Lavoce.info

Tag: Brexit Pagina 14 di 15

Il Punto

È stato inutile il referendum no-triv che ha mancato il raggiungimento del quorum? In pratica sì, dato che tutto resta come prima. Ma grazie al voto sulle trivelle è tornata l’attenzione sulla politica energetica e ambientale del paese. Che va aggiornata per allinearla agli impegni dell’accordo Cop21.
Presto la prova del fuoco del fondo Atlante, con la ricapitalizzazione della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. A seguire, lo smaltimento di 83 miliardi di sofferenze. La Ue per una volta osserva benigna: banche italiane più sane aprirebbero la strada a un’assicurazione comune dei depositi.
Dopo che anche il laburista Corbyn si è espresso contro la Brexit, vediamo qual è la situazione degli schieramenti pro e contro a due mesi dal referendum. Il fronte divide i partiti e le generazioni. I giovani sono in maggioranza per rimanere nella Ue, gli over 55 sono per l’uscita. Su tutti, però, prevale il disinteresse.
Siamo il paese Ue con più poveri (11,5 per cento della popolazione) e tra questi sono in aumento gli stranieri. Beneficiari, di conseguenza, della fetta più grande degli aiuti contro l’indigenza. Qui c’è la miccia che può innescare una guerra tra poveri. Eppure c’è il modo di non farla esplodere. Di norma parliamo di disuguaglianza all’interno di un paese. Ma c’è anche la disuguaglianza tra i popoli del mondo, che segue dinamiche diverse. La rivoluzione informatica e la globalizzazione l’hanno ridotta per i paesi emergenti (Cina e India in prima fila) mentre i paesi più sviluppati che hanno delocalizzato le produzioni l’hanno vista salire.

Spargete lavoce: 5 per mille a lavoce.info
Destinate e fate destinare il 5 per mille dell’Irpef a questo sito in quanto “associazione di promozione sociale”: Associazione La Voce, Via Bellezza 15 – 20136 Milano, codice fiscale 97320670157. Grazie!

Brexit: un messaggio semplice, dunque efficace

Nel Regno Unito non decolla il dibattito in vista del voto sulla permanenza o meno nell’Unione Europea. Se la campagna a favore dell’uscita si fonda su argomenti semplici, che fanno appello allo sciovinismo britannico, l’elenco dei vantaggi di rimanere nella Ue non scalda il cuore dei cittadini.

Il Punto

L’attuazione degli impegni di deficit e debito assunti dal governo dipende molto da un solo numero: la crescita del Pil nel 2016. Le previsioni indicano cifre superiori all’1 per cento. Ma qualche conto basato sulla velocità della ripresa finora suggerisce che probabilmente ci aspetta un altro anno con lo zero virgola.
Il lutto per le 13 ragazze morte nell’incidente in Spagna non cancella il grande successo trentennale del programma Erasmus. Le ricerche condotte sui suoi effetti mostrano che gli studenti partecipanti hanno visto crescere in modo significativo le loro possibilità di trovare lavoro, anche fuori dal loro paese di origine.
Alla riunione annuale della Royal Economic Society si è parlato ovviamente di Brexit. Quasi tutti gli economisti inglesi sono contrari e – con poche eccezioni – prevedono che il Regno Unito non uscirà dalla Ue. Il racconto in una “Lettera da Londra” che spazia dai costi dell’eventuale uscita per le famiglie ai minori investimenti dell’Aston Martin.
Per realizzare un sistema di welfare europeo servirebbe una coesione sociale di cui non c’è traccia in un’Unione minata alle fondamenta dalla crescita dei movimenti nazionalisti e populisti. Ma non c’è alternativa: oltre che offrire un’unione economica, l’Europa deve anche far sentire i suoi cittadini socialmente al sicuro. Sono necessarie più coraggiose cessioni di sovranità degli stati. Che però da tempo sono assenti. C’è invece un’erosione dei margini di manovra dei governi nazionali e locali per i vincoli della Ue. A scapito del ruolo della politica.

Se gli economisti fanno i conti con la Brexit

Il Punto

Un’elevata disoccupazione giovanile (vicina al 40 per cento in Italia e al 25 nella Ue) è uno scempio sociale perché distrugge capitale umano. Per ridurla vanno migliorate le abilità cognitive dei ragazzi in età pre-scolare. Il programma Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) l’aveva previsto anche da noi. Ma manca un preciso protocollo di attuazione.
Con l’emergenza Siria viene a galla l’inadeguatezza delle norme europee sul diritto d’asilo. Ue e Turchia cercano una soluzione. Ma le bozze dell’accordo del 7 marzo implicano un confuso meccanismo di mutua riammissione e reinsediamento di profughi e immigrati irregolari. Meglio ricollocare un numero fisso di profughi prelevati in sicurezza nei paesi limitrofi.
Le società municipalizzate devono offrire buoni servizi (di elettricità, gas, acqua, raccolta rifiuti) ai cittadini e anche creare occupazione e dividendi per i soci. Tra i due obiettivi in contrasto, meglio che prevalga il primo. Abbandonato il controllo delle aziende, i comuni potranno concentrarsi su obiettivi misurabili di miglioramento qualitativo.
Nella campagna referendaria britannica, un argomento forte dei fautori della Brexit è il rifiuto della burocrazia europea. Salvo che le direttive Ue sono meno pervasive di quel che si pensi, mentre i burocrati inglesi non sono da meno con lacci e laccioli. Risultato: una campagna referendaria piena di equivoci. Uno dei quali è comune al dibattito pubblico in Italia e riguarda la spesa di welfare per gli stranieri. È vero che della spesa sociale usufruiscono, in proporzione, più loro dei cittadini italiani, se non altro perché il loro reddito medio dichiarato è molto più basso (18 mila contro 31 mila euro). Rimedio al problema: l’aumento dell’occupazione degli immigrati regolari.
In costante rallentamento, la Cina rischia la recessione. Le famiglie cinesi risparmiano troppo e consumano troppo poco, il che è ben noto alla leadership di Pechino. Ma le riforme del Piano quinquennale appena approvato sono poco incisive nel riorientare l’economia.
La “carbon tax” è una delle ricette per ridurre le emissioni di CO2. Bisogna però applicarla non alla fine della filiera ma – come una sorta di Iva – a ogni passaggio dei beni che contribuiscono all’emissione finale inquinante. Anche sui beni importati (per esempio le auto). Più complicato, ma forse più equo.

La Brexit e lo spauracchio della burocrazia per elettori confusi

Cronache dall’Inghilterra profonda

Il risultato del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, in programma il 23 giugno, è molto imprevedibile: c’è un vero rischio che la campagna pro-Brexit, incentrata sulla semplice idea che la burocratizzazione della società britannica sia causata dall’Ue, possa convincere molti elettori che non vedono chiaramente i benefici della permanenza né intendono seguire le confuse indicazioni dei partiti.
Sabato mattina, dal macellaio a far la spesa. La piazza di una piccola market town, nella parte più rurale dell’Inghilterra. Bella, ma sconosciuta ai turisti italiani, che l’attraversano nel viaggio da Londra alla Scozia, con tappa magari a York. Una nonna con due nipotine in coda dopo di me vede il camioncino della campagna elettorale per la Brexit e spiega loro che anche lei e il nonno sono per l’uscita dall’Europa. Perché, chiedo semi-serio, e mi risponde che lei è stufa di dover ubbidire a Bruxelles. Non le chiedo, perché sarebbe fiato sprecato, quand’è stata l’ultima volta che lei personalmente ha dovuto ubbidire a Bruxelles. Né le faccio notare che suo marito o suo figlio o il fratello o il genero e molti dei suoi conoscenti, come agricoltori locali, hanno certamente ricevuto in sussidi europei legati alla Politica agricola comunitaria molto più di quanto abbiano pagato in tasse addizionali. I diretti interessati sanno bene che l’agricoltura è uno dei settori dell’economia britannica che più di altri riceve sussidi diretti dall’Europa. Non è un caso che l’associazione nazionale degli agricoltori, ultra sciovinista e ultra regressiva, non è certo pro-Brexit. Nemmeno è un caso che il deputato locale, astrologo e omeopata, lontano anni luce dall’immagine tory-progressista che David Cameron cerca di proiettare, non abbia ancora preso posizione sul referendum.
Nel mio silenzio, si inserisce il macellaio con una mini-filippica su tutte queste regole, moduli e passaporti delle bestie, e norme su come assumere dipendenti, e i mille lacci e lacciuoli che gli rendono la vita complicata, distante da un mitico passato bucolico e felice, in cui tutto era semplice e logico.
La strategia elettorale della campagna per l’uscita dall’Europa cerca di convincere elettori confusi come questi che l’Ue è una congiura burocratica, imposta al paese dai perfidi francesi.
Il messaggio colpisce nel segno perché è certo vero che la burocrazia è aumentata e perché gli inglesi la detestano: la sua riduzione è considerato il più importante aspetto dell’accordo Regno Unito-Ue.
Questa antipatia, che può sembrare contraddetta dall’amore per le code e l’ordine, è legata allo spirito ribelle e anarchico che hanno gli inglesi (ancor più degli scozzesi): l’autorità deve conquistare il rispetto del pubblico, la semplice posizione di potere non protegge da critiche e sberleffi. Così nessuno (casa reale compresa) batte ciglio sulle vignette satiriche sulla regina e un deputato che viene smascherato come disonesto deve aspettarsi una feroce vendetta dell’elettorato. È sempre per questo che la polizia non porta armi da fuoco; così come quando il governo cercò di introdurre un sistema di carta d’identità, simile a quello da sempre presente in Italia, si scatenò una veemente opposizione e molti lo considerarono una violazione dei diritti umani, e alla fine l’idea fu abbandonata.

Burocrati a ogni latitudine

Ma se c’è senz’altro stata una crescita esponenziale di burocrazia, moduli e formalità in tutti i settori – dal lavoro, agli ospedali, alle scuole – la colpa non è certo solo dell’Ue. I funzionari britannici sono anche loro burocrati entusiasti: in caso di dubbio, ecco qua un modulo o una bella richiesta di autorizzazione, tanto se qualcuno protesta se ne può sempre dar la colpa a immaginarie regole europee. È vero che in certi casi, come le regole sulla patente, che fino a vent’anni fa qui non scadeva né aveva la foto tessera, la nuova procedura è dettata dalla Ue, ma in molti altri l’ossessione burocratica è completamente indigena. Un esempio: chi ha a che fare con minorenni deve avere un certificato che conferma di non essere stato condannato per molestie a minori. Il certificato serve a proteggere l’organizzazione e quindi ognuna non si fida di quelli altrui, ma vuole il suo: così, quando abbiamo ospitato una studentessa francese per uno scambio con nostra figlia, mia moglie si è ritrovata con quattro di questi certificati (la scuola di mia figlia ne ha richiesto uno nuovo benché lei ne avesse già uno in qualità di membro del consiglio di istituto della scuola degli altri figli, poi c’è quello del club del tennis e quello dell’organizzazione equestre per disabili dove spesso aiuta da volontaria). Per me, invece, era solo il terzo. Ovviamente quando nostra figlia è andata a ricambiare la visita, è venuto fuori che in Francia questi certificati non esistono.
La giornata, sono lieto di riferire, continua con una nota ottimista: nel pomeriggio, tè da amici, marito e moglie che lavorano nel settore privato, mandano i figli a scuole private, tipici fedeli da sempre elettori tory. Entrambi non hanno dubbi: voteranno a favore della permanenza, convinti che i benefici per la società britannica, se non per loro personalmente, eccedano senz’altro i costi.

Le proposte fuori tempo dell’Italia all’Europa

Non si può andare a Bruxelles, come ha fatto l’Italia, a proporre più Europa proprio nel momento in cui decolla il referendum sulla Brexit, che comunque cambierà tutto. L’esigenza di ripartire da Eurozona e dai suoi meccanismi per non sprecare i risultati raggiunti finora. Anzi per consolidarli.

E se la Brexit facesse bene all’Unione? *

Il 23 giugno nel Regno Unito si terrà il referendum sulla permanenza nella UE. E per l’Unione è forse meglio una vittoria della Brexit. Perché non è nell’interesse dell’Europa mantenere tra i suoi membri uno paese ostile allo spirito comunitario. E che persegue strategie volte a minarlo.

Il Punto

Il presidente della Commissione europea Juncker incontra il premier Renzi dopo mesi di polemiche e un inizio di ricucitura dei rapporti all’insegna di cinque proposte del governo italiano. Nelle quali si vuole più Europa, proprio mentre decolla il referendum sulla Brexit che – comunque vada – metterà in soffitta la Ue di oggi. Prevale l’opinione che l’eventuale uscita inglese dalla Ue sarebbe una iattura. Ma c’è anche chi pensa che un Regno Unito fuori dalla Ue non potrà più minarne la coesione. Indebolito, dovrà bussare per negoziare un accordo commerciale. E l’Unione ne uscirebbe più forte.
Nelle primarie americane, Hillary Clinton è in difficoltà con l’elettorato femminile tanto che la parità di genere – il suo cavallo di battaglia – è uscita dall’agenda politica. In attesa del Super Tuesday del primo marzo, una “Lettera dagli Usa” ci racconta come Obama le dia una mano imponendo alle imprese di fornire i dati (segreti) sugli stipendi di uomini e donne alla Commissione per le pari opportunità.
Il tanto richiesto taglio della produzione del petrolio per riequilibrare i prezzi potrebbe arrivare non dai paesi Opec o dall’Arabia Saudita ma dalle sabbie bituminose del Nord America. Dove i piccoli produttori di shale oil si sono indebitati enormemente con le banche che già fanno scattare l’allarme contagio.
Con la fine del patto di stabilità interno, i comuni possono sbloccare i pagamenti delle spese in conto capitale e utilizzare risorse finora rimaste dormienti. La maggiore capacità di spesa (stimata oltre 4 miliardi) potrebbe però non essere veramente destinata agli investimenti e perdersi in altri rivoli. Sarebbe un peccato.
In Europa oltre il 20 per cento, in Italia quasi doppia, la disoccupazione giovanile può essere contrastata – suggerisce un raffronto con altri paesi – con un mix tra programmi di accompagnamento al lavoro e incentivi occupazionali. La formazione professionale per tutti è un bluff: funziona solo su obiettivi specifici.
Abbiamo raccolto in un Dossier le analisi dettagliate che abbiamo pubblicato nelle ultime due settimane sui primi due anni di governo Renzi: che cosa ha fatto, le occasioni mancate, quel che c’è da fare.

To Brexit or not to Brexit? Un voto all’ultimo respiro

Il referendum per la permanenza del Regno Unito nell’UE potrebbe tenersi già in giugno. La maggioranza dei cittadini ha però scarsa consapevolezza di ciò che si decide a Bruxelles. Non seguirà le indicazioni ufficiali dei partiti e voterà sulla base di emozioni più che di convinzioni profonde.

Pagina 14 di 15

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén