Sono scesi a 53 miliardi (erano 91 nel 2012) i debiti della pubblica amministrazione verso i fornitori. E, grazie a una direttiva Ue recepita dal governo Monti, si sono anche ridotti i tempi medi di pagamento. In tutto questo – come ricordato anche da Christine Lagarde – nulla c’entrano i minibot, l’arma di distrazione di massa della settimana.
A Osaka il prossimo G20 sotto la presidenza giapponese prova a rilanciare il multilateralismo picconato tutti i giorni da Donald Trump. Un’impresa da samurai. È giusto chiedersi se e quanto possa fare il forum dei 20 decisori che rappresentano oltre l’80 per cento del Pil e del commercio mondiale e due terzi della popolazione del mondo. In ogni caso, l’Italia è ultima del gruppo nel rispetto degli impegni condivisi.
All’età di 79 è mancato Martin Feldstein, a lungo professore ad Harvard, capo dei consulenti economici del presidente Reagan, pioniere nell’uso dei dati per analizzare questioni di politica economica. Rimarrà come rifondatore del National Bureau of Economic Research, un modello per gli istituti di ricerca di tutto il mondo.
Dei 40 miliardi all’anno che oggi lo stato spende per l’istruzione, 12 o 13 saranno trasferiti a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che vogliono il federalismo differenziato anzitutto nella scuola e università. A meno che non si ridiscuta la devoluzione di tale materia per alcuni buoni motivi economici, sociali e culturali.
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Mini-Bot o Ccf: perché resta un’illusione
Di Maria Cannata
il 11/06/2018
in Commenti e repliche
Che cosa è “debito”
Ringrazio i lettori per i tanti commenti al mio articolo. Rispondo qui ad alcuni rilievi.
Per quanto si poteva dedurre dagli articoli di stampa, gli ideatori dei mini-bot e dei certificati di credito fiscali sembravano ritenere che la loro emissione potesse non essere considerata debito secondo i parametri europei. Ma non è così, in qualunque modo si intenda classificarli: titoli, cambiali o moneta.
Sarebbero moneta nel caso in cui vi fosse obbligo ad accettarli da parte di soggetti italiani e fossero usati in alternativa alla moneta stessa. Ma anche tralasciando il fatto che gran parte delle imprese italiane importano ed esportano in modo massiccio, è difficile pensare che accetterebbero di buon grado di utilizzare questo mezzo di pagamento, senza comportare penalizzazioni di valore.
È evidente che anche i debiti commerciali sono debito, ma non debito finanziario e per questo non sono inclusi nel parametro di Maastricht. Il principale motivo dell’esclusione risiede nel fatto che il loro effettivo valore non è semplice da rilevare. E infatti quando in Italia, nel 2013, venne affrontato il problema del loro smaltimento previa certificazione, emersero molte duplicazioni e irregolarità.
Una eventuale società paravento che emetta certificati di credito fiscali non sarebbe considerata da Eurostat un soggetto privato, data la piena e incondizionata garanzia dello stato. Anche nel caso di cartolarizzazioni pubbliche, dove quella garanzia era assente, poiché il surplus di valore rispetto al prezzo di cessione sarebbe comunque tornato allo stato, Eurostat ha stabilito che le società veicolo dovevano rientrare nella pubblica amministrazione e i relativi titoli dovevano essere considerati debito pubblico.