Bisogna intervenire subito per ristabilire la fiducia sui mercati finanziari e fermare il circolo vizioso avviato dai dazi americani. Perché in un’economia basata sulla finanza, gli shock di politica economica si propagano ben oltre il loro ambito iniziale.
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Il gioco falco-colomba mostra che per spezzare una guerra commerciale si deve rendere costoso l’atteggiamento aggressivo. Solo quando le conseguenze negative del conflitto appaiono chiare a tutti, si apre la possibilità concreta di accordi collaborativi.
Trump si disinteressa totalmente delle conseguenze immediate dei dazi imposti praticamente a tutti i paesi del mondo. Il fine ultimo di una strategia che prevede di negoziare accordi bilaterali con i partner commerciali è riportare a casa la manifattura.
Le ripercussioni dei dazi americani sui prodotti italiani non si vedranno subito, ma nel lungo periodo, con alcuni settori che saranno particolarmente colpiti. Favorire la transizione della produzione verso nuovi mercati sarà una sfida di tutta la Ue.
L’offensiva protezionistica del 2018 voluta dalla prima amministrazione Trump non ha dato i risultati sperati e ha danneggiato gli americani. Oggi è soprattutto l’incertezza causata dalla guerra commerciale nella competizione internazionale a creare problemi.
Le tariffe danneggiano l’economia. Ma il rapporto al Parlamento europeo di un gruppo di esperti giunge a conclusioni forse troppo ottimistiche su quelle imposte dall’amministrazione Trump perché non tiene conto di possibili effetti collaterali.
Il 2 aprile, Donald Trump ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi commerciali, con l’obiettivo – a suo dire – di contrastare il protezionismo di altri paesi e rafforzare la posizione degli Stati Uniti nel commercio globale. Questi dazi, variabili in base al livello di barriere commerciali esistenti secondo il presidente americano, colpiranno principalmente Cina, Unione Europea e altre economie chiave: mentre la Cina dovrà affrontare un nuovo dazio del 34 per cento, da sommarsi a quelli già esistenti, per l’Ue esso ammonterà al 20 per cento.
Sebbene queste misure possano portare a un aumento delle entrate doganali e proteggere la produzione nazionale, c’è il rischio che possano anche aumentare i costi per i consumatori e danneggiare gli scambi internazionali. Le implicazioni economiche potrebbero rivelarsi complesse, influenzando tanto gli Stati Uniti quanto i paesi più vulnerabili a queste politiche protezionistiche. Ne parliamo in questa serie di grafici.
Canada, Messico e Cina sono i primi destinatari dei dazi promessi dal presidente Usa. Ma le tariffe non daranno i risultati economici sbandierati. Perché sono soprattutto uno strumento di pressione. La reazione però potrebbe essere diversa da quella voluta.
È probabile che l’amministrazione Trump imponga dazi anche sulle esportazioni europee negli Usa. Nello scenario peggiore la Bce potrebbe trovarsi a fronteggiare contemporaneamente il rallentamento dell’attività economica e il rialzo dell’inflazione.
Il 5 novembre l’America vota per eleggere il nuovo presidente. Nonostante tutto, l’andamento dell’economia continua a essere uno dei fattori che determinano le scelte dei cittadini. Vale allora la pena analizzare i programmi economici dei due candidati.