La meritocrazia reale assomiglia molto a un’aristocrazia ereditaria, come dimostrano i due paesi più meritocratici: Usa e Gran Bretagna. Giustificare le disuguaglianze sulla base di diversissimi livelli di talento e merito è una condanna per la medietà.
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Gli italiani percepiscono un’alta disuguaglianza, che corrisponde in larga misura ai dati. Le idee sono meno precise sul livello relativo del reddito. Ma quello che ci differenzia dagli altri paesi è la scarsa fiducia nell’uguaglianza di opportunità.
L’Italia è cresciuta ben poco negli ultimi venti anni. Tra le tante cause, è rimasta in secondo piano la questione di come gli imprenditori italiani selezionano e gestiscono le risorse umane. La meritocrazia latita, nel settore pubblico e in quello privato. Inutile intervenire solo sulla scuola.
Alla Camera si discute la proposta dei 5 Stelle di ridurre l’indennità dei parlamentari. L’obiettivo è quello di selezionare una classe politica migliore. È però più facile valutare le performance dei politici nei comuni che in un’assemblea di 630 deputati eletti con un sistema elettorale a liste bloccate.
Mentre tarda l’arrivo della legge di bilancio in Parlamento, almeno un provvedimento è certo: la chiusura di Equitalia. La quale, con 1.058 miliardi di crediti al 95 per cento inesigibili, ha incarnato un sistema di riscossione perverso. Che non distingue tra grandi evasori e piccoli contribuenti con l’acqua alla gola. E nel quale chi paga tardi fa un affare rischiando poco.
Pare anche che nel bilancio pubblico ci saranno più soldi per il piano vaccini. Bene. Ancora meglio combattere le favole antiscientifiche che portano sempre più genitori a non immunizzare i propri figli. Contro i risultati della ricerca e in barba all’assunzione di responsabilità.
Con una parte del proprio utile netto girato allo stato, Bankitalia contribuisce alla manovra di finanza pubblica. L’anno scorso ha dato una quota del 25 per cento ma potrebbe dare di più, come si fa negli altri grandi paesi Ue. Da noi, però, le regole vogliono che metta a riserva percentuali molto superiori.
Da un’indagine sui consiglieri di amministrazione risulta che meno di quattro società su dieci applicano per la loro selezione criteri legati al merito. Vale la pena puntare a questo obiettivo perché meritocrazia genera meritocrazia, nel privato e nel pubblico. A cominciare dalla testa delle organizzazioni.
Tra le riforme in attuazione c’è quella delle regole tra debitori e creditori quando ci sono dei beni in garanzia. Meno vessazione per gli insolventi quando sono deboli, tempi più rapidi per i prestatori (banche incluse) nel rientrare dei finanziamenti fatti. Un utile ammodernamento delle norme. Con margini di miglioramento.
In Italia sono ancora poche le società che adottano criteri legati al merito per selezionare o valutare l’attività dei consiglieri di amministrazione. Eppure, se si vuole un ambiente meritocratico è dal vertice che bisogna partire. Positiva però la crescita di interesse verso modelli d’eccellenza.
Perché non esiste più la classe media? La tecnologia rivoluziona i modi di produrre. Ma i profitti vanno solo ai leader di mercato. La sfida è trovare meccanismi istituzionali per frenare l’aumento delle disuguaglianze senza scoraggiare l’innovazione.
Si può misurare la meritocrazia? Si può cercare di farlo costruendo un indicatore che sintetizza le varie dimensioni in cui si articola un sistema sociale ed economico orientato, appunto, alla promozione del merito. Rispetto agli altri paesi europei, i risultati dell’Italia sono sconfortanti.