Le conseguenze storicamente determinate dei piani di consolidamento fiscale su crescita e diseguaglianza non bastano a guidare l’azione politica. In una democrazia, il successo delle misure dipende probabilmente dal fatto che siano socialmente condivise.
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La recessione peggiora i conti pubblici e rischia di obbligarci a una nuova austerità che farebbe salire le disuguaglianze. Per ridurre le quali il mix di minori spese e temporanei incrementi di imposte dovrebbe preservare il sociale e le infrastrutture, consumi e redditi da lavoro. E tassare immobili pregiati, successioni e guadagni finanziari. Sarà l’armonizzazione fiscale uno dei campi in cui la Ue potrà fare passi avanti dopo le prossime elezioni europee. Qualcosa si è fatto con due direttive negli ultimi tre anni. La concorrenza fiscale tra stati va bene ma l’elusione delle imprese che sfruttano i diversi sistemi di tassazione va frenata.
Scocca l’ora anche in Italia – come in molti paesi Ocse – del salario minimo legale? Sembrerebbe di sì, visto che ci sono in Parlamento ben cinque proposte di legge. Si differenziano tra loro per entità, platea, variazioni regionali, rivalutazioni periodiche. Ma i sindacati rimangono diffidenti sul tema.
Oltre a essere squallido, il muro che Trump vuole tra Usa e Messico non potrà bloccare le trasformazioni sociali. L’etnia bianca scenderà sotto il 50 per cento entro 25 anni, mentre cresceranno l’ispanica e, meno, l’asiatica e l’afro-americana. Con implicazioni per disparità, istruzione, occupazione e per gli orientamenti di voto. Più efficace, invece, un altro strumento negoziale del presidente americano: i dazi. Applicati per forzare la Cina ad aprire il suo mercato chiuso e poco trasparente, sono stati un’alternativa sbrigativa alla riforma del Wto. Un processo troppo incerto per politici nazionalisti che vogliono risultati immediati.
L’austerità basata sulla riduzione della spesa pubblica costa meno in termini di crescita di quella fondata sull’aumento delle entrate. Lo spiega, con un’analisi rigorosa, il libro di Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi in uscita per Rizzoli.
Le politiche di austerità sono le uniche responsabili della crescita più bassa delle attese nei paesi europei? Il dibattito dura dal 2010 e si fonda spesso su preconcetti ideologici. Mentre a guidarlo dovrebbe essere la ricerca di dati adeguati.
Il popolo greco ha detto no a un nuovo programma di aiuti con condizioni troppo vessatorie. Ma così Atene è in default e la Bce non potrà più offrire liquidità di emergenza alle sue banche. Per uscire dalla trappola l’Europa potrebbe farsi carico dei debiti greci con Fmi e Bce con il fondo salva-stati (Esm). L’allungamento a dieci anni della scadenza minima del debito consentirebbe di impostare le vere riforme di cui ha bisogno la Grecia. Serve una svolta che trasformi un paese abituato a vivere al di sopra dei propri mezzi in un sistema economico-sociale capace di usare al meglio le sue opportunità.
Sotto le macerie del referendum e della crisi rimane in ogni caso l’inadeguatezza della politica europea dei parametri. Aiuterebbe un colpo d’ala di politica fiscale federale che aumenti gli investimenti pubblici o tagli le tasse in tutta Europa archiviando i deliri algebrici degli ultimi anni. Oggi le scelte dell’Europa e della Grecia non sono tra euro e dracma, tra democrazia e autocrazia, ma tra – tutto sommato – limitati sacrifici distribuiti fra tutti i paesi e grandi sacrifici per i greci oggi e – chissà – per noi domani.
Nella sua seconda relazione annuale, l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni – Ivass, ora sotto il cappello Banca d’Italia – menziona i problemi spinosi del settore (a partire dalla scarsa concorrenza nella Rc-auto) ma non propone come aggredirli. Almeno la bassa penetrazione delle polizze contro i disastri naturali potrebbe essere affrontata con la partnership tra pubblico e privato: in Francia ha funzionato.
Nonostante le quote rosa, sono solo due su dieci le donne nei cda delle società quotate italiane. Va meglio nel resto d’Europa e peggio negli Usa. Dove, però, da un commissario dell’autorità di vigilanza sui mercati parte una battaglia per una distribuzione più equa dei ruoli dirigenziali nelle imprese tra generi e tra gruppi etnici.
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Un accordo reciprocamente vantaggioso tra la Grecia e i suoi creditori sembrava possibile. Invece, si è arrivati alla rottura. Per molte ragioni, ma certo è che la governance dell’Eurozona non funziona. L’unica istituzione europea che in questo periodo ha fatto politica è stata la Bce.
Le misure di austerità sono controproducenti. Provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, fanno crescere il debito pubblico. Ma i politici europei continuano a insistere con queste politiche. Per stupidità o per una mancanza di alternative dovuta al rinvio delle riforme strutturali?
Nonostante gli errori riscontrati nel lavoro dei due economisti, resta il fatto che la relazione tra crescita e rapporto debito/Pil diventa negativa superata una certa soglia. Che non sia possibile determinarne con esattezza il valore non significa che non esista, benché differenziata tra paesi.
Senza dubbio, i dati indicano una correlazione negativa tra debito pubblico e crescita. Ma resta da dimostrare il nesso causale tra i due fenomeni. Così come l’esistenza di un effetto soglia. Le decisioni di politica fiscale e i limiti della ricerca economica.
Credibilità, il problema dei paesi ad alto debito
Di Patrizio Tirelli
il 19/03/2019
in Commenti e repliche
L’azione del governo Monti
Ringrazio i lettori per i molti commenti al mio articolo Ridurre il debito con il consenso dei cittadini. Cerco qui di rispondere ai loro rilievi.
La prima constatazione è che sembra davvero ingeneroso attribuire al governo Monti le conseguenze della crisi che portò alla sua costituzione. Infatti, quel governo fu nominato in conseguenza della fuga di capitali che, motivata dal rischio di una rottura dell’area euro, determinò un aumento insostenibile dei tassi di interesse e la stretta creditizia cui fece seguito la recessione.
L’austerità ha consentito di evitare una situazione da “tragedia greca”. La crisi cui Monti cercò di porre rimedio fu la diretta conseguenza dell’apparente prosperità degli anni pre-2008. In quel periodo, malgrado le favorevoli condizioni cicliche, si rinunciò a ridurre uno dei debiti più elevati dell’Eurozona. È questo il vero punto debole dell’assetto istituzionale dell’Eurozona: non riuscire a imporre una politica genuinamente anticiclica ai paesi membri, per cui l’eccessivo accumulo di debito nelle fasi favorevoli impedisce di stimolare la domanda nelle fasi avverse. Nei paesi ad alto debito ciò pone le premesse perché nel tempo i rischi di insolvenza si accumulino fino a distruggere la credibilità dei governi democraticamente eletti.
Gli interventi non convenzionali della Banca centrale europea hanno evitato attacchi speculativi ai debiti sovrani, ma non si può pensare che interventi di acquisto dei titoli del debito pubblico, che si verificarono durante la crisi, e poi con il Quantitative easing di Mario Draghi siano politicamente sostenibili senza che i governi interessati mostrino di voler credibilmente mantenere il controllo delle finanze pubbliche.
Per concludere la discussione sul governo Monti, un breve commento sulla tassazione degli immobili. Sebbene l’Italia sia un paese in cui il prelievo fiscale è assai cospicuo per chi paga le imposte, la tassazione degli immobili non è particolarmente elevata: ragioni di efficienza ed equità indurrebbero, e in parte hanno indotto, a spostare il carico fiscale dal lavoro agli immobili.
Competenza e nuovo debito
Due temi apparentemente distinti riguardano la competenza dei governanti e la riduzione di sprechi ed evasione fiscale. Purtroppo, la capacità di valutare la competenza non è così diffusa, mentre sprechi ed evasione hanno consentito la formazione di gruppi elettorali assai efficaci nel perseguire i propri interessi.
Infine, una considerazione in merito alla proposta di Bruno Puricelli. Il debito degli stati nazionali ha come implicita garanzia la promessa dei governi di finanziarlo tassando i redditi o la ricchezza nazionali. I governi decidono poi discrezionalmente come utilizzare i fondi ricevuti. Quello italiano soffre di scarsa credibilità e usa con poca efficienza le risorse. Il nuovo debito suggerito da Puricelli sarebbe soggetto al medesimo rischio di quello accumulato sinora e non avremmo garanzie di un miglior uso delle risorse.