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Cronache dall’Inghilterra profonda
Il risultato del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, in programma il 23 giugno, è molto imprevedibile: c’è un vero rischio che la campagna pro-Brexit, incentrata sulla semplice idea che la burocratizzazione della società britannica sia causata dall’Ue, possa convincere molti elettori che non vedono chiaramente i benefici della permanenza né intendono seguire le confuse indicazioni dei partiti.
Sabato mattina, dal macellaio a far la spesa. La piazza di una piccola market town, nella parte più rurale dell’Inghilterra. Bella, ma sconosciuta ai turisti italiani, che l’attraversano nel viaggio da Londra alla Scozia, con tappa magari a York. Una nonna con due nipotine in coda dopo di me vede il camioncino della campagna elettorale per la Brexit e spiega loro che anche lei e il nonno sono per l’uscita dall’Europa. Perché, chiedo semi-serio, e mi risponde che lei è stufa di dover ubbidire a Bruxelles. Non le chiedo, perché sarebbe fiato sprecato, quand’è stata l’ultima volta che lei personalmente ha dovuto ubbidire a Bruxelles. Né le faccio notare che suo marito o suo figlio o il fratello o il genero e molti dei suoi conoscenti, come agricoltori locali, hanno certamente ricevuto in sussidi europei legati alla Politica agricola comunitaria molto più di quanto abbiano pagato in tasse addizionali. I diretti interessati sanno bene che l’agricoltura è uno dei settori dell’economia britannica che più di altri riceve sussidi diretti dall’Europa. Non è un caso che l’associazione nazionale degli agricoltori, ultra sciovinista e ultra regressiva, non è certo pro-Brexit. Nemmeno è un caso che il deputato locale, astrologo e omeopata, lontano anni luce dall’immagine tory-progressista che David Cameron cerca di proiettare, non abbia ancora preso posizione sul referendum.
Nel mio silenzio, si inserisce il macellaio con una mini-filippica su tutte queste regole, moduli e passaporti delle bestie, e norme su come assumere dipendenti, e i mille lacci e lacciuoli che gli rendono la vita complicata, distante da un mitico passato bucolico e felice, in cui tutto era semplice e logico.
La strategia elettorale della campagna per l’uscita dall’Europa cerca di convincere elettori confusi come questi che l’Ue è una congiura burocratica, imposta al paese dai perfidi francesi.
Il messaggio colpisce nel segno perché è certo vero che la burocrazia è aumentata e perché gli inglesi la detestano: la sua riduzione è considerato il più importante aspetto dell’accordo Regno Unito-Ue.
Questa antipatia, che può sembrare contraddetta dall’amore per le code e l’ordine, è legata allo spirito ribelle e anarchico che hanno gli inglesi (ancor più degli scozzesi): l’autorità deve conquistare il rispetto del pubblico, la semplice posizione di potere non protegge da critiche e sberleffi. Così nessuno (casa reale compresa) batte ciglio sulle vignette satiriche sulla regina e un deputato che viene smascherato come disonesto deve aspettarsi una feroce vendetta dell’elettorato. È sempre per questo che la polizia non porta armi da fuoco; così come quando il governo cercò di introdurre un sistema di carta d’identità, simile a quello da sempre presente in Italia, si scatenò una veemente opposizione e molti lo considerarono una violazione dei diritti umani, e alla fine l’idea fu abbandonata.
Burocrati a ogni latitudine
Ma se c’è senz’altro stata una crescita esponenziale di burocrazia, moduli e formalità in tutti i settori – dal lavoro, agli ospedali, alle scuole – la colpa non è certo solo dell’Ue. I funzionari britannici sono anche loro burocrati entusiasti: in caso di dubbio, ecco qua un modulo o una bella richiesta di autorizzazione, tanto se qualcuno protesta se ne può sempre dar la colpa a immaginarie regole europee. È vero che in certi casi, come le regole sulla patente, che fino a vent’anni fa qui non scadeva né aveva la foto tessera, la nuova procedura è dettata dalla Ue, ma in molti altri l’ossessione burocratica è completamente indigena. Un esempio: chi ha a che fare con minorenni deve avere un certificato che conferma di non essere stato condannato per molestie a minori. Il certificato serve a proteggere l’organizzazione e quindi ognuna non si fida di quelli altrui, ma vuole il suo: così, quando abbiamo ospitato una studentessa francese per uno scambio con nostra figlia, mia moglie si è ritrovata con quattro di questi certificati (la scuola di mia figlia ne ha richiesto uno nuovo benché lei ne avesse già uno in qualità di membro del consiglio di istituto della scuola degli altri figli, poi c’è quello del club del tennis e quello dell’organizzazione equestre per disabili dove spesso aiuta da volontaria). Per me, invece, era solo il terzo. Ovviamente quando nostra figlia è andata a ricambiare la visita, è venuto fuori che in Francia questi certificati non esistono.
La giornata, sono lieto di riferire, continua con una nota ottimista: nel pomeriggio, tè da amici, marito e moglie che lavorano nel settore privato, mandano i figli a scuole private, tipici fedeli da sempre elettori tory. Entrambi non hanno dubbi: voteranno a favore della permanenza, convinti che i benefici per la società britannica, se non per loro personalmente, eccedano senz’altro i costi.
Il partito democratico e le donne
Qualche giorno fa, il presidente Obama ha reso noto un progetto per cui tutte le imprese statunitensi con più di cento dipendenti dovranno fornire i dati sugli stipendi alla Equal Employment Opportunity Commission (Eeoc). Sembra noioso, vero? Effettivamente, la maggior parte delle questioni che riguardano le risorse umane e il rispetto della legge lo sono. Ma grazie al suo tempismo, il piano del presidente potrebbe finire per avere un impatto nelle imminenti elezioni presidenziali. Potrebbe sembrare inverosimile, ma bisogna considerare un aspetto. Hillary Clinton, che sembra essere il candidato democratico preferito di Barack Obama, non riscuote particolare successo tra chi dovrebbe essere considerato il suo sostenitore chiave: il pubblico femminile. Il suo messaggio elettorale “è ora che una donna entri alla Casa Bianca” non sembra risuonare molto all’interno di questo target o, almeno non tanto quanto dovrebbe. Secondo un recente sondaggio di USA Today, tra le donne di età compresa tra i 18 e i 34 anni Hillary Clinton ottiene il 31 per cento di consensi e rimane dietro a Bernie Sanders, che in quella fascia di età raggiunge il 50 per cento. Più in generale, negli ultimi anni i sondaggi hanno mostrato che le donne più mature sono maggiormente portate a votare in base al genere, a differenza delle più giovani. È la fine della questione di genere? Il cosiddetto gender gap non è una costante universale della politica americana: è emerso negli anni Ottanta, quando l’elettorato femminile ha spinto il partito democratico a reagire contro l’opposizione del partito repubblicano all’aborto. Ma oggi le questioni di pari opportunità potrebbero essere uscite dalle priorità della campagna elettorale o la Clinton non è capace di costruirci qualcosa sopra. In entrambi i casi, si tratta di una cattiva notizia per il partito democratico, che da sempre fa affidamento sul gender gap. Ancora peggio, sembra che Donald Trump stia guadagnando popolarità con la sua campagna contro il “politicamente corretto”: un altro indice, forse, che il pendolo potrebbe oscillare dall’altro lato e non riconoscere il tema della parità di genere come tema fondamentale delle primarie. La Clinton e il partito democratico hanno dunque bisogno di innalzare il profilo delle pari opportunità rendendole parte della campagna elettorale. E una serie di nuove e controverse rivelazioni sulle differenze nei salari nelle aziende americane potrebbe aiutarli nel compito.
I dati sui salari
Si ritorna quindi alla questione dei dati sui salari richiesti dalla Equal Employment Opportunity Commission e che per la prima volta forniranno una rappresentazione degli stipendi degli impiegati per etnia, genere e occupazione. Saranno anche in grado di cambiare le regole del gioco? Magari. Le aziende hanno gelosamente custodito le informazioni sui salari essenzialmente per due ragioni. In primo luogo, per il morale dei dipendenti: per definizione, in qualsiasi gruppo metà dei dipendenti è pagata meno rispetto alla paga mediana nello stesso gruppo. Scoprire una cosa del genere danneggerebbe il loro morale. In secondo luogo, questi dati sono una minaccia. Infatti, quando informazioni del genere si diffondono in un gruppo, alcune categorie protette (le donne, le minoranze o i lavoratori più anziani) trovano conferma alla loro percezione di essere pagati meno rispetto alla media. La pubblicazione dei dati darebbe avvio a cause giudiziarie e a quel punto l’onere della prova sarebbe del datore di lavoro, che si troverebbe nella situazione di dover giustificare le disparità. Anche qualora dovesse vincere la causa, il datore di lavoro avrebbe comunque danni di reputazione. Come fonte di polemica, i dati sui salari si prospettano essere un vaso di Pandora per l’equità di genere. Nella maggior parte delle aziende, le donne in media percepiscono un reddito minore rispetto a quello degli uomini. Parte della disuguaglianza sembra riflettere differenze nelle mansioni o negli obiettivi del dipendente, e una parte può genuinamente riflettere un errore. Il compito di districare gli errori dagli altri fattori è estremamente delicato e probabilmente deve essere condotto caso per caso. Se dobbiamo giudicare in base al suo comportamento passato, è probabile che l’Eeoc non esiti a fare affermazioni forti in pubblico, affermazioni che porteranno al sorgere di controversie. Nessuno intende dire che svelare queste informazioni sia sbagliato: è importante conoscere i fatti. Il punto è che il processo attraverso il quale saranno rivelate sicuramente innalzerà il profilo dell’equità di genere a questione politica. Se la questione dovesse emergere poco prima delle elezioni presidenziali di novembre, andrebbe a beneficio del candidato democratico, specialmente se quel candidato fosse Hillary Clinton. C’è tempo sufficiente per raccogliere i dati? L’Eeoc ha affermato che si propone di ottenerli entro settembre. Sarebbe interessante vedere se, per una volta, il governo può operare secondo un’agenda stringente. Se i dati dovessero essere diffusi prima delle elezioni, le presidenziali potrebbero davvero diventare una questione di equità di genere.
(Traduzione a cura di Mariasole Lisciandro)
Il 18 dicembre scorso, il giornale radio della Bbc ha riportato due notizie in successione: benché separate e di secondo piano, insegnano entrambe qualcosa sul ruolo delle tradizioni nella vita sociale del Regno Unito. Ed entrambe segnano un ultimo giorno di lavoro: la prima per le miniere di carbone, la seconda per il direttore del British Museum.
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