato.

Il Punto

Da tre anni l’inflazione nell’Eurozona è vicina allo zero. Ci sono forze globali che (l’ha detto Draghi) concorrono a tenerla bassa. Ma c’è anche che la Bce si è data per obiettivo di stare “vicino ma sotto” al 2 per cento d’inflazione e non, come sarebbe ragionevole, al 2 per cento “in media”. Una piccola ma significativa riformulazione di questo target aiuterebbe la ripresa in Europa. Tra le cause della bassa inflazione la prima è il greggio a 30 dollari. A deprimere il prezzo del barile le scelte dell’Arabia Saudita che non diminuisce la produzione di petrolio. Il governo di Riyad non vuole ripetere l’errore degli anni Ottanta quando il suo sostegno ai prezzi fece nascere nuovi concorrenti.
Mentre Bruxelles lima al ribasso le previsioni di crescita per l’economia europea e italiana, si può fare un calcolo del costo della Grande crisi. Se tutto fosse andato come nel 2002-2007, l’Italia del 2017 si ritroverebbe con +61 per cento di investimenti, +18 per cento di Pil e fino a 3,8 milioni di occupati in più. Poi ci si sveglia dal sogno e si scopre che le cose stanno molto diversamente.
Cresce del 5 per cento annuo la domanda turistica mondiale. E una delle mete obbligate è l’Italia. Per essere competitivi bisogna diversificare e innovare l’offerta, seguendo i gusti e le passioni delle nuove tribù di viaggiatori. Per noi significa più occupazione ma sempre meno stabile: un’incertezza ricca di prospettive.

Luigi Marattin, consigliere per la finanza pubblica del presidente del Consiglio, commenta l’articolo “2016, anno zero per il patto di stabilità interno” di Paolo Balduzzi e Massimo Bordignon

Il Punto

È andato davvero in soffitta il Patto di stabilità interno, tagliola agli investimenti degli enti locali? Con la “finanziaria” 2016 è diventato meno stringente, in futuro si vedrà. Peraltro, via Imu e Tasi sulla prima casa e bloccati aumenti di altre entrate, scompare l’autonomia impositiva dei comuni. Che però potranno finanziare le (ordinarie) spese correnti con entrate straordinarie come gli oneri di urbanizzazione.
Nel 2016 arriveranno 800 milioni ai cittadini più poveri. Un magro 11,4 per cento dei 7 miliardi che servirebbero. Si dovranno così selezionare 280 mila famiglie “meritevoli di aiuto” su un milione e mezzo di nuclei disagiati. Un autentico sostegno universale al reddito è di là da venire.
La magistratura, dalle alte cariche ai semplici giudici, dice che il reato d’immigrazione illegale è del tutto inutile. Perché, di fatto, non è punibile. Anzi, i procedimenti eventualmente avviati sono un costo per la giustizia. Eppure i politici, a destra e a sinistra, non vogliono abolirlo: l’immagine ha la meglio sulla razionalità.
Chiamiamo pedaggio autostradale ciò che in molti casi è una tassa. Il ticket che paghiamo al casello dovrebbe infatti coprire costi d’investimento e gestione più un giusto profitto al concessionario. Ma se l’investimento è ammortizzato (esempio: l’Autobrennero) la tariffa diventa un tributo – che dovrebbe essere stabilito dal Parlamento e non dal governo – o, meglio, un regalo al concessionario che non investe.
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Si salvano la faccia Ue e governo italiano con un accordo sulle sofferenze bancarie basato su un contorto meccanismo di attuazione. Per liberare i bilanci bancari c’è una garanzia statale sui crediti incagliati erogata “a prezzi di mercato”: un controsenso bello e buono. E poi la garanzia riguarda solo la fettina delle obbligazioni senior, i crediti più facilmente esigibili. La borsa ha visto i problemi ed è andata a picco.
Dividere gli studenti in classi differenziate a seconda delle competenze raggiunte, con programmi diversi. È la sperimentazione che il ministero suggerisce ai presidi. Con il rischio di creare classi di bravi e di asini, di ricchi e di poveri. In ogni caso è una proposta da valutare senza dividersi tra guelfi e ghibellini.
I senatori che usciranno dalla riforma costituzionale arriveranno per lo più dai Consigli regionali, eletti senza quote rosa salvo poche eccezioni. Avremo così un Senato con poche donne. Per riequilibrarlo basterebbe applicare alle regioni il meccanismo di preferenze in vigore nei comuni dal 2013. Che funziona bene.
Triplo shock sull’Italia dal rallentamento della crescita cinese dal 10 al 6-7 per cento. Ne patiscono direttamente i produttori del made in Italy. Ma soffre anche la meccanica strumentale tedesca e il suo indotto italiano. Ed entrano in crisi i paesi esportatori di energia (Russia compresa) finora mercati privilegiati del nostro export.
Chiusa la contesa sul controllo dello scalo di Brescia-Montichiari tra gli aeroporti di Verona e Bergamo. Con due sicuri perdenti: i passeggeri-consumatori e le compagnie aeree. Per capirlo basta guardare il panorama dei minuscoli e non redditizi aeroporti italiani. Dove la concorrenza è un optional. E la politica ci sguazza.

 

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Così diversi, così complementari: Italia e Germania – al di là degli stereotipi – sono una coppia di fatto sotto molti aspetti economici. Per esempio, là ci sono 1.400 imprese controllate dal nostro paese con 126 mila dipendenti; da noi 142 mila persone lavorano in mille imprese tedesche. E c’è molto di più in comune. Sullo sfondo dell’incontro Renzi-Merkel, lo scenario di una parte d’Italia – il Mezzogiorno – dove corruzione, malaffare, ospedali in cui si muore, infrastrutture fisiche e sociali fatiscenti hanno finito per azzerare aspettative e ambizioni di chi ci vive. Contro la rassegnazione, il Masterplan del governo per il Sud vuole risuscitare i “patti”, iniziative decentrate che hanno spesso già palesato la loro inefficacia. Sempre nel Meridione risiede la maggioranza di quel terzo di italiani sempre più fragili economicamente per mancanza di lavoro, scarsa ricchezza familiare, cura della salute trascurata. In passato tante misure – selettive ed episodiche – contro la povertà. Per affrontare il problema in modo efficace servirebbero 7 miliardi. Nella legge di stabilità 2016 le risorse stanziate sono meno di un quarto del necessario.
Se ne è parlato poco ma è giusto ricordare che 37 su 377 banche di credito cooperativo (Bcc) hanno crediti dubbi sopra il livello di guardia. Urge quindi la riforma di questo pezzo del sistema finanziario. Da risanare con una serie di fusioni provinciali e interprovinciali senza snaturarne il radicamento nel territorio.
Gli italiani che si informano credono più alla rete che ai giornali di carta. In Europa avviene il contrario. Su internet si riversa l’informazione libera da vincoli editoriali ma anche l’antipolitica. Mentre la stampa tradizionale è percepita come veicolo di trasmissione della cultura delle élite dominanti.

 

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Dietro ai litigi verbali tra Renzi e Juncker c’è l’insofferenza Ue per l’eccessiva disinvoltura del governo e, dal lato italiano, gli stop subiti su Ilva e bad bank per i crediti incagliati. Bruciano poi le conseguenze del bail-in imposto alle quattro banche. Sullo sfondo, la normativa europea che ammette aiuti di stato solo in presenza di fallimenti del mercato o di rischi di crisi sistemica.
Licenziamento dei fannulloni in 48 ore, più trasparenza amministrativa, conferenza dei servizi meno paludata, taglio (finalmente!) delle società partecipate dal pubblico e dei Cda, accorpamento della Forestale nei Carabinieri: una raffica di decreti attuativi della legge delega Madia. Correttivi necessari, la riforma della Pa arriverà.
Dopo l’accordo sul nucleare, l’Iran ritorna sui mercati, specie su quello del petrolio. Spingendone ancora più giù il prezzo. A soffrirne sono i neo-produttori americani più Venezuela, Arabia Saudita e Russia. Quest’ultima – che esporta soprattutto prodotti energetici – è in piena recessione. L’Arabia Saudita, meno ricca di prima e isolata politicamente, deve ricorrere a politiche di austerità. Come fosse un paese normale.
Jobs act e decontribuzione fiscale, dicono i numeri, hanno fatto impennare il numero di nuovi rapporti a tempo indeterminato, mentre sono diminuiti quelli a tempo determinato e di apprendistato. Il rischio è che, allo scadere dei tre anni di decontribuzione, le aziende dicano grazie per poi tornare ai contratti precari.
Da quest’anno per i comuni si liberano gli investimenti dai vincoli del Patto di stabilità interno, si rimanda il raggiungimento degli obiettivi del Fiscal compact e si mettono a disposizione risorse per l’edilizia scolastica. Una necessaria boccata d’ossigeno. Per gli enti locali e per i loro creditori.

Un intervento di Carlo Dell’Aringa, economista e deputato Pd, sul confronto imprese-sindacati su nuovi modelli di contratti nazionali di lavoro.

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Malgrado la battuta d’arresto della già lenta ripresa industriale italiana, ci sono settori che crescono e hanno archiviato la crisi iniziata nel 2008: farmaceutico, articoli sportivi, oreficeria, strumenti di precisione. Troppo pochi per trascinare il resto dell’industria. Nel frattempo, la recuperata fiducia delle famiglie si soddisfa con prodotti importati e il Pil si misura in decimali.
Con il prezzo che crolla giorno dopo giorno, il mercato del petrolio è affogato dall’offerta. Si parla di una ripresa delle quotazioni nel 2017. Con uno strascico di posti di lavoro in fumo e di cambiamenti duraturi nel settore.
Interessi degli azionisti e interessi dell’impresa non sempre coincidono. Basta pensare alle Opa, efficaci nel moltiplicare valore per i primi ma deludenti nel produrre posti di lavoro e profitti aziendali. Da che parte deve stare, allora, il Cda? Codice civile e regole di corporate governance non chiariscono il dubbio. È ora di affrontarlo.
Due episodi molto diversi raccontano – in una lettera da Londra – la capacità della società britannica di rimanere attaccata alle tradizioni e nello stesso tempo di rinnovarsi: chiude l’ultima miniera di carbone e il direttore del British museum lascia la storica istituzione dopo averla rivoltata come un guanto. Oltre Manica, la globalizzazione è arrivata.
Sempre più medici trascinati in tribunale da pazienti che (in buona o mala fede) chiedono risarcimenti per cure forse inappropriate. Conseguenza immediata: boom di esami e terapie non necessarie prescritti da chi vuole evitare rischi peggiori. A seguire: più alti costi per il Ssn, più alti costi per assicurazioni sanitarie. Una soluzione all’esame del Parlamento rischia di non risolvere il problema.
La Corte di giustizia europea ha stabilito che si possa vietare ai gay la donazione di sangue solo se non esistono metodi per escludere l’infezione da virus Hiv. Metodi ormai alquanto sicuri. Un passo avanti – come negli Usa – contro la discriminazione sessuale. Perché i rapporti a rischio abbondano anche tra gli etero.

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