La flessibilità dei contratti a tempo determinato diminuisce in modo significativo la probabilità di trasformazione in tempo indeterminato, con riflessi negativi sui salari, anche nel medio periodo. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i giovani.
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Se si tiene conto della storia occupazionale di ciascun individuo, i lavoratori a tempo determinato vengono pagati più dei loro corrispettivi “indeterminati” al momento dell’assunzione. E a ottenere i vantaggi maggiori sono le donne e i giovani.
Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni dei giornalisti Antonio Caprarica e Luisella Costamagna sulla composizione del mercato del lavoro italiano.
I dati amministrativi e quelli Istat sulle forze di lavoro convergono nel segnalare la crescita delle posizioni di lavoro e degli occupati a tempo indeterminato. Ma non sono solo di trasformazioni o transizioni all’interno della medesima impresa. Importanza degli incentivi e analisi da completare.
Il decreto Poletti ha davvero favorito l’incremento dei contratti a tempo indeterminato e di apprendistato, come sostiene il ministero? La notizia non sembra confermata dai dati sulle comunicazioni obbligatorie. Equivoco frutto dell’assenza di una cultura della valutazione. E di microdati
Un comunicato del ministero del Lavoro nel giorno in cui Istat ha diffuso i dati sulla disoccupazione ha creato non poca confusione sul reale andamento del mercato del lavoro. Invece è indispensabile informare con chiarezza i cittadini, anche attraverso le statistiche. Soprattutto se ufficiali.