Molti giovani di oggi avranno una pensione bassa, a causa di carriere discontinue e redditi incerti. La soluzione potrebbe essere l’introduzione di uno sgravio fiscale per le famiglie disposte a versare i contributi per i figli inoccupati e non laureati.
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Il governo sembra discutere sulla possibilità di “regalare” agli studenti universitari qualche anno di contributi previdenziali. Una risposta iniqua e inefficiente alle difficoltà dei giovani nel mondo del lavoro.
Una proposta bipartisan vuole abolire l’adeguamento del requisito dell’età pensionistica alla speranza di vita, previsto nel 2019. Ma se si vuole garantire equità intergenerazionale, è meglio orientarsi su altri interventi, specialmente per le donne.
Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Giuliano Cazzola sulle pensioni.
Mentre rimane incerto chi pagherà il conto di almeno un miliardo delle banche venete in dissesto, Matteo Renzi ha minimizzato l’entità dei guai di Banca Etruria. In una nuova puntata del fact-checking de lavoce.info abbiamo provato a verificare: i conti non tornano. Sempre a proposito di istituti di credito, la Ue ha limitato i bonus dei banchieri. Limiti che non valgono per gli asset manager che, nel gestire il risparmio dei loro clienti, godono di premi anche superiori al 450 per cento della retribuzione fissa. Un incentivo ad assumere rischi, coi soldi degli altri.
Una pioggia di denaro sta per beneficiare 180 dipartimenti di eccellenza degli atenei italiani, selezionati su un totale di 807 e da una short list di 352. Probabilmente alle università del Sud, nonostante i progressi in corso, arriverà poco. Serve un meccanismo che consenta a chi è indietro di recuperare terreno.
La versione della web tax approvata dalla Camera disegna una voluntary disclosure per le grandi multinazionali (internet e non) che fanno reddito in Italia. Chi paga l’imposta gode di uno sconticino sulle sanzioni amministrative e vede cancellate quelle penali. Chi non sta al gioco, però, la fa franca.
L’allungamento della vita lavorativa è stato uno sgambetto all’occupazione giovanile nell’Italia che non cresce. I dati su 102 province indicano che, con l’innalzamento dell’età minima pensionabile da 52 a oltre 65 anni, negli ultimi 10 anni sono saliti gli occupati senior e si è ridotto il numero dei giovani occupati.
Secondo un libro appena uscito, c’è un grave punto debole nella costruzione europea messa in crisi dall’affermazione del sovranismo. È il fatto di non avere (ancora) realizzato una comunità sufficientemente omogenea di questa federazione tra stati con storie, lingue e tradizioni diverse.
L’alfabetizzazione finanziaria non fa bene soltanto ai risparmi e alle pensioni dei singoli cittadini. Nei paesi dove è più diffusa i conti pubblici sono gestiti meglio mentre, dove le competenze economiche sono inferiori, si registrano maggiori deficit di bilancio.
15 anni de lavoce.info: feste-convegni 5 giugno a Milano e 6 giugno a Roma
Nel 2017, lavoce.info compie 15 anni. Festeggeremo il compleanno con i nostri affezionati lettori e sottoscrittori la mattina di lunedì 5 giugno a Milano e il pomeriggio di martedì 6 giugno a Roma. E, se potete, destinate e fate destinare il 5 per mille dell’Irpef a questo sito in quanto “associazione di promozione sociale”: Associazione La Voce, Via Bellezza 15 – 20136 Milano, codice fiscale 97320670157. Grazie!
Le riforme pensionistiche sono la causa dell’alta disoccupazione giovanile in Italia? L’innalzamento dell’età per la pensione ha avuto effetti negativi sull’occupazione giovanile, almeno a livello locale. Il discorso è diverso quando l’economia cresce.
Le regole attuali per il trattamento previdenziale dei parlamentari sono simili a quelle dei lavoratori ordinari. Il problema riguarda i vitalizi maturati prima del 2012: se non si interviene, continueranno a gravare a lungo sul bilancio pubblico.
Un intervento del consigliere economico di Palazzo Chigi su questo sito e una sessione della Commissione Lavoro della Camera hanno voluto sminuire l’importanza delle stime del debito previdenziale implicito. Un atteggiamento pericoloso per un paese che continua a scaricare oneri sulle generazioni future.
Negli interventi sul sistema pensionistico si dovrebbero considerare almeno tre profili: finanza pubblica, equità attuariale, azione redistributiva. Sono obiettivi già difficilmente compatibili per essere resi ancora più complicati e inefficienti, come fanno le misure della legge di bilancio 2017.
La forza dei dati nella discussione sulle pensioni
Di Desk
il 06/06/2017
in Commenti e repliche
di Giuliano Cazzola
Trattamenti di anzianità e di vecchiaia
Ringrazio l’autorevole lavoce.info e Lorenzo Borga per aver commentato il ricorrente diverbio televisivo tra il sottoscritto e Matteo Salvini in tema di pensioni e in particolare sugli effetti della riforma Fornero del 2011. Soprattutto – in un tempo sciagurato come quello in cui stiamo vivendo dove tutto diventa un’opinione – sono particolarmente grato che abbiano trovato conferma i dati statistici – ufficiali – da me inutilmente citati, in trasmissione, anche a costo di dover alzare la voce. Contesto però la considerazione contenuta nel brano di Borga riportato di seguito: “Quanto all’ultima parte della dichiarazione di Giuliano Cazzola – il fatto che la maggioranza degli italiani andrebbe in pensione a 60 anni – si tratta di un’affermazione che non è possibile verificare perché i dati dell’Inps riportano solo il numero dei nuovi assegni pensionistici erogati e non quello dei nuovi pensionati. I numeri potrebbero infatti non coincidere per la possibilità di ricevere più di un trattamento pensionistico”.
Come risulta dalle tabelle alle pagine 19 e 20 del Report del coordinamento attuariale Inps, da quando è entrata in vigore la vituperata riforma sono state erogati (con riferimento alle gestioni considerate e con l’esclusione del pubblico impiego e degli iscritti all’ex Enpals) 600mila nuovi trattamenti di anzianità (con un’età alla decorrenza di poco superiore ai 60 anni) contro 300mila di vecchiaia. Quindi è VERO (non QUASI VERO) ciò che ho scritto rispetto al prevalere, nei flussi recenti, del pensionamento di anzianità.
Per di più, nel primo caso (anzianità) il 78 per cento sono maschi, mentre nel secondo (vecchiaia) le donne sono 200mila, per il semplice fatto che, a causa della loro condizione nel mercato del lavoro, è in generale difficile che le lavoratrici siano in grado di cumulare l’elevata anzianità contributiva necessaria per conseguire il pensionamento anticipato. Sono pertanto costrette ad attendere l’età di vecchiaia quando sono sufficienti 20 anni di versamenti (l’anzianità contributiva media al pensionamento di una lavoratrice è pari a 25,5 anni). E sono le sole che hanno visto aumentare il requisito anagrafico in misura rilevante grazie alla sua equiparazione a quello degli uomini. Certo, se si osservano i dati dello stock (si veda la tabella a pagina 5 del Report) sono ancora in numero maggiore (nei settori considerati dei lavoratori dipendenti ed autonomi) i trattamenti di vecchiaia: 4,8 milioni contro 4,3 milioni (si perdoni l’arrotondamento delle cifre). Il fatto è che – stando alla pensioni vigenti al 1° gennaio 2017 – l’onere sostenuto per le prime è di 43 miliardi, mentre per le seconde è di 90 miliardi.
Riforma Fornero e disoccupazione giovanile
Devo poi confessare che i commenti mi hanno profondamente rattristato. Se anche lavoce.info è frequentata da persone che tirano diritto sulla strada del pregiudizio e si rifiutano persino di guardare in faccia alla realtà, almeno quando si parla di pensioni, mi domando se valga ancora le pena di continuare a combattere.
Mi preme solo ricordare che è un’altra leggenda metropolitana (anzi una chiacchiera da bar Sport) quella per cui l’aumento dell’età pensionabile sarebbe la causa della disoccupazione giovanile. Ci sono state, in proposito, ricerche empiriche che anche in questo caso allego. In particolare, segnalo un dato dell’Inapp (l’ex Isfol) secondo il quale solo il 2,2 per cento delle imprese del campione considerato avrebbe cambiato il piano di assunzioni in conseguenza della riforma Fornero. Nella stessa ricerca vengono riassunti gli esiti – tutto sommato convergenti nello smentire le analisi correnti – di altre iniziative sul medesimo tema.
La risposta del fact-checker
di Lorenzo Borga
Gentile Onorevole Cazzola, la ringrazio per la sua precisazione: il tema dell’accesso al trattamento pensionistico in Italia è sottoposto a innumerevoli strumentalizzazioni e post-verità da alcuni anni a questa parte. Verificare dati e numeri su un tema tanto caro ai cittadini è dunque prioritario, per distinguere ciò su cui vale la pena dibattere e ciò che invece altro non è che pura speculazione. I dibattiti andati in scena su La7 durante le puntate della trasmissione Di Martedì sono state una buona occasione per farlo.
La ringrazio inoltre per la sua precisazione. Confermo i numeri da lei citati sui trattamenti pensionistici totali dal 2011 ad oggi, seppur non del tutto comparabili con i dati riportati nel fact-checking (ma comunque non in modo tale da sovvertire in modo significativo il rapporto). La sua dichiarazione appare dunque VERA.
Nel fact-checking non abbiamo sottoposto a verifica la sua smentita in trasmissione della frase citata da Salvini per cui l’ammontare dei posti di lavoro all’interno del mercato sarebbe fisso e proprio per questo aumentare l’età pensionabile comporterebbe una conseguente riduzione dei posti di lavoro per i più giovani. Solo negli ultimi mesi infatti iniziano ad essere pubblicati studi di valutazione degli effetti della riforma Fornero sulla occupazione giovanile. C’è quello di Inapp da lei citato, c’è “A clash of generations” dell’Inps e c’è anche lo studio condotto da Marco Bertoni e Giorgio Brunello di cui è stato pubblicato un resoconto su lavoce.info.
I risultati sono dunque oggetto di discussione professionale tra economisti che a volte raggiungono conclusioni differenti. Non si tratta dunque di chiacchiere da bar Sport.