Il cambiamento tecnologico percorre tutta la storia dell’umanità. Ma solo dalla rivoluzione industriale in poi l’innovazione si accompagna alla crescita economica. Mokyr, Aghion e Howitt, i premi Nobel dell’Economia 2025, ci hanno spiegato perché.
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Difficile capire le prospettive future della nostra economia dal Documento programmatico. Nella prima parte si prospetta un paese da crescita zero, nella seconda si dice il contrario, tra Pnrr e aumenti di occupazione e investimenti. Confusione anche sulla difesa.
Se tutte le leggi italiane fossero scritte con la stessa chiarezza della Costituzione, il Pil sarebbe più alto di quasi il 5 per cento. È infatti possibile stimare il costo di un quadro normativo poco chiaro, che riduce il potenziale produttivo del paese.
Una riforma del 2016 permetteva alle microimprese di presentare un bilancio senza “nota integrativa”. L’intento era la semplificazione. Ma la riduzione della trasparenza ha avuto conseguenze inaspettate, compresa la perdita di opportunità di crescita.
Dopo più di tre anni di guerra, l’economia ucraina riesce a mantenere un buon andamento in termini di crescita, controllo dell’inflazione e stabilità del tasso di cambio. Sostenere Kiev sarebbe nell’interesse dell’Europa, ma l’impegno concreto resta timido.
Da anni l’Italia accumula ritardi nella crescita della produttività. A penalizzarci non è la struttura settoriale dell’economia, bensì una dinamica debole nella maggior parte dei settori, pur con qualche felice eccezione, e la fragilità degli investimenti.
Inflazione in discesa e taglio dei tassi comporteranno nella prima parte dell’anno un andamento sincrono di mercati azionario e obbligazionario. Nella seconda parte, invece, sarà meglio diversificare gli asset perché il driver sarà la crescita economica.
È opinione diffusa che le infrastrutture di trasporto favoriscano lo sviluppo delle aree servite. Ma spesso le opere portano a una semplice ricollocazione dell’attività economica. Sembra confermarlo anche il caso della Salerno-Reggio Calabria.
Ridurre al minimo il ruolo dello stato e lasciar fare al mercato: è il credo dei liberisti. Ma i fallimenti del mercato esistono e lo stato li deve correggere. Per l’Italia il problema non è la “dimensione” dello stato, quanto il modo in cui interviene.
Secondo Giorgio Parisi, il Pil non è una buona misura dell’economia e la sua crescita è in contrasto con la lotta al cambiamento climatico. Però sviluppo e riduzione della vulnerabilità agli eventi meteorologici estremi dipendono dal reddito dei paesi.